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In occasione della rassegna “I Mercoledì del mare 2024”, il giornalista e scrittore Bepi Costantino, presso il Molo Borbonico di Bari, ha presentato il podcast Gente di mare, facente parte della raccolta “Fantasiosamente Vero”.

Fantasiosamente Vero” racconta, documentandole, storie stupefacenti ma effettivamente accadute, senza ricorrere alla sospensione dell’incredulità, storie reali che in quanto tali non hanno bisogno di essere plausibili. I podcast di Bepi Costantino vengono pubblicati il primo di ogni mese a partire dal mese di maggio scorso.

Prima di entrare nel vivo dell’evento, mi sono intrattenuta con l’autore per una breve chiacchierata, interessata a conoscere le fonti dalle quali recepisce quei racconti così straordinariamente e fantasiosamente reali.

Sono giornalista dal 1974- dice Bepi – e in quanto tale sono molto curioso. Un tempo ricavare i fatti che narro sarebbe stato difficilissimo e impossibile, oggi con i mezzi tecnologici di cui si dispone è più facile. Una fonte da cui attingo sono gli archivi dei giornali locali che sono dei veri e propri tesori. Ogni storia che racconto è vera e per questo fornisco dati e tracce che chiunque può verificare-.

Che cosa cambia fra scrivere un giornale e un podcast?

-Il linguaggio è completamente diverso: il podcast lo ascolti, allo stesso modo di come si ascoltavano una volta i cantastorie che girovagavano per paesi e città con la loro arte. Ecco io racconto alla stessa maniera: un “novello cantastorie” così mi ha definito lo scrittore Simone Perotti. Quando scrivo le mie storie mi metto dalla parte di chi ascolta, come se fosse un mio amico-.

Con i podcast vuoi informare o intrattenere?

-Voglio generare curiosità per la vita, per gli esseri umani, e soprattutto per gli aspetti fantastici dell’essere umano-.

Alcuni dei podcast di Bepi Costantino si potrebbero definire educativi. “Il ragazzo che non serviva a nulla (vedi il link riportato in basso) è un racconto educativo che Bepi proporrebbe fra gli insegnamenti scolastici ai ragazzi dai 15 ai 18 anni.

Tornando all’evento della rassegna “ I Mercoledì del Mare”, in sala ad assistere un pubblico numeroso, inevitabilmente incantato dalla magia del racconto “Gente di Mare”.

A Polignano a mare, la città di Domenico Modugno, poco più di trent’anni fa, la vicenda narrata fu tutt’altro che un sogno. Fu un vero incubo. Si svolse tutto a un paio di centinaia di metri dalla piazza che ora ospita la statua a grandezza naturale del famoso cantante, con le braccia spalancate, così come faceva quando interpretava “Nel blu dipinto di blu”.
Fu una tragedia, sì. Che però poi prese una piega imprevedibile perché un uomo si rifiutò di credere a quello che tutti davano per scontato e fece ciò che nessun altro prima di lui aveva avuto il coraggio di tentare. Incredibile? La realtà non ha bisogno di essere plausibile.

E Bepi Costantino davanti ad una folta platea, nella suggestiva atmosfera del Molo, con il mare alle spalle ha dato avvio alla storia, una storia dimenticata, intensa e piena di spessore.

A fare da sottofondo, al pianoforte, Alessandro Pepe che ha eseguito le musiche di Andrea Violante, colonna sonora di Fantasiosamente vero.

Il racconto inizia con una premessa “diffidate di chi dice di conoscere bene Polignano, Polignano è come un iceberg: la parte visibile, quella più nota, è solo una piccola frazione del tutto, c’è poi la parte nascosta nelle viscere della terra e invasa dal mare, ma soprattutto ci sono le storie di Polignano quelle note a chi lì è nato e vissuto.

E poi la descrizione della meravigliosa costa polignanese, pochi chilometri di falesie, rocce che a seconda della luce cambiano aspetto e che solo i pescatori locali conoscono, ne colgono i continui mutamenti e con la marea bassa si infilano con i gozzi a fare visita. Ogni anfratto ha un nome: la grotta dei fidanzati, della Chianagella, dove piangevano le madri disperate per la sorte delle figlie rapite durante le incursioni dai saraceni e dai pirati, la grotticella dell’acqua di Cristo, dalla quale sgorga acqua depurativa e lassativa, le grotte di San Gennaro, la celeberrima Palazzese. Tutte si stagliano una dietro l’altra e danno vita ad una costa che guarda ad est e che nelle prime ore del mattino offre caleidoscopi di luce meravigliosi e stupendi.

Ancor più affascinanti sono le caverne sottomarine in gran parte sconosciute e inesplorate perennemente immerse nel buio totale. Un mondo seducente, attrazione unica per i sub e appassionati che cedono al pericoloso fascino dell’avventura, proprio come Antonio Giovene, di Mola di Bari, e Horst Hartmann tedesco, i protagonisti di “Gente di Mare”. Entrambi ventisettenni, belli come il sole, uno mediterraneo, l’altro dal fascino nordico, sono amici da anni e trascorrono spesso le vacanze insieme.

E l’estate del 1992, Horst viene in ferie a Bari con la moglie e un amico.

Antonio è eccitato per la scoperta di un accesso a un cunicolo sottomarino, mai esplorato prima.

Il passo dalla descrizione all’organizzazione della missione esplorativa è breve.

E così la mattina di Ferragosto l’appuntamento è al porto e i due amici in compagnia delle rispettive mogli e altri turisti tedeschi salgono sulla barca di Luciano fratello di Antonio. Giornata bellissima, sole a picco, partono da Mola verso sud passando da Costa Ripagnola, Cala San Giovanni, Abbazia di San Vito. Verso le 15,30, la comitiva è di fronte al grottone e la barca attracca l’ancora. Antonio, Luciano, Horst e il suo amico si preparano per l’immersione. I primi due hanno una bombola che assicura un’autonomia di respirazione di circa un’ora, mentre i due tedeschi hanno bombole sufficienti a garantirne 50 minuti. Tutti e quattro hanno potenti torce elettriche: il proposito è di fare un’immersione di dieci minuti. Giunti nella caverna iniziano ad esplorare e Antonio che fa da guida non riesce a intravedere i punti di riferimento che aveva preso i giorni precedenti. Trascorre oltre mezz’ora, due dei sub desistono e risalgono, Horst e Antonio, invece, non mollano. Passa ancora del tempo e i due non riemergono. Lanciato l’allarme giunge la nave soccorso da Taranto quando ormai è trascorsa un’ora e mezza. I soccorritori recuperano con molte difficoltà il corpo senza vita del tedesco Horst, ma di Antonio non ci sono tracce e sembra che non ci siano speranze di rinvenirlo vivo visto che ormai è rimasto molto tempo senza riserva d’aria.

Ormai l’ispezione è orientata a recuperare il corpo senza vita di Antonio, ma la squadra dei sommozzatori dei Vigili del fuoco intervenuta deve cessare le operazioni per motivi di sicurezza e fino alle 8,00 del giorno dopo , in tutta la Puglia e Basilicata, non sono disponibili altre squadre e quindi non si possono effettuare ricerche.

Siamo nel 1992 e in pochi possiedono il telefono cellulare, però la notizia dell’accaduto si diffonde e si sparge la voce tra conoscenti, amici e familiari che iniziano la ricerca disperata di subacquei che vogliano immergersi nel cunicolo. Ma l’impresa è troppo pericolosa, non c’è altro da fare che attendere i soccorsi ufficiali.

Si può immaginare l’angoscia dei familiari del giovane e il responsabile dell’ispettorato interregionale dei Vigili del Fuoco pensa che bisogna tentare l’impossibile e si consulta con i responsabili di Bari e di Brindisi.

Viene fuori il nome dell’uomo giusto: Nico Fumai, caposquadra dei sommozzatori di Bari.

Sono le 10,00 di sera quando squilla il telefono a casa Fumai, Nico è in cucina solo e gli viene esposta la situazione. Accetta l’incarico di procedere ai soccorsi che avverrà alle 6,00 del mattino, purché trovi gli uomini del team e li trova in Antonio Caforio, suo vice, Giuseppe Zaza e Pasquale Magrone. Dunque, si mette a preparare dettagliatamente il piano di soccorso e mentre è concentrato su questi pensieri, il suo sguardo cade su una piccola immagine di San Nicola che casualmente è lì sul tavolo. E’ come se il suo sguardo incrociasse quello del Patrono di Bari, in persona, al quale lui è devoto per fede e per predestinazione, visto il nome che porta e l’attività che esercita con tanta passione svolge. Il San Nicola dei baresi giunge dal mare ed è protettore della gente di mare.

Chi l’ha detto che è morto?”, pensa, mentre l’immaginetta di San Nicola gli si prospetta davanti. Non c’era nulla che potesse far pensare che Antonio fosse vivo, ma nella mente di Nico si insinua questo pensiero, quindi decide di anticipare di un’ ora la ricerca. Organizzata la squadra, Fumai insieme ai suoi colleghi si avvia verso Polignano. Sulla strada è già pronto un carro funebre come sempre accade in questi casi, il mare fortunatamente è calmo. Giuseppe Zaza, uno dei componenti la squadra è a bordo del motore Magrone resta sulla superficie dell’acqua, e Caforio all’ingresso del cunicolo a reggere una funicella con la quale dare segni convenzionali. Munito della giusta attrezzatura, Nico Fumai si immerge, entra nel cunicolo e vede un anfratto, prosegue e trova una biforcazione, guarda intorno e vede una maschera da sub, decide di inoltrarsi in quella direzione, trova una zavorra, dunque Antonio è passato da lì. All’improvviso il cunicolo si restringe con un apertura in fondo, aldilà della quale si riallarga. Dopo averlo, attraversato il Nico si ritrova in una grotta grande quanto una casa e il suo faro illumina un paio di gambe: Antonio è vivo!

Dopo diciassette ore in mare con la testa infilata in un foro quanto un catino Antonio ce l’aveva fatta e quando gli si avvicina Fumai si sente afferrare fortemente il polso, dunque è anche cosciente e lucido.

Pian piano e con mille difficoltà, Fumai lo porta in salvo.

Tutto il resto è storia e suggerisco ai lettori che vogliono saperne di più di ascoltare il link del podcast sotto riportato.

All’evento del Molo Borbonico presente fra gli altri il Dottor De Napoli che per primo soccorse Antonio Giovene: – E’ stato fortunato, se fosse passata un’altra ora a non ce l’avrebbe fatta- ha detto.

Proprio quell’ora che fu anticipata grazie alla folgorazione di Fumai davanti all’immaginetta di San Nicola.

Così è la vita , le cose accadono e questo è quanto accaduto in Gente di mare.

Presente, fra il pubblico, anche Nico Fumai che emozionato ha ricordato il dolore al polso per la stretta di Antonio durante tutta l’operazione di salvataggio.

Sempre in virtù di quella curiosità che caratterizza i giornalisti, non ho resistito alla tentazione di fargli qualche domanda “curiosa”.

Ci sono altre esperienze significative come questa nella sua carriera ?

Sì, sono dettagliatamente descritte nel libro che ho pubblicato dal titolo “Storie di un sommozzatore. Racconti vissuti di un vigile del fuoco”.

-E San Nicola?

-E’ andata proprio così ho visto la sua immaginetta e mi è balenato il pensiero che Antonio fosse ancora vivo-.

E poi ha aggiunto: -nel 1990, quando fu trafugato il crocifisso di San Nicola io l’ho ritrovato, casualmente, mentre facevo gli allenamenti, in fondo al mare, proprio sotto il Molo borbonico-.

E’ proprio vero: c’è sempre una relazione tra gli eventi.

Foto di Marcella Squeo (riproduzione riservata)

Marcella Squeo

La dottoressa Marcella Stella Squeo è laureata in Giurisprudenza è una giornalista pubblicista e si occupa di cultura, spettacolo, musica e di beneficienza e volontariato facendo parte di diverse associazioni di settore.