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La tre giorni di “Identità Golose” edizione 2023 svoltasi a Milano ha segnato il raggiungimento della maggiore età per questo decisivo appuntamento della cultura enogastronomica internazionale, il cui titolo era: “Signore e signori, la Rivoluzione è servita “.

Poiché – come diceva Croce – le idee camminano sulle gambe degli uomini, ognuno degli autorevoli relatori ha dato la propria personale e sempre plausibile interpretazione al concetto di rivoluzione del settore, rivoluzione maturatasi nel dopo pandemia e durante il conflitto russo-ucraino.

Non ci sono stati né limiti né confini geografici: tutti hanno preso un mezzo e da ogni angolo del pianeta sono arrivati all’appuntamento milanese.

Finalmente – ha esordito Paolo Marchi – nella sala auditorium c’è rumore, c’è gente c’è il via vai cui eravamo abituati”. Tira un sospiro di sollievo il patron di I. G. assieme a Claudio Ceroni dando il via alla rassegna. Una tre giorni ricca di analisi accurate e di approfonditi confronti con tutti gli addetti ai lavori: dagli chef, ai produttori di cibo e di vino, ai ristoratori, agli addetti alla comunicazione.

Giornate piene di tanti interessanti appuntamenti nell’auditorium e nelle varie sale, fra i quali era davvero difficile fare delle scelte, risultando pressoché impossibile seguirli tutti.

Un fattor comune è emerso in questa edizione: la voglia (o forse, piuttosto, la necessità) di cambiare, di dare spazio ai giovani per costruire il futuro e prima ancora, soprattutto, cercare di capire dopo la pandemia quali trasformazioni siano avvenute nelle abitudini, nei ritmi, nei gusti, nelle scelte esistenziali di fondo di ciascuno di noi.

Ognuno degli illustri intervenuti ha offerto la propria chiave di lettura della “ Rivoluzione “, interpretazioni tutte sempre plausibili, mai frutto dell’inseguimento delle tendenze del momento ma il più delle volte figlia dei propri studi, sacrifici, approfondimenti e scandagliamento dei territori.

Introduzione di Paolo Marchi, che ha individuato nel coraggio l’elemento fondante di ogni rivoluzione, poiché senza il coraggio e la volontà di cambiare lo status quo nessuna rivoluzione è mai possibile.

A seguire Carlo Cracco si è innanzitutto soffermato sulla rivoluzione portata dai grandi mutamenti climatici che, giocoforza, comportano grandi cambiamenti, anche nelle coltivazioni dei prodotti agricoli, come ad esempio l’avocado divenuto protagonista delle coltivazioni siciliane. Ciò lo ha indotto a presentare il piatto guida di Identità Golose: avocado, kiwi e coriandolo a conferma dell’incidenza che i grandi sconvolgimenti climatici hanno sulla scelta delle materie prime da parte degli chef. Assieme a Luca Sacchi, Cracco ha anche presentato il “ coniglio in bianco “, piatto che sintetizza la necessità di recuperare l’antica tradizione abbinandola all’innovazione.

L’interpretazione che Massimo Bottura ha dato del concetto di rivoluzione è nel fatto stesso di dire che: “Il futuro è già qua, noi dobbiamo solo prendere il meglio del passato, guardarlo in chiave critica e portarlo nel futuro. Parliamo quindi di evoluzione più che rivoluzione “.

Tra i grandi che sono intervenuti non si può non ricordare Harold McGee, scienziato e autore del best seller “On food and cooking”.

Nel suo ultimo libro “Nose Dive: A Field Guide to the World’s Smells”, in procinto di uscire anche in libreria da noi, McGee cerca di richiamare la nostra attenzione sul senso dell’olfatto, il più primordiale dei sensi – a suo dire – e che pare addirittura in via di atrofizzazione, pur rappresentando il magazzino dei ricordi dell’essere umano, la memoria storico-esistenziale di ciascuno di noi. Nel suo intervento magistrale, egli spiega come scienza e mercato stiano tentando la via per individuare, catturare, immagazzinare e classificare i profumi. L’olfatto, tuttavia, per non essere definitivamente perso deve essere costantemente allenato. Anche in modo elementare, dice McGee, “basta mangiare con un poco di consapevolezza. Impiegare una parte del proprio tempo ad annusare è un trucco per non avventarsi sul cibo”.

Parimenti interessante è risultato l’intervento di Norbert Niederkofler, che ha spiegato come, proponendo la genuinità della cucina delle Alpi (richiesta istintivamente dai suoi clienti), ha recuperato genuinità, tradizione e territorio, conquistando, in tal modo, la terza stella.

Un discorso a parte merita il discorso profondo fatto da Antonia Klugmann, straordinariamente innovativa come sempre e particolarmente emozionata sul palco.

Un livello intellettuale notevole, che la porta alla continua ricerca, fatta sempre di persona, di microterritori e prodotti agricoli tipici, riempiendo di significato quel concetto di sostenibilità che spesso usato a sproposito o come vacuo artificio retorico.

La Klugmann ha presentato due piatti, tra i quali un risotto non risotto, vale a dire riso mantecato con una crema di riso a crudo, ricavata dall’ammollo di riso Carnaroli, del tutto privo di grassi animali, compresi burro e parmigiano.

Altro apprezzatissimo contributo ad I. G. è stato quello di Moreno Cedroni, che ha esordito operando un distinguo fra rivoluzione istintiva quasi una “ribellione“e rivoluzione matura, pronta ad arrivare al cuore partendo, tuttavia, dagli archivi delle ricette d’epoca, e ricorrendo persino all’innovazione del modo di presentare i piatti: ad esempio, un piatto di cera per contenere la pietanza oppure cibo da mangiare con il dito. La sua rivoluzione figlia dei viaggi e della contaminazione, una innovazione continua che lo ha, per questo, visto premiato assieme a Luca Abbadir.

Il grande successo di pubblico presente in ogni spazio della manifestazione ha confermato che I. G. 2023 può essere ragionevolmente considerata la Rivoluzione della ripresa e del rilancio, assicurata anche dalla presenza di esperti ed addetti ai lavori provenienti da ogni angolo della Terra, ricchi di spirito di iniziativa, grande curiosità e voglia di intraprendere innovando ciò che della tradizione va salvaguardato. Un po’, come fece Mario Soldati nel dopoguerra con il suo “Viaggio nella valle del Po“ e come ha cercato di fare la serie Netflix “ Chef’s Table “: non limitarsi a raccontare piatti, ma uomini, luoghi ed esistenze.

Testo e foto di Francesca De Leonardis (riproduzione riservata)

Redazione

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