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"propatria"

Ancora pochi giorni per vedere “Pro Patria” al Piccolo Teatro Grassi di Milano fino a domenica 27 maggio.

Non è facile affrontare un teatro gremito di gente e proporre loro un monologo di ben due ore, nel quale i due temi principali sono la storia d’Italia, dal rinascimento agli anni 70, e la vita carceraria. Ma stiamo parlando di Ascanio Celestini, l’uomo dei monologhi, che più che un attore è un ottimo scrittore che sa raccontare veramente bene le sue storie. Struttura il suo spettacolo come fosse una forma sonata, ma senza musica. Espone i due temi, uno ben caratterizzato ritmicamente, e l’altro più melodico e nostalgico, li sviluppa, per poi riprenderli in una tonalità più intima, terminando con una coda sfumata che lascia aperti, nel cuore e nella mente dell’ascoltatore, mille pensieri e considerazioni. Sul palco un carcerato, o meglio un ergastolano, detto in gergo di galera “erbivoro”, intento a preparare un “Discorso sulla Controvertigine” che verrà declamato il 99.99.9999, data dell’ultima rappresentazione al “Teatro degli Erbivori”, e per farlo chiede aiuto al fantasma di Mazzini e con lui parla per tutto lo spettacolo. Ma che cos’è la Controvertigine? È quella spinta inconscia che fa desiderare di lanciarsi nel vuoto quando ci si affaccia da una grande altezza. Una voglia di sperimentare l’ignoto, di volare, di…”buttarsi”, verso qualcosa di assoluto, anche se l’approdo potrebbe essere la morte.

Celestini ripercorre tutti i campi di battaglia del Risorgimento, o meglio, nella sua visione della storia, della Rivoluzione Risorgimentale. Si perché Celestini riassume la storia di Italia con tre Risorgimenti, quello delle guerre di indipendenza, quello avvenuto con la rivoluzione partigiana, e il ’68. Racconta quelle che sono state le illusioni perdute, le utopie dei giovanissimi Mameli, Dandolo, Pisacane, ecc., l’estromissione di Pio IX dai poteri temporali e il conseguente sogno breve (dal 9 febbraio al 4 luglio 1849) di una Repubblica Romana senza Tribunali né Carceri, e vede l’unificazione del paese come il tradimento di quel sogno, perchè derivante da un’operazione colonialista messa in atto dalla real casa sabauda. Il secondo tentativo di rinascita e liberazione è nella guerra partigiana, nella quale si ambisce ad un paese fondato sulla giustizia, una guerra patriottica, lotta di liberazione da un invasore straniero, una guerra civile, tra antifascisti e fascisti, una guerra di classe, con aspettative rivoluzionarie soprattutto da parte di alcuni gruppi partigiani socialisti e comunisti. E alla fine arriviamo al ’68, il periodo storico al quale appartiene il carcerato che parla, dove l’obiettivo è una trasformazione radicale della società, sulla base del principio di uguaglianza, di rinnovamento della politica, dell’eliminazione di ogni forma di oppressione sociale e di discriminazione razziale.

Siamo un Paese nato nelle carceri. E da un carcere con la porta chiusa si esce solo abbracciando la controvertigine per saltar dalla finestra.” afferma Celestini. È così che lui lega la storia d’Italia, alla vita carceraria e alla Controvertigine. Ma in quelli che lui chiama i tre risorgimenti, la controvertigine nasceva dalla ricerca di una giustizia, bramata, dolorosa, necessaria, che spingeva a buttarsi, ad osare e lottare. E le carceri erano un “scuola di vita", che fomentava il coraggio e il bisogno di ribellione. Ma quando arrivi in un carcere per modivi diversi dalla lotta, perché hai ucciso, rubato, o perché la vita o lo stato ti hanno indotto a vivere una condizione fuori dalla moralità, fuori da quello che avresti desiderato fosse la tua vita, fuori dalla concezione di ciò che è giusto o sbagliato, allora la controvertigine è solo una spinta verso il vuoto, lontano da tutto quello che ti ha portato lì dentro, lontano da una situazione che non sai sopportare, o affrontare…

Celestini ci racconta una storia, quella del Negro Matto Africano, una storia divertente e tragica nello stesso tempo.  Il Negro Matto Africano prima prova a scappare dalle carceri travestendosi da guardia, ma di guardie nere in Italia non ce ne sono, e il suo tentativo fallisce. Allora decide di usare tutta la sua forza per distruggere ogni ostacolo, ogni parete, ogni schema gli si presenti davanti, ed andare dritto, sempre dritto, verso la libertà! Si perché lo sapeva persino il Negro Matto Africano Euclideo che la linea più breve fra due punti è la retta. Si spoglia, nudo, si unge di percolato di discarica, e fugge correndo, correndo via dal carcere, attraversando lo stadio, l’intera città, le periferie, fino ad arrivare sulla spiaggia di Maccarese e lì incontrare il Mare. Allora capisce che stava scappando dalla sua prigione per ritrovarsi dinnanzi ad una prigione ancor più grande ed ostile, che ha risucchiato tanti degli immigrati che come lui cercavano la libertà, una prigione la cui forza è troppo grande, persino per uno grande e grosso come lui. E così ripercorre correndo la sua strada e torna in prigione, quell’ambiente che ormai gli era famigliare, che ormai aveva scandito i ritmi della sua vita.

Non so se Celestini, scrivendo il testo di questo spettacolo, abbia trasportato nella sua immaginazione la realtà di questi giorni, ma forse quando l’ha scritto non eravamo ancora arrivati a questo punto. Di contro, uscendo dal teatro, la profondità dei messaggi da lui buttati addosso e dentro la folla, mi ha colpito come uno schiaffo e ho rivisto le faccie di tutta la gente che oggi giorno si suicida perché senza lavoro, in quella del Negro Matto Africano. E la triste realtà è che anche adesso viviamo dentro una prigione, nella quale la televisione e il consumismo, ci hanno fatto crescere. Una prigione che non è una scuola di vita, di cultura e di coraggio, ma è qualcosa dalla quale non siamo capaci di uscire. E trovandoci davanti alla prigione più grande, che sarebbe la mancanza di lavoro e quindi di soldi, nasce in molti la spinta della controvertigine a buttarsi di fuori e ad abbandonare questa vita, credendo che l’unica soluzione sia questa. Dovremmo forse imparare qualcosa da quegli uomini che hanno fatto la rivoluzione? Non dico solo da un punto di vista politico e sociale, ma anche da un punto di vista personale. Questa prigione, nella quale ci ritroviamo, dovrebbe spingerci ad agire, a lottare contro la nostra pigrizia e la nostra “comodità” per ricercare ed inseguire il nostro diritto alla cultura, alle passioni, alla voglia di vivere e di lavorare per crescere. Ma non voglio dilungarmi oltre sul turbinio di pensieri che mi ha investito assistendo a questo spettacolo, ne ho riportato qualcuno solo per elogiare la genialità e la forza espressiva di Celestini, che vale la pena andare a vedere.

www.ascaniocelestini.it

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Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.