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Riapre al pubblico dal 1° ottobre la Galleria del Futurismo, ultima tappa del progetto di riallestimento del percorso del Museo a 10 anni dalla sua apertura.

La riapertura della Galleria chiude un percorso iniziato nel 2017 e curato da Anna Maria Montaldo e dal Comitato scientifico, composto da Flavio Fergonzi, Danka Giacon, Maria Grazia Messina, Antonello Negri, Iolanda Ratti e Claudio Salsi. Il progetto ha interessato tutte le sale ed è avanzato per tappe. Nel febbraio 2019 è stato inaugurato il nuovo allestimento della collezione Marino Marini e degli spazi al quarto piano (ala di Palazzo Reale), cioè le sale dedicate all’arte dalla fine degli anni Cinquanta fino alle soglie degli anni Ottanta. La seconda tappa è stata l’apertura, nel marzo 2021, dei nuovi spazi riallestiti al quarto e quinto piano del Museo, dedicati al periodo compreso tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta.

Il salone al secondo piano del Museo si presenta oggi completamente rinnovato, sia negli spazi sia nel percorso espositivo. La nuova Galleria del Futurismo è stata interamente ridisegnata, arrivando a definire nuovi parametri nel dialogo tra le opere e lo spazio della Sala delle Colonne, fortemente connotata dalla fisionomia architettonica dell’Arengario. Sono stati eliminati i tramezzi in corian ed è scomparsa la tappezzeria alle pareti, sostituita da un luminoso grigio chiaro. Se nell’allestimento del 2010 era infatti esplicita la volontà di leggere i capolavori del Primo Novecento all’interno di spazi intimi, che rimandavano agli interni delle case borghesi, nel nuovo riallestimento la Sala riacquista la propria vocazione monumentale, grazie al sistema allestitivo e illuminotecnico a cura di Italo Rota con Alessandro Pedretti. Il nuovo sistema di illuminazione innovativo, che abbina una luce diffusa ad accenti puntuali sulle singole opere, è stato realizzato da Artemide appositamente per il Museo del Novecento.

La saletta all’ingresso, prima dedicata alle avanguardie europee del Primo Novecento, è trasformata in uno spazio aperto che introduce la poetica futurista grazie all’esposizione di Manifesti Futuristi – fondamentale strumento di diffusione delle idee e della grafica futuriste – e di importanti lavori su carta di Antonio Sant’Elia e Giacomo Balla. Una videoinstallazione rimanda inoltre al clima sperimentale dei primi trent’anni del Novecento, con importanti estratti di cinema futurista e d’avanguardia.

I capolavori futuristi sono esposti considerando non solo l’evoluzione tecnico-pittorica dei Maestri del periodo, ma anche la vicinanza tematica e stilistica delle loro opere. Il percorso, che vede esposti capolavori di Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla e Gino Severini, per indicare i più importanti, si arricchisce delle opere della collezione Antognini Pasquinelli, quattro dipinti esposti per la prima volta in questa occasione: Crepuscolo di Boccioni, Paesaggio toscano di Severini, Velocità d’automobile + luci di Giacomo Balla e un ritratto di Mario Sironi, Figura futurista (Antigrazioso). Le opere sono poste in dialogo con i capolavori futuristi delle collezioni civiche, cresciute negli anni grazie all’incontro tra accorte politiche collezionistiche pubbliche e private.

La Galleria segue due racconti paralleli: mentre la parete principale testimonia con indiscussi capolavori le sperimentazioni pittoriche degli artisti intorno ai temi tipici da loro prediletti – i soggetti di vita urbana, la bellezza del movimento e della macchina, l’entusiasmo patriottico – le opere dell’altra parete, negli spazi tra le colonne, raccontano la pittura e la scultura futuriste attraverso soggetti tradizionali come la figura e la natura morta. La sala si chiude con il celebre bronzo boccioniano Forme Uniche della Continuità nello spazio (1913) che sfida i limiti di pesantezza e staticità della materia attraverso la celebrazione del moto che si estende dal corpo nudo in cammino allo spazio che lo contiene.

Il nuovo racconto del Museo del Novecento non finisce qui: almeno due capitoli di fondamentale importanza saranno scritti nel prossimo futuro. Nel 2022 grazie al comodato della Collezione Gianni Mattioli, la maggiore collezione privata di arte italiana futurista al mondo, torneranno a dialogare tra loro le opere della raccolta Canavese, già di Fedele Azari, quelle della collezione Jucker e, appunto, i dipinti di Mattioli, rendendo la già ricca Galleria del Futurismo la più importante esposizione di arte italiana del primo Novecento a livello internazionale.

Infine, con l’ambizioso progetto di ampliamento del Museo alla seconda Torre dell’Arengario, si potrà chiudere il racconto dell’arte italiana del XX secolo e aprirsi all’indagine sulle pratiche artistiche più attuali. Il nuovo edificio non fornirà solo l’occasione di ampliare gli spazi espositivi, ma anche quelli dedicati ai servizi per il pubblico: laboratori, auditorium, spazi polifunzionali.

Il Museo del Novecento si avvia quindi a diventare un centro di ricerca sempre più ricco e complesso, in grado di rispecchiare una società sempre più multiculturale e di profilo internazionale e di valorizzare l’idea di un luogo dinamico, aperto, accogliente e partecipato.

Nell’autunno del 2021 sarà pubblicato da Silvana Editoriale il volume “Il Museo del Novecento. Un Nuovo racconto”, che illustrerà con un originale linguaggio narrativo il percorso di rinnovamento dell’intera collezione permanente.

Il lavoro di questi anni è stato riconosciuto e premiato con una rinnovata fiducia da parte di Fondazioni, Archivi e collezionisti privati, con cui il Museo ha costruito importanti alleanze attraverso donazioni e comodati.

Innanzitutto, le già citate collezione Mattioli e Antognini Pasquinelli. Quest’ultima comprende, oltre ai quattro capolavori futuristi già citati, due importanti opere che vanno a completare la sezione “Aria di Parigi” al quarto piano del Museo: La sala d’Apollo, un’opera metafisica di de Chirico, e un lavoro di Savinio, Jour de reception.

Grazie alla generosità di collezionisti privati, il percorso del Museo del Novecento si arricchisce inoltre di due nuovi importanti lavori: Festa Cinese di Mario Schifano, monumentale dipinto del 1968, cui è dedicata un’intera sala al quinto piano; e Magnete, installazione del 1969 di Emilio Prini, artista fondamentale della scena italiana degli anni Sessanta e Settanta, nella sezione di arte concettuale.

Redazione

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