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«Buongiorno. Mi chiamo John Reginald Powell»: con queste semplici e innocue parole il protagonista del romanzo “Sono nato in Louisiana” di Walter D’Alessandro si presenta in una stazione di polizia di New York; potrebbe sembrare un evento banale, se non fosse che John ha il viso e gli abiti ricoperti di sangue, e porta con sé un’ascia – «Aveva combattuto contro i suoi demoni, Powell, prima ancora di lottare fisicamente contro qualcuno che era poi caduto sotto i suoi colpi. Voleva essere arrestato, doveva porre un freno alla sua rabbia, al suo furore, alla sua pazzia. In un singolo e fragile bagliore di lucidità aveva avvertito prepotente il desiderio di essere fermato». L’uomo è lì per autodenunciarsi: di cosa lo scopriremo nel corso di quest’opera che lascia senza fiato, sia per il ritmo forsennato della narrazione, che alterna presente e passato, che per l’eccellente caratterizzazione del protagonista e di alcuni dei personaggi che si trovano ad avere a che fare con le conseguenze della sua lucida follia. Cosa è accaduto a quest’omone in apparenza gentile e di buone maniere? Cosa o chi l’ha portato a trasformarsi in un demonio, e a rendere New York un inferno? L’autore ci tiene incollati a questo mistero, in un thriller che svela immediatamente il colpevole ma che cela il movente fino allo sconvolgente e drammatico epilogo; colpisce inoltre il modo intelligente in cui si alterna luce e oscurità: nei racconti del passato di John in Louisiana, quando era solo un ragazzino spensierato, troviamo infatti conforto, mentre invece nel presente c’è solo buio, confusione e disperazione. John è un personaggio tormentato, controverso e quasi agghiacciante, quando osserva la realtà circostante con occhi vuoti e inespressivi; altre volte, invece, genera pietà ed empatia, e alcuni dei personaggi sembrano comprenderlo a livello inconscio. Walter D’Alessandro sa bene come descrivere gli effetti delle azioni incomprensibili del protagonista su chi gli sta vicino; in particolare il detective Mark Alessi, incaricato di seguire il caso di John, si sente profondamente turbato e anche inspiegabilmente vicino a quell’uomo: «Per un istante si sentì confuso; non capiva se difronte a lui ci fosse un uomo mite che nasconde un lato oscuro oppure un uomo oscuro che conserva un lato mite. Ragionevolmente si disse sicuro di una cosa: ogni uomo custodisce dentro di sé il mistero del male e il prodigio della salvezza». E mentre le vittime cominciano ad affiorare, si delinea lentamente lo scenario di una tragica notte di sangue, in cui un uomo buono ha perso la sua anima.

Redazione

Lsd sta per Last smart day, ovvero ultimo giorno intelligente, ultima speranza di una fuga da una cultura ormai completamente omologata, massificata, banalizzata. Il riferimento all'acido lisergico del nostro padre spirituale, Albert Hofmann, non è casuale, anzi tutto parte di lì perché LSDmagazine si propone come cura culturale per menti deviate dalla televisione e dalla pubblicità. Nel concreto il quotidiano diretto da Michele Traversa si offre anzitutto come enorme contenitore dell'espressività di chiunque voglia far sentire la propria opinione o menzionare fatti e notizie al di fuori dei canonici mezzi di comunicazione. Lsd pone la sua attenzione su ciò che solletica l'interesse dei suoi scrittori, indipendente dal fatto che quanto scritto sia popolare o meno, perciò riflette un sentire libero e sincero, assolutamente non vincolato e mosso dalla sola curiosità (o passione) dei suoi collaboratori. In conseguenza di ciò, hanno spazio molteplici interviste condotte a personaggi di sicuro spessore ma che non trovano spazio nei salotti televisivi, recensioni di gruppi musicali, dischi e libri non riconosciuti come best sellers, cronache e resoconti di sport minori, fatti ed iniziative locali che solitamente non hanno il risalto che meritano. Ma Lsd è anche fuga dal quotidiano, i vari resoconti dai luoghi più suggestivi del pianeta rendono il nostro magazine punto di riferimento per odeporici lettori.