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"Medea
La maestria delle tredici sarte di Artelier è il tocco tutto barese della Medea andata in scena in prima mondiale il 3 settembre 2011 al Teatro Petruzzelli di Bari. L’intero allestimento è assai ardito, con profonde pennellate di avvenirismo, sapientemente calibrate da una coreografia efficacissima. La drammaturgia è forte e compatta per un’ora e mezza di "Spettacolo Totale". Davide Bombana, coreografo, è riuscito pienamente nel suo lavoro di riscrittura del mito di Medea in cui nulla vi è di superfluo. Non potevamo aspettarci nulla di meno da uno dei danzatori preferiti dal grande Bejart, insignito di vari premi come miglior coreografo italiano nel mondo.
La densità drammatica è al limite del radicalismo. Sembra, in più di un momento, di essere dentro una drammaturgia di Heiner Müller, uno dei grandi innovatori del teatro tedesco della fine del XX secolo. Tratti di post moderno incontrano il barocco, per poi tornare all’essenziale. Arcaismo e pervicacia affrontano e sfidano le convenzioni dei segni. Il dentro e il fuori, il vuoto e il pieno, il bene e il male sono solo punti di vista.
Tutti i personaggi sono etici, tendono alla conservazione di una "moralità di base" che non permette loro di guardare fuori da sé. L’unico personaggio che viola tutte le convenzioni è Medea, che ricerca una propria via, sempre e comunque sorretta nelle proprie decisioni dal Messaggero di Morte un personaggio estraneo alla tragedia euripidea ma che funge da collante narrativo e da coscienza esterna dei personaggi.
Non sappiamo se Davide Bombana si sia mai imbattuto nel saggio dal titolo "The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind", dello psicologo clinico statunitense Julian Jaynes, ma l’intera opera sembra prendere le mosse proprio dalle teorie presenti in questo volume che in Italia è stato coraggiosamente pubblicato con successo da Adelphi, "Il crollo della mente bicamerale e la nascita della coscienza". Uno degli aspetti più interessanti del saggio, infatti, riguarda gli eroi antichi: non esisteva per loro una coscienza di sé, come per l’uomo moderno. L’introspezione era impossibile e l’essere umano percepiva suggerimenti positivi o negati, a seconda dei casi, nei momenti di forte stress. La voce interiore non era avvertita come tale, ma come un dato esterno che dava luogo alle azioni.
"Medea”Il personaggio del Messaggero di Morte, interpretato dallo splendido e versatile Percevale Perks, ha esattamente questa funzione di narratore e suggeritore delle vicende umane agli stessi personaggi della tragedia. Essi inizialmente sembrano "sospendere il tragico" indagarne le pieghe e gli anfratti, svelarne i trucchi, ma quasi sin da subito si comprende che l’innesco iniziale provoca un folling down senza possibilità interruzione se non con un finale, che torna a sospendere l’azione.
Dopo l’amore fisico tra Medea e Giasone i rapporti di forza cambiano e la giovane donna pone sulle spalle dell’avventuriero, eroe rampichino, il Vello d’Oro, una sorta di reliquia, simbolo stesso della Còlchide e della sua gente. Giasone è un po’ come Parsifal alla ricerca del sacro Graal, ma la conquista del Vello non gli serve ottenere benefici interiori o redenzione spirituale, ma solo riconoscimenti sociali. Sa che il re Creonte, gli proporrà di sposare Creusa sua figlia e lo farà suo erede.
Con i loro magnifici pantaloni di ecopelle Giasone (l’ottimo Jean-Sébastiene Colau) e i suoi Argonauti sono eroi post-atomici, usciti da un singolare connubio tra Waterworld di Kevin Reynolds e West Side Story di Robbins & Wise. Sono spavaldi e irriverenti ma quando conquistano il potere cambiano. Un nero mantello ricopre Corinto, sembra calare l’ombra della morte raffigurata nel Settimo Sigillo bergmaniano, mentre le vesti potenti e ricche dei dignitari della città ricordano quelle realizzate dal grande Piero Tosi, per la Medea pasoliniana. Il gioco di tutti i continui rinvii visuali è opera di Dorin Gal, scenografo e costumista rumeno in grande ascesa internazionale.
La direzione d’orchestra di Giuseppe La Malfa, è efficace, misurata, intensa, devota alla partitura di Arvo Pärt da cui non si lascia intimidire o cogliere di sorpresa. Sorprende, anzi, il pubblico la leggerezza con cui conduce l’orchestra ad affrontare le peripezie del mistico compositore estone. Accoglie i Fratres, induce al Lamenentate, sottolinea con il Pregando e i Minacciando con la cura e il rispetto che si deve ad un genio del nostro tempo quale Arvo Pärt. Commuovono gli interventi di Paçalin Zef Pavaci primo violino solista che interagisce con i mutamenti d’umore, costruisce l’intensità del dramma, laboriosamente, con un’attenzione ad ogni nota che hanno solo i grandi.
Di Eleonora Abbagnato e della sua grazia si è detto, e si dirà ancora molto in avvenire, a Bari, lei è amata e Bombana ha costruito su di lei una partitura che tiene conto del suo temperamento scenico. E’ una tigre che non si ferma troppo a riflettere sulle azioni da compiere, carnale fino all’imbarazzo, sublima visceralmente ogni tormento in atti concreti senza sprecare le sue energie se non per il "fare". E’ minimale, immediata, essenziale nel suo passare da amata amante, ad amante non riamata.
Alla fine, per come è scritta questa versione di Medea, ci sembra che Giasone in un momento estremo la possa supplicare di tornare con lui, dopo aver pianto Creusa e i suoi figli. A quel punto il trionfo di Medea sarebbe, davvero, totale.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.