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Ecco qui un’altra parola forte e importante, caratteristica degli inizi degli anni duemila. L’integrazione può essere invocata, cercata, voluta, imposta. Ho indicato solo quattro aggettivi da aggiungere al termine del quale stiamo parlando. Avrei ancora potuto aggiungere coatta, involontaria, divertita, sopportata, superficiale, profonda, falsa, effettiva, limpida, obliqua, momentanea, effimera, eccetera eccetera. Basterebbero questi due periodi iniziali a far capire a certi personaggi nostrani fautori della brutale integrazione per legge, che l’unica integrazione vera ed eventualmente auspicabile, non si sa bene poi per chi, se per l’integrato o per chi l’auspica, non è certamente quella inflitta dall’alto, ma quella naturale od eventualmente cercata da chi dovrebbe integrarsi. Chiunque stia leggendo queste considerazioni potrà agevolmente pensare che un problema gigantesco come l’integrazione non può essere risolto per legge, ma ha bisogno di ben altri punti di vista per poter trovare un’acconcia soluzione. Non dimentichiamo che alla base dell’eventuale integrazione c’è il desiderio, o la volontà, o il piacere, o la necessità di chi sta entrando nella comunità nazionale. Il problema è assolutamente complesso, si badi bene non complicato, quindi non è risolvibile con un colpo di bacchetta legislativa. Bisogna prima di ogni cosa avere le idee estremamente chiare sull’argomento, nel senso che bisogna conoscere prioritariamente i meccanismi e le strutture mentali sull’argomento. Innanzi tutto bisogna ben conoscere chi ospita e chi viene ospitato per passare poi all’individuazione di eventuali forme, le più varie, di integrazione. Detto con altre parole, alla base di un processo/progetto del genere deve esserci una profonda conoscenza della propria società e dell’altrui società. Soltanto dopo questi apprendimenti eseguiti in maniera specialistica si può iniziare a progettare sull’argomento. La maggior parte delle persone che ci governano, non hanno la più pallida idea di che cosa sia il metodo, le specializzazioni, le eccellenze, qualità di base assolutamente necessarie per poter iniziare un qualsivoglia progetto legislativo. Ecco perché ho utilizzato l’aggettivo brutale nella frase integrazione per legge che ho scritto all’inizio di questo brano. Mi piace concludere con un bel concetto espresso da De Sousa Santos, sociologo del Forum mondiale di Porto Alegre: Il multiculturalismo è un problema se si cerca di tollerare l’altro senza cambiare niente di se stessi. La soluzione è l’interculturalità. E’ subentrata invece in scena la parola tolleranza, bruttissima parola in verità, perché ha dentro di sé il concetto della sopportazione. A fronte degli altri che stiamo tollerando, di cambiare anche una parte infinitesimale di noi stessi non se ne parla neanche.