Tempo di lettura: 6 minuti

La Madre, opera teatrale del celebre drammaturgo francese Florian Zeller, ha debuttato, al Teatro Piccinni di Bari, il 18 aprile e ha replicato fino a domenica 21.

Con la regia di Marcello Cotugno, interpretata da Lunetta Savino, l’opera si rifà a una materia tra le più antiche e drammatiche, dai richiami della tragedia greca alla commedia italica contemporanea: il rapporto madre /figlio. Quando l’amore di una madre soffoca, talvolta, si fa cappio, manetta, ingombro. Diventa morbosamente asfissiante. Toglie l’aria, gli spazi vitali, tarpa le ali alla crescita e alla dimensione adulta dell’esistenza del figlio. Cerca di avere il controllo su tutto pensando di sapere quale sia la scelta migliore per il suo bambino che per lei rimane tale, anche quando diventa adulto.

Nell’opera di Zeller la devozione e l’ossessione della madre verso il figlio sono inoltre scosse dalla trascuratezza e dalla mancanza d’amore da parte del marito.

La profondità del testo, sotto la sapiente guida di Marcello Cotugno, è resa anche dalla scenografia asettica e scarna: cinque porte, un frigorifero, tre sedie e un tavolo, in alto uno specchio che, di tanto in tanto, s’inclina verso la platea. Il tutto su uno sfondo di colore, come il colore degli abiti dei protagonisti che muta nel corso della rappresentazione, fino a diventare rosso nelle scene più vivaci.

Artifici scenici che costruiscono e anticipano l’ossessione della donna.

La scena si apre con Anna, una donna di mezza età, e il marito (interpretato da Andrea Renzi) che si sta preparando per partire per un convegno.

I due dialogano con ripetute e banali domande “hai passato una bella giornata?”, “sei uscita?”, sfiorando talora anche il tono comico “mi son comprata un vestito rosso per il tuo funerale”, che si intreccia perfettamente con quello drammatico. Dalle loro parole emerge quanto Anna appaia indifferente alla figlia Sara (un po’ scema e antipatica!), mentre non prova più alcun sentimento per il coniuge, al punto da ignorare i suoi (presunti) continui tradimenti con ragazze più giovani. Il suo unico, vero amore è il figlio maggiore Nicola (Niccolò Ferrero), che è andato via di casa per convivere con la fidanzata Elodie (Chiarastella Sorrentino): da quel momento Anna è precipitata nel dolore tanto da far uso di psicofarmaci e alcool che alterano il suo comportamento. La donna ammette spudoratamente il suo desiderio che il figlio lasci la fidanzata, appellandola con epiteti non proprio raffinati ma resi simpatici dalla intensità e naturalezza dell’interpretazione di Lunetta Savino. La “madre” manda di continuo messaggi al figlio per invitarlo a casa, senza ottenere mai risposta e, inaspettatamente, Nicola torna a casa dopo un litigio con Elodie: Anna è fuori di sé dalla gioia anche se il ragazzo le si mostra freddo e scostante.

Da questo momento l’azione si svolge in forma frammentaria e non lineare: una stessa scena viene spesso ripetuta più volte con minime (ma significative) variazioni. La mente di Anna vive in una sorta di multiverso, in cui tutto è sdoppiato e viene vissuto su più piani confondendone la realtà. Le quarantotto ore in cui si svolge la narrazione vengono ripetute più volte, in modi diversi, raccontando varie sfaccettature della personalità complessa di questa madre. Non solo una donna che vive l’allontanamento del figlio come un tradimento, ma anche una donna prigioniera di sé stessa, privata di desideri e di una individualità, a favore di un’esistenza protesa ad accudire la famiglia, il nido domestico: e quando tutti prendono il volo Anna rimane ingabbiata nei ricordi e nei farmaci.

E quindi assistiamo alla scena in cui, Nicola, a casa dei genitori, si sveglia in preda al dolore, perché Elodie non l’ha cercato, mentre Anna è felicissima e propone al figlio di prendere i suoi stessi farmaci e di uscire con lei per andare a divertirsi insieme; dopo un’iniziale rimostranza il ragazzo accetta, ma in quel momento irrompe Elodie. Con mille moine, la ragazza riconquista senza problemi Nicola, e umilia Anna dicendole che lui non la sceglierà mai più perché è vecchia e inutile.

In una versione successiva la stessa scena è trasformata, Elodie arriva quando Nicola dorme ancora. Anna l’affronta con freddezza e la scaccia prima che lui possa svegliarsi; strappa inoltre una lettera in cui la ragazza si scusa con lui e chiede di tornare insieme. Quando Nicola si sveglia, scopre la lettera strappata e va su tutte le furie, andandosene via di casa.

Anna ingurgita allora una gran quantità di farmaci e alcool che le causano allucinazioni: in una di esse vede Elodie amoreggiare con suo marito, dichiarando però alla fine di essere sua figlia Sara. La stessa ragazza irrompe poi vestita da infermiera, e consegna ad Anna un letto da ospedale: la donna è stata trovata in fin di vita da un vicino.

Malinconicamente, davanti, al marito venuto a farle visita, la donna rievoca allora i momenti in cui i suoi figli erano piccoli e nutrivano per lei una forma di amore puro, momenti definitivamente trascorsi.

In buona sostanza, ci si trova di fronte a un dramma senza alcuna possibilità di riscatto. Anche se, nel finale, una speranza si adombra: quando la madre, nel vedere il figlio venuto a trovarla in ospedale (dove è stata ricoverata per un’intossicazione di antidepressivi misti ad alcool) con un fiore in mano, si alza sorridente andandogli incontro e si abbracciano. Su questa immagine, il sipario si chiude.

Ottima la scelta registica di Marcello Cotugno di non spingere troppo il pedale sul tragico. La madre è un testo poco ironico. Ma avvalendosi di una brava interprete come Lunetta Savino, nella prima parte della pièce abbiamo assistito a momenti comici che hanno avuto il compito di sottolineare la drammaticità della situazione senza scadere nel patetico.

Più che dramma, un’opera teatrale grottesca.

Foto di Marcella Squeo (riproduzione riservata)

Marcella Squeo

La dottoressa Marcella Stella Squeo è laureata in Giurisprudenza è una giornalista pubblicista e si occupa di cultura, spettacolo, musica e di beneficienza e volontariato facendo parte di diverse associazioni di settore.