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Noi tutti siamo Israeliani! Quelli che vivono all’estero, quelli che si trovano nei territori [Giudea e Samaria, conquistati dopo la guerra dei sei giorni] e quelli che sono a Tel-Aviv. Di destra o di sinistra, neri o bianchi, in bikini o in scuri caffettani, con in testa la kippàh o calvi e a capo scoperto, o calvi con la kippàh1.
Noi questo non riusciamo ancora a capirlo, ma il Tempo è un gran signore. Lui non mente. Su di noi pesa in tutto il mondo qualcosa come una condanna, la “condanna del silenzio”. Ci hanno condannati, ma noi a chi lo ha fatto rispondiamo con il gran bel gesto dell’ombrello (tiè’!), anche se tra di noi bellamente ci mandiamo a fare in culo l’un l’altro.
Quando nel 1992 io dissi a Šmulik, mio superiore, che l’arresto amministrativo degli Arabi era qualcosa d’immondo, lui non mi capiva, fin quando poi nel 1994 non finí lui stesso in carcere, proprio in forza di quella delibera. Gli abitanti di Sderót nel 1994 non capivano com’era possibile per noi, coloni, vivere a Gaza, in Giudea e in Samaria. Adesso lo capiscono2. Gli abitanti di Aškelón [Ascalona] e Beèr-Ševà nel 2005 non potevano capire come fosse possibile vivere a Sderót. Adesso lo capiscono.
D’altro canto, in tutto il mondo si fanno dimostrazioni contro gli Israeliani, contro di noi. A nessuno, però, viene in mente di chiedersi come fanno a vivere, sotto la minaccia continua di attentati e lanci di razzi, milioni d’Israeliani! E s’impietosiscono nei confronti degli Arabi. Anch’io provo molta compassione nei loro riguardi. Se, però, non c’è nessuno disposto a capire noi, tanto meno qualcuno potrà comprendere loro. Gli Arabo-palestinesi non possono (non devono) sapere che gli Israeliani hanno fatto ridurre di cinque volte tra di loro la mortalità infantile; che il livello di vita in Giudea e in Samaria è di otto volte superiore a quello dell’Arabia Saudita, della Giordania e dell’Egitto. I socialisti israeliani, alla guida degli Arabi hanno fatto venire dei banditi, gentaglia che tappa la bocca, che saccheggia e violenta, che si fa scudo di donne e di bambini.
E, invece, noi e loro siamo tutti israeliani, discendiamo tutti da Giacobbe, ovvero da Israele, tutti uguali. Noi mandiamo i nostri ragazzi a combattere, ma raccomandiamo loro di fare grande attenzione. Non abbiamo nulla in contrario che i militari israeliani, prima di attaccare gli arsenali dei missili “Grad [Grandine]”, avvertano per telefono la popolazione civile, affinché scappi per salvarsi. Noi siamo israeliani. Non abbiamo bisogno di sangue innocente.
Siamo Israeliani.
Fuori dei confini d’Israele, la minaccia di morte per gli Ebrei è ancora piú grave che all’interno del Paese, come ampiamente lo dimostra la strage di Bombay del novembre 20083. E noi, comunque, non abbiamo paura, a dispetto di quanto cercano di far credere tutti gli organi di comunicazione di massa. I nostri ragazzi, già un’ora dopo le esplosioni, riprendono a frequentare gli autobus e i centri commerciali. A noi, la “congiura del silenzio” ci fa proprio un baffo! Ecco, per esempio, una battuta colta al volo tra due civettuole ragazzine di Kiryàt-Arbà:
“Sai, bisogna indossare sempre biancheria intima elegante. Non si sa mai, ci può essere qualche attentato terroristico e allora può capitare che venga a metterti in salvo qualche soldato giovane e carino!?!”.
Noi siamo Israeliani!
A dire il vero, questa cosa a noi stessi non risulta sempre chiara. Se teniamo presente, infatti, la realtà di Meà Šearím [ebr.: “cento porte”; quartiere ebraico ultra-ortodosso di Gerusalemme] con tutti quei caffettani scuri e quei nugoli sciamanti di bambini, allora ci sembrerà che proveniamo da pianeti diversi. E, invece, noi siamo tutti Israeliani. Neppure i nostri ultra-ortodossi se ne stanno senza far nulla, perché si preoccupano di dare un’istruzione ai loro bambini. Il 95% degli Israeliani è come i bambini di Meà Šearím e Kiryàt Sefér. Tutti noi, infatti, proveniamo da paesini della Russia o della Polonia, dello Yemen o del Marocco, dell’India o dell’Etiopia.
Noi siamo Israeliani.
A noi insegnano che, incontrando un terrorista, bisogna andargli incontro. Non si deve né scappare né tentare di venire a patti, ma soltanto attaccare. E il dito ha da esser fermo sul grilletto. Noi non spariamo indiscriminatamente, anche se siamo bene armati. Sopra di noi grava il giudizio di Dio, anche su coloro che in Lui non credono.
Noi siamo Israeliani. E non siamo qualcosa d’inventato, come ha fatto Jurij Andropov nel 1972, inventando il “popolo palestinese”! 4
Noi siamo Israeliani. Discendenti da Israele, cioè da colui che lottò con l’Angelo e ne venne fuori vittorioso, com’è universalmente noto. La nostra Toràh è alla base del cristianesimo e dell’Islàm: non sarà mica per questa ragione che ci hanno condannati a morte “per mezzo del silenzio?!?”.
Noi siamo Israeliani. Non vogliamo ammazzare nessuno, vogliamo solo vivere in pace. Noi siamo disposti persino ad aiutare gli Arabi, e in modo assolutamente gratuito, affinché raggiungano condizioni di vita da XXI secolo, pervenendovi direttamente dall’XI, cioè da un’epoca primitiva e barbarica. In essa noi non ci faremo mai trascinare. Perché noi siamo Israeliani.
Il nostro grande saggio, Moshe Ben Maimòn già nel XII secolo aveva acquisito delle conoscenze ignote alla maggior parte dei popoli di tutto il mondo. Adesso se ne sono appropriati gli Arabi, che lo chiamano Ibn Majmún, e i cristiani, che lo chiamano Maimònide5.
Noi siamo Israeliani. Dal nulla abbiamo costruito un Paese, che si trova oggi nel novero dei trenta piú sviluppati nel mondo. Un Paese economicamente solvibile, nonostante le continue spese per motivi di guerra. Il 25% delle realizzazioni di questo Paese si deve a noi, Ebrei provenienti dalla Russia. Ma anche noi, e da tempo, siamo divenuti Israeliani.
Siamo Israeliani! E in grado di esistere autonomamente.
Ma adesso da noi si è verificata una situazione come quella della Polonia del 1939, quando “i migliori dei migliori erano governati dai peggiori tra i peggiori ” per usare una ben nota frase di Winston Churchill.
Noi, però, non abbiamo alcuna scelta! Nonostante la venalità di chi detiene il potere, noi dobbiamo resistere fino alla fine, disdegnando quel malcostume. Ne va della propria vita. E noi a quel prezzo non ci stiamo. Io ai ragazzi vado dicendo che dell’opzione “prigioniero” non se ne parla nemmeno. È come con i leoni in gabbia: mordere fino all’ultimo! L’ opzione “prigioniero” è negata anche a tutti gli Israeliani.
Tutti noi siamo Israeliani, anche coloro che non sono ebrei religiosi osservanti.
Siamo israeliani, ma non nel senso che a questa parola attribuisce il nostro venduto presidente, quando dice che, dopo aver fatto evacuare gli Ebrei da Gaza, gli Israeliani hanno vinto gli Ebrei. Sarà stato lui a vincere dentro di sé l’Ebreo, vendendosi al nemico (un medico arabo di Gaza all’emittente “Galats” si è lasciato scappare la dichiarazione che i suoi rapporti con il “Fondo Peres”6 non hanno soluzione di continuità).
Noi siamo Israeliani, perché abbiamo scelto di vivere in Israele, e perché, in una certa misura, siamo legati a Israele o ai suoi discendenti.
NOI SIAMO ISRAELIANI!
Ivan Navi
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* Ivan Navi (1958 , Frunze, oggi Biškék , capitale del Kirghizistan). Immigrato in Israele nel 1991.
Vive a Kiryàt-Arbà, non lontano da Hebron, dove svolge un’attività di vigilanza assimilabile a quella del custode scolastico in Italia. Scultore, pubblicista e cantautore russofono.
Questo articolo, scritto nel 2009 e presente nel suo blog all’indirizzo: http://i-navi.livejournal.com/113569.html,
a me è parso assai utile, in quanto offre un’originale immagine della realtà politica israeliana. Per questo motivo, ho ritenuto opportuno tradurlo (dall’originale russo) e presentarlo al pubblico italiano, corredato da alcune note per una migliore comprensione.
1 La kippàh è il copricapo tipico degli Ebrei religiosi osservanti. La calvizie (o pelata), invece, in un certo senso contraddistingue gli Ebrei laici o addirittura antireligiosi della Grande Tel-Aviv. Intanto, da una decina di anni si è fatto avanti un nuovo gruppo che cerca di conciliare le posizioni di quei due gruppi. Di qua, la qualifica dell’Autore “calvi con la kippàh”.
2 Dopo la vittoriosa “guerra dei sei giorni” (1967), Israele estende i suoi confini nella striscia di Gaza e in Cisgiordania (Giudea e Samaria), dove impianta proprie colonie tra la popolazione araba. Se sul piano politico il fatto viene contestato da diverse istituzioni internazionali (una per tutte, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU), sul piano economico e sociale, nonostante una parziale presenza militare israeliana, risulta positiva l’influenza dei coloni sul tenore di vita della popolazione araba. Ma questo fatto non solo non è riconosciuto dai dirigenti politici arabo-palestinesi né dal mondo occidentale, ma, in seguito al trattato di Oslo, e ancor piú dopo il ritiro dei militari e (forzatamente) dei coloni dagli insediamenti nella Striscia di Gaza e da un paio di centri della Cisgiordania, viene addirittura accolto con un incremento di atti terroristici e lanci di missili su centri urbani israeliani confinanti (Sderòt, Aškelón [Ascalona], Beèr-Ševà). Se, quindi, gli abitanti di queste città, che non si azzardavano ad entrare nei territori in cui avvenivano attentati e si uccideva, non capivano come fosse possibile per i coloni vivere in quelle condizioni, adesso, che anche loro sono oggetto di bombardamenti, se ne rendono conto! Il fatto, comunque, dimostra l’intransigenza dei dirigenti arabo-palestinesi nei confronti degli Israeliani in relazione a qualsiasi accordo.
3 In: http://www.focusonisrael.org/2008/11/30/mumbai-gli-ebrei-trucidati-perche-ebrei (25 /06/2015)
4 “popolo palestinese”: l’espressione è frutto (velenoso), tra l’altro, di quell’intensa e continua propaganda del KGB, il quale sin dagli anni ’60 del secolo scorso ha operato con ogni mezzo (terrorismo compreso), al fine di seminare, principalmente in tutto il mondo islamico, un odio viscerale e mortifero contro lo Stato d’Israele e vanificare ogni influenza degli Stati Uniti nell’area mediorientale.
Vedi: Ion Mihai Pacepa, in: https://it.wikipedia.org/wiki/Ion_Mihai_Pacepa (25.06. 2015).
Inoltre, esposizione molto piú ricca e dettagliata, in russo, in: http://mishmar.info/kto-izobrel-mirniie-process-i-palestinskiie-narod.html (25.06.2015). Cfr. anche: Giulio Meotti, Dizinformatia, in IL FOGLIO, 8 luglio 2013, http://www.ilfoglio.it/articoli/2013/07/08/disinformatia___1-v-95668-rubriche_c317.htm (25.06.2015)
5 Maimònide (ebr.: Mōsheh ben Maimōn; l’abbreviazione con cui è noto, RAMBAM, è una sigla di Rabbī Mōsheh ben Maimōn; arabo Abū ‘Imrān Mūsā b. Maimūn b. ‘Abd Allāh). – Filosofo, medico e giurista ebreo (Cordova 1135 – Il Cairo 1204). Il pensiero di Maimònide rappresenta il più alto livello raggiunto dalla speculazione ebraica medievale. Nella sua opera Dalāla al-ḥā’irīm (“Guida per i perplessi”) egli tende a dimostrare (fondandosi su Aristotele) che non esiste un contrasto tra la filosofia razionale e gli insegnamenti della religione, i quali possono coesistere in un armonico equilibrio (http://www.treccani.it/enciclopedia/maimonide) ( 25.06.2015).
6 Il “Fondo della Pace” (creato da Yitzhak Rabin e Shimon Peres, destinatari, insieme con Yasser Arafat, del Nobel per la pace nel 1994) diviene poi “Fondo Shimon Peres”. Sorto per sostenere lo sviluppo dell’economia dell’Autorità Autonoma Palestinese, raccoglie denaro in tutto il mondo. Non è esente da sospetti e scandali finanziari.
Per un profilo del personaggio “Shimon Peres”, molto discutibile, si può utilmente consultare i seguenti indirizzi, in lingua russa [http://kuking.net/my/weblog_entry.php?e=10349&sid=1e0534e01f58a9774a2e4055e6a8fc52 (25/06/2015); http://botinok.co.il/node/70256; http://israill.boxmail.biz/cgibin/guide.pl?action=article&id_razdel=161335&id_article=216916. (25.06.2015)]; ma anche questo.