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Il nuovo album dei Cosmic Reinassance, Universal Language lo si può definire senza esitazione un successo. Sembrava di essere in partenza per un lungo viaggio, seduti comodamente in aereo mentre il capitano ti invita a prendere posto e ti preannuncia le bellissime tappe del bellissimo viaggio che stai per iniziare. Le sonorità di ogni singolo brano sembravano portarti in diversi angoli del mondo, dal Giappone, agli Stati Uniti passando per l’Australia e le più importanti vette europee e finendo nelle bellissime foreste amazzoniche. E’ proprio il caso di dire che la musica dei Cosmic Reinassance parlava appunto un linguaggio universale. La voce del capitano era quella di Gianluca che con le sue melodie accompagnava ed univa la tromba, il basso, il sax, le percussioni e la batteria con il suo inseparabile partner, il trombone. Come la sequenza di Fibonacci i suoni si propagavano creando paesaggi naturali ricchi di vegetazione, che si aprivano su spiagge incantevoli ed oceani mozzafiato. 

Melodie che ti facevano cavalcare i più importanti generi che partendo dagli anni ‘90 arrivano fino ai giorni attuali. Il jazz che si fondeva con il soul armonioso di Anna Bassi, il rap di Soweto Kinch e l’elettronica di Gianluca e Mirco. 

Suoni unici ed originali che appunto in maniera universale accomuna l’arte intesa nel senso completo di musica, esplorazione, natura ed universo. 

Tra una tappa e l’altra ho avuto la fortuna di poter fare qualche domanda al capitano Gianluca e questo è quello che ci siamo detti: 

Se ti citassi un grande guru come SunRA, oppure un LP come Doo Bop di Miles Davis, prodotto dal producer hip hop Easy Mo Bee, che mi dici in merito? Rientra nelle tue aspirazioni? 

Risp: Beh sicuramente pur essendo due mondi completamente staccati tra di loro sia come periodo storico e sia come sonorità, sono questi, due personaggi o due modi di affrontare la musica, che rientrano appieno in quelle che sono le mie vedute sul mondo della musica. 

Il disco di Miles – Doo Bop ha una forte caratteristica tipica degli anni’80, un sound mezzo elettronico e suonato, che rispecchia i suoni di quel periodo, strizzando l’occhio al mercato. 

Su SunRA ci vedo un po’ più di libertà, surrealismo, che era una tra le caratteristiche principali del personaggio, ci vedo anche tanto carattere dentro; quel carattere che evidenzia la figura del band leader…per intenderci era lui che per primo entrava negli hotel e scrutando le camere decideva quali erano quelle che lo ispiravano di più per sé ed i membri della sua band, in base al sole che entrava, in base all’energia che riceveva da quella stanza, una specie di dottore. Era un mondo tutto suo, un ragionamento interiore, intimo; era un’idea nuova, in un periodo in cui c’era tanta formalità. E quindi queste prime aperture informali che negli anni ‘60 inserivano questi suoni sintetici attraverso sintetizzatori ed altri strumenti strani all’interno del proprio gruppo, era vista come un’innovazione. C’era chi la comprendeva e chi no, come avviene nell’arte, insomma, c’è uno scambio di idee con un opinione che comunque va rispettata. 

Ti senti vicino ai suoni di Shabaka Hutchings? 

Qui cambiamo discorso e andiamo sull’attuale. L’attuale per me ha un significato. L’attuale è per me capire dove orientarsi musicalmente senza fare il verso a qualcuno o copiare l’artista del momento sia musicalmente che a livello di band, usando gli stessi strumenti che adesso vanno di moda. Una delle mie missioni principali nella musica è quella di essere il più originale possibile. 

Per essere più originale possibile, devi catturare alcuni aspetti senza però approfondirli. Per esempio, io posso sembrare uno che ascolta tanta musica, uno “update”, bene informato. 

In realtà ascolto pochissima musica, proprio per lasciare intima quella parte di originalità, che secondo me non deve ricevere tante informazioni; altrimenti si corre il rischio di buttarsi in un qualcosa che c’è già ed a me questo discorso non interessa. 

Questa filosofia potrebbe sembrare quella di uno che si complica la vita, perché devi sempre mettere in moto i neuroni che ti aiutano a mantenerti decentrato dal noto. 

La musica comunque è un mondo infinito che può sempre assomigliare a un qualcosa. La musica è un mondo sterminato. Io che sono un musicista conoscerò solo il 10% della musica globale, pur essendo abbastanza acculturato sull’argomento visto che ho dedicato alla musica tutta la mia vita. Per cui questa enorme giostra che è la musica, va presa a piccole dosi, a secondi dei momenti, del proprio stato d’animo. Ognuno di noi rifugge nella musica in alcuni momenti di gioia e allegria (come una bella serata in un dancefloor con gli amici) o quando alcune cose non funzionano. La musica alla fine è emozione. Oltre ad essere questo per me la musica è un lavoro, devo portare a termine una missione. 

Un occhio all’attuale c’è. Shabaka è un grandissimo artista, ho anche degli amici che hanno suonato con lui parlandomene molto bene. 

La missione è essere decentrati e proporre la propria esperienza.

Tu ritieni che l’arte compresa la musica, abbia l’obbligo di far girare meglio le cose in questo pazzo mondo, che tende sempre a complicarsi di più. Pensi che attraverso una melodia, un testo, si possa trasmettere qualcosa in grado di poter dare un risvolto positivo agli eventi e le tematiche attuali che viviamo 

Certo, certo, questo sicuramente al 100% l’arte può contribuire a questo. Però c’è anche da dire che questa domanda torna ciclicamente nella storia. Non vorrei che diventasse un’utopia o qualcosa di irragiungibile. Noi ci crediamo perché abbiamo una certa sensibilità. Chi apprezza l’arte si vive bene la vita rispetto a chi non l’apprezza. L’arte e quindi la musica. Chi non apprezza la musica, secondo me ha un grosso problema, perché ricollegandoci al discorso di prima, chi non riesce a percepire le emozioni attraverso una bella canzone, o un testo, senza parlare di musica colta, c’è qualcosa di grave in te. Lo stesso lo si può avere davanti ad una bellissima fotografia, una bellissima scultura o opera d’arte. Si è circondati da eventi che non hanno nulla a che vedere con l’arte, penso a scene di cattiveria, egoismo, violenza che purtroppo siamo abituati a vivere. La violenza ahimè è una cosa diffusa, insieme alla maleducazione. Il contributo dell’arte e tutt’altro. Con l’arte non si fa la guerra. 

Ti faccio un esempio pratico parlandoti della classe di musica di mio figlio. All’interno del gruppo vedevo un clima di serenità unico, una quiete unica. La potenza appunto della musica come dell’arte in generale. 

Rimanendo sul tema dei figli, tu pensi che i tuoi figli possano seguire la tradizione musicale di famiglia? 

I miei figli sin da subito si sono mossi all’interno della musica, da bambini da 5 anni in poi, hanno frequentato tante scuole, tanti cori, tra cui l’ultimo che è il coro del conservatorio di Torino frequentato da mia figlia, lezioni di canto. 

Mio figlio ha imbracciato un sacco di strumenti, tra cui la tromba da quando era piccolino. Adesso sono alcuni anni che suona il basso elettrico e continua a studiare e suonare. Purtroppo dato i tempi che corrono, non ci sono più gruppi di ragazzini che suonano insieme. Noi tra l’altro viviamo in una città come Torino, in cui negli anni ‘80/‘90 nei sottoscala o scantinati c’era sempre un gruppo che suonava. Invece adesso i tempi sono cambiati. Non esistono più gruppi musicali. I ragazzi adesso sono sempre tutti a casa a farsi le basi trap. Bisogna comunque accettare l’evoluzione dei tempi. Il mondo si evolve; le situazioni pure; la tecnologia è subentrata in maniera prepotente nel mondo della musica e quindi questo è l’andazzo, senza voler fare discorsi da boomer. 

Secondo te deve sussistere un equilibrio tra la strumentalità, intesa come sonorità che esce dagli strumenti, e l’elettronica? E’ un attimo che ad esempio l’elettronica possa fagocitare la strumentalità o il contrario. Quale pensi sia l’equilibrio tra strumentalità ed elettronica? Collegandomi anche all’esperienza vissuta qualche giorno fa al concerto pensavo anche al fatto che tu hai anche una grande eredità che è quella del trombone tramandata da tuo padre. L’eredità può determinare un vantaggio come anche uno svantaggio perché potrebbe rivelarsi anche un macigno, pensando quindi soprattutto al trombone che può sembrare pesante sia dal punto di vista psicologico che pratico. Invece vedendoti ieri notavo che per te il trombone è uno strumento leggero che, oserei dire, danza insieme a te a differenza degli altri strumenti lui balla. Oltre a questo, che penso sia merito tuo, riesci a creare questa armonia tra i membri del tuo fantastico gruppo e la parte elettronica del brano.

Il trombone può sembrare, come dici tu, uno strumento leggero, in realtà lo è perché io ci ho messo una vita a renderlo tale. Diciamo che non è stata affatto una passeggiata. Effettivamente quello che io ho detto nelle precedenti interviste circa la pesantezza del trombone, ha un fondo di verità ed io lo accetto. Il lavoro è stato enorme e lo è tutt’ora. Per farti un esempio se io passo 3 giorni senza suonarlo, faccio molta più fatica dopo a tornarci su; con i muscoli delle labbra, respirazione, resistenza etc., ed ho bisogno di molto più tempo rispetto a quando lo suono quotidianamente. Quindi tutt’ora resta un impegno importante durante la giornata. Parte tutto dalla famiglia. Come dicevamo, i tempi sono cambiati. Quando ero ragazzino, l’idea del trombone mi era quasi stata imposta. Mio padre non è mai stato rigido, ma in famiglia, come ben sai, si creano quelle situazioni in cui è bene anche accontentare il proprio genitore, anche per una questione di interessi personali. In famiglia tra padre e figlio, c’è un dare/avere continuo che mantiene un equilibrio importante. Alla fine è andata così. Un ragazzino di 10 anni non sceglie autonomamente di suonare il trombone. Mi era stato messo lì con l’idea di approfondirlo. Non posso neanche dire che è partito come un gioco, perché un gioco alla fine non lo è mai stato. In una famiglia di musicisti; una famiglia in cui si lavora molto con la musica non si può definire un gioco, ma una cosa presa con le pinze o i guanti bianchi. 

Per cui già da subito è partita questa esperienza fatta di studio, di metodo, gli anni del conservatorio (il conservatorio sin da subito o sei dentro o sei fuori nel giro di un anno). Studio profondo e metodo quotidiano. E questa è stata la mia esperienza a cavallo della mia infanzia ed adolescenza. 

Finquando poi non ho scoperto che potevo iniziare ad alleggerire lo strumento con qualcos’altro. E quindi visto che i tempi sono cambiati, quello che ora faccio con i miei figli è assolutamente il contrario. Non applico nessun tipo di pressione su di loro. Non sono io che li seguo musicalmente, ma hanno i loro tutori, persone molto preparate che conosco bene, lasciando molta libertà su questo argomento, proprio per non fargli sentire quel fiato sul collo che io percepivo quando ero ragazzino. Questo approccio funziona. A loro la musica piace tanto. 

Intervista di Gianfranco Tau, grazie al prezioso contributo di Gaetano Occhiofino e Gabriele Bottone. 

Redazione

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