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"Capaci"
La strage di Capaci. Alle 17,48 di sabato 23 maggio, Giovanni Falcone e la moglie, Francesca Morvillo, atterrano all’aeroporto palermitano di Punta Raisi. Hanno deciso, all’ultimo momento, di passare il fine settimana in famiglia a Palermo. All’aeroporto sono ad attenderli 6 uomini di scorta su due auto e una terza vettura blindata con l’autista Giuseppe Costanza per l’alto magistrato. Falcone chiede a Costanza di prendere posto sul sedile posteriore. Sarà lui stesso, con la moglie accanto, a guidare l’auto fino a Palermo. Il piccolo convoglio si mette in moto. La macchina di Falcone è preceduta e seguita dalle auto di scorta. Le tre vetture escono dall’aeroporto e imboccano l’autostrada per Palermo. All’altezza dello svincolo della piccola cittadina di Capaci, 30-40 metri di autostrada letteralmente si sollevano ed esplodono. La prima vettura di scorta salta in aria insieme a blocchi d’asfalto e viene catapultata in un campo a 100 metri di distanza. L’auto di Falcone vola anch’essa in aria per qualche metro, poi piomba nel cratere sottostante dove viene semi sepolta da pezzi d’asfalto, pietre e terreno. La seconda vettura di scorta tenta una disperata frenata, ma non può evitare il tamponamento: il rinculo salva la vita ai tre agenti. E’ una strage. Seicento chili di tritolo piazzato sotto uno stretto viadotto ha distrutto 50 metri di corsia d’autostrada che conduce a Palermo. Lo spostamento d’aria è stato così violento che ha sollevato da terra due auto sulla corsia opposta. Una, dopo un paio di piroette s’è ritrovata sulle gomme, l’altra si è adagiata su un fianco. Gli occupanti ne usciranno feriti, traumatizzati, ma vivi. Sulla corsia del piccolo convoglio, intanto, i primi soccorritori cominciano a contare le vittime. Per i tre agenti sulla vettura di testa, non c’è più nulla da fare. Giovanni Falcone, la moglie e l’autista vengono estratti dalle lamiere contorte dell’auto blindata ancora vivi, ma giungono all’ospedale di Palermo in condizioni disperate. Falcone muore dopo pochi minuti; la moglie, dopo due ore di straziante agonia; l’autista, Giuseppe Costanza, resta fra la vita e la morte per due giorni ma riesce a salvarsi. Due dei tre agenti uccisi, erano pugliesi. Antonio Montinaro, 32 anni, era di Calimera in provincia di Lecce; Rocco Di Cillo, 30 anni, era di Triggiano alle porte di Bari; Vito Schifani, 27 anni, era di Palermo. Lasciano mogli, figli e fidanzate. Ancora cinque vittime meridionali, di quel Meridione "assistito e parassita" i cui figli non esitano a donare la vita in lotte che appartengono alla comunità, al Paese, allo Stato. Accadeva negli anni Settanta con la lotta al terrorismo, accade negli anni Novanta con la lotta alla mafia prodotti di una cultura statuale che fin dall’unificazione ha sempre diviso il Paese in due: da una parte feudatari e vassalli dell’economia e dell’industria, dall’altra valvassori, sudditi, servitori. Il 24 maggio le cinque salme sono esposte in una camera ardente nel Palazzo di Giustizia a Palermo. Il 25 i funerali. In questi due giorni, a seguito degli scandali di ‘tangentopoli’, muore un’altra parte della prima Repubblica. Sfilano davanti all’ennesima sconfitta dello Stato, Giovanni Spadolini, provvisorio Capo dello Stato; Vincenzo Scotti, in rappresentanza del Governo – Giulio Andreotti, che si era precipitato a Palermo per l’omicidio di Salvo Lima, se ne resta a Roma – Giovanni Galloni, vice presidente del CSM e Claudio Martelli, ministro della Giustizia. Hanno tutti i volti scuri, afflitti, sconsolati. All’opposto della folla che li accoglie con fischi, urla, rabbia e lancio di monetine… fuori di qui, buffoni… vergogna… fate schifo. Spadolini farfuglia qualche frase di circostanza e scappa via; Scotti se ne sta zitto; Galloni avrà il coraggio di dire… Falcone era il numero uno… ma condivideva l’opinione comune nel CSM che non lo voleva al vertice della Superprocura. Soltanto Martelli non sarà oggetto di scherno. Stesse scene, stessa rabbia, il giorno successivo fuori dalla Basilica di San Domenico dove si sta celebrando il rito funebre che ha un momento di grande commozione quando, dall’altare, la vedova di Vito Schifani, Rosalia, quasi soffocata dalle lacrime, legge un testo preparato da Don Cesare Rattoballi: uomini della mafia che siete anche qui dentro, io vi perdono. Ma se anche avete il coraggio di cambiare dovete mettervi in ginocchio. Rosalia si ferma, non segue più il testo, si guarda in giro e sconfortata commenta: ma loro non cambiano, non vogliono cambiare. Si riprende, torna a leggere: vi chiediamo di operare per la pace, la giustizia, la speranza, l’amore per tutti… e, ancora una volta si ferma e in un sussurro aggiunge: ma no, non c’è amore qui, non ce n’è per niente! Infine, sopraffatta dal dolore, singhiozza e sviene. La bara di Falcone e della moglie esce dalla Basilica portata a spalle da un nugolo di magistrati. Due ore dopo, in una seduta straordinaria del CSM nel Palazzo di Giustizia di Palermo, il ministro Martelli, a muso duro, afferma: quello che tecnici improvvisati, magistrati di parte e politici faziosi non avevano capito, lo ha perfettamente capito la mafia. Le critiche maliziose, le insinuazioni subdole, i tentativi di delegittimazione la mafia li ha spazzati via. La mafia ha scritto la parola fine alle polemiche, eliminando fisicamente chi meglio l’aveva saputo combattere, confermando agli occhi dei dubbiosi, dei disonesti, dei rivali invidiosi che Falcone restava per la mafia il pericolo numero uno. Tornato a Roma, Martelli, chiede al CSM di riaprire il concorso per la nomina del Superprocuratore antimafia. Ma commette, di nuovo, l’errore di indicare il candidato: Paolo Borsellino. Spiacenti, risponde il CSM, per noi il candidato era e resta Agostino Cordova già procuratore di Palmi. "falcone-con-la-moglie"Sarà la Magistratura ad avere l’ultima parola, ma non prima che la mafia compia una nuova, terribile strage. La sera dei funerali delle cinque vittime di Capaci, i mille e passa grandi elettori pongono fine al "vergognoso" spettacolo offerto dal Parlamento al Paese per eleggere il Capo dello Stato… a quanto sembra – scrive la Gazzetta – i partiti della disciolta maggioranza, non hanno compreso le istanze di cambiamento emerse dal voto del 6 aprile precedente.
Nella notte del 25 maggio, Oscar Luigi Scalfaro è eletto Presidente della Repubblica. il Parlamento nega di aver votato con ‘la pistola alla nuca’ – commenta il giornalista Pietro Marino – spieghi come vuole, l’importante è che si sia verificato l’atteso sussulto di responsabilità. Scalfaro diventa presidente in un momento drammatico per il Paese, scrive, invece, Giuseppe De Tomaso: con l’assassinio del giudice simbolo dell’antimafia, con una crisi politica senza facili vie d’uscita e una situazione economica ogni giorno più grave il nuovo Capo dello Stato non avrà un compito facile. Perseguitato, per anni, da parole non sempre elogiative – bigotto, clericale, bacchettone, quaresimale, conservatore, fustigatore dei costumi – Oscar Luigi Scalfaro è, e resta, un garante inflessibile della Costituzione. Il sistema necessita di una "grande riforma", per farlo ha scelto per arbitro un "Padre della Repubblica". Se sarà lui a traghettare il Paese dalla prima alla seconda Repubblica, lo vedremo.
Si, sarà lui, ma non senza traumi. La medicina sarà peggiore della malattia. Avrà tanti e tali "effetti collaterali" da riempire di "metastasi" l’intero corpo del Paese in meno di vent’anni.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.