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La giornata del Bif&st, stamattina, è iniziata al Petruzzelli, alle 9,30, con il film Alone in Berlin (Lettere da Berlino) diretto da Vincent Perez, che ha partecipato all’incontro a seguire, moderato da Jean Gili.

Un film drammatico del 2016 ed ispirato ad una storia vera. Interpreti Emma Thompson, Brendan Gleeson e Daniel Bruhl.

Berlino, 1940. Alla conclusione della campagna che ha permesso alle truppe tedesche di occupare la Francia, una lettera della Wehrmacht  ( Forze Armate Tedesche) arriva ai Quangel, coniugi di estrazione operaia e contiene la notizia della morte del loro unico figlio Hans sul fronte francese. Caduto per la Germania e in nome del Führer, egli era la ragione di vita di Otto e Anna e da quel momento tutto cambia.

Otto (Brendan Gleeson) e Anna (Emma Thompson) iniziano una personale e silenziosa protesta contro il sistema nazista con i loro scarsi mezzi, usando lettere, cartoncini e cartoline.

Seppur in modo semplice, agiscono con grande intelligenza e prudenza. Lui scrive messaggi semplici e di protesta contro il regime, utilizzando sempre guanti per non lasciare impronte e camuffando la propria calligrafia per non destare sospetto e li diffonde giornalmente per tutta la città in modo che i passanti possano trovarli e leggerli. La speranza dei due coniugi è quella di risvegliare la coscienza tedesca e di porre fine alla follia hitleriana. Uno dei messaggi recita: “madre, il Fuhrer ha ucciso mio figlio e ucciderà anche il tuo”.

Presto la loro campagna antinazista richiama l’attenzione dell’ispettore della Gestapo (Daniel Bruhl) e inizia una spietata caccia all’uomo, destinata a durare per oltre due anni. Dopo aver scritto 285 lettere, e mentre vengono fatti inutili tentativi di rintracciare l’autore, talvolta anche con esiti tragici coinvolgendo persone innocenti, Otto si fa scoprire. Viene arrestato, interrogato e infine processato assieme alla moglie. La sentenza per entrambi è di morte.

Dopo l’esecuzione della coppia, l’ispettore Escherich prende in mano l’intero plico delle lettere nel proprio ufficio, le guarda e riflette sulla amara vicenda del nazismo. Si rende conto di essere l’unico ad averle lette tutte, tranne le diciotto mai ritrovate. A quel punto le lancia dalla finestra e mentre queste volano nell’aria della notte si uccide con un colpo di pistola. Le lettere intanto cadono sulla strada ed i passanti iniziano a raccoglierle e a leggerle.

Morale nella loro ribellione silenziosa ma decisa, i Quangel sono riusciti a sfidare il regime spietato e dispotico di Hitler con la sola forza delle parole.

Conclusa la proiezione, il regista Vincent Perez, abiti casual, cappello da cow boy, classe 1964 (portata in splendida forma) è salito sul palco e ha incuriosito il pubblico, catturandone l’attenzione per circa due ore, narrando le vicende del film e i motivi che lo hanno condotto a questa sceneggiatura.

In perfetto francese (Perez è nato a Losanna in Svizzera francese), lasciandosi andare talora a frasi italiane, con la traduzione di un eccellente interprete, ha detto di essere figlio di papà spagnolo e mamma tedesca.

La storia, ispirata al libro “Ognuno muore solo” di Hans Fallada, ripercorre in qualche modo le mie origini e alcune vicende familiari”.

Nato nel 1964, la guerra non mi ha sfiorato. Sono vissuto in una bolla” -ha puntualizzato Perez.

Sono però tedesco per metà, da parte di mamma e ho esplorato il passaggio nella guerra dei tedeschi attraverso la storia dei miei nonni, che erano iscritti al partito”.

Suo nonno paterno, invece, era spagnolo e antifranchista e grazie ad una lettera ritrovata in un archivio è nata l’idea di realizzare un film su regimi restrittivi di libertà.

Ha raccontato altri episodi accaduti casualmente ma che hanno implicato delle connessioni quasi magiche per lui e il film. Per esempio, durante la registrazione di una trasmissione ad Hadamar (dove si trova uno dei peggiori centri di sterminio nazisti), un archivista gli rivelò che un suo zio era stato ucciso lì, nella camera a gas. Lo invitò a visitarla, la sezione T-4, proprio quella dove si eseguivano sterilizzazioni di massa di persone ritenute “indesiderabili”, disabili, omosessuali.

Quando mi sono trovato lì dentro ho pregato per lui e ho fatto del bene alla mia famiglia a me e a mio zio”.

Un aspetto interessante del film, come è stato rimarcato dal regista, è lo scorrere del tempo, c’è una separazione fra la guerra e la vita quotidiana. La coppia nel film fa dei piccoli ma coraggiosi gesti che salvano la vita e che danno l’idea di essere degli eroi.

Nonostante il grande valore storico, il film ha ricevuto un’accoglienza disastrosa, al festival di Berlino.

Dopo la prima a Berlino” – ha continuato Perez – “l’abbiamo presentato ad Atlanta, la sala era gremita ed io ero molto nervoso, dopo l’insuccesso berlinese. Invece nella città americana il film non solo ha ricevuto un riscontro positivo ma, ad un certo punto, una donna si è alzata e mi ha detto: –Mr. Perez come possiamo fare affinché il film venga visto da tutto il mondo? -Esprimendo con queste parole il consenso di tutto il pubblico presente.

Come hai fatto a trovare quei luoghi molto simili a quelli della storia? –ha domandato il moderatore Jean Gili.

Le riprese sono avvenute in dieci settimane, la maggior parte girate a Berlino e ad Herlitz, una città fantasma al confine con la Polonia, dove abbiamo trovato luoghi simili a quelli dell’epoca del film. Anche la fabbrica, dove lavora Otto è in Germania, a Colonia non molto lontano da dove vivevano i miei nonni”.

Quanto alla scelta dei protagonisti, a dir di Perez è stata facile. Emma Thompson ha subito accettato il ruolo di Anna. Brendal Deeson (anche lui metà tedesco e meta spagnolo), molto preparato, ha subito instaurato un feeling col film, d’altra parte si tratta di una storia vera, è facile che tutti se ne appassionino. L’attore che inizialmente avrebbe dovuto interpretare l’ispettore Escherich gli è stato “soffiato “dall’altro grande regista Spielberg, per un suo film, lasciando così il posto a Daniel Bruhl.

Questo film mi ha trasformato e oggi che sono con voi, visto l’amore con cui mi avete accolto, sono ancora più convinto. Alone a Berlino, un film altamente profondo, soprattutto difficile in quanto è trattato un argomento sul quale non tutti prendono posizione, perché disturba, dà fastidio”.

Tra tutte le altre cose “il film mi ha fatto crescere il senso del rispetto per gli antenati, quando lavoriamo sul passato, avanziamo nella vita e questo ci aiuta a crescere”.

Soddisfatto del suo film e del consenso degli spettatori in sala, alla fine dell’incontro, rivolgendosi alle classi studentesche liceali, presenti in platea, ha salutato dicendo loro “non abbiate paura di abbracciare un pensiero diverso dagli altri, seguite il vostro cuore e andate controcorrente”.

Foto di Raffaella Fasano (riproduzione riservata)

Marcella Squeo

La dottoressa Marcella Stella Squeo è laureata in Giurisprudenza è una giornalista pubblicista e si occupa di cultura, spettacolo, musica e di beneficienza e volontariato facendo parte di diverse associazioni di settore.