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Il “cuore allegro” che dà il titolo alla racconta poetica di Viola Lo Moro pubblicata dall’editore Giulio Perrone è un’esortazione, un desiderio, un proposito, ma anche una fotografia dell’anima.

E l’immagine positiva e ottimista che esso evoca, contrasta con la realtà della sua genesi.

Infatti  le parole “Tieni il cuore allegro” sono state pronunciate in punto di morte da una persona molto vicina all’Autrice, la quale in seguito si è domandata fino a che punto sarebbe stata in grado di tenere fede a quella mezza promessa, a quell’invito. Questa tensione e il conflitto tra la volontà e l’impossibilità di trovare ogni giorno motivi per essere felici, si avverte chiaramente nei versi iniziali della raccolta: 

Tenera è la notte pensavo ma non è vero.

anche se è un esordio

il passo è fermo ed è buono

Lo è, un dovere, tenere il cuore allegro

ed è una responsabilità grande affermare di tenerlo,

di riuscire a starci con il cuore allegro, nonostante tutto.

Il cuore viene sezionato con il bisturi della poesia a partire dalle due immagini tradizionali ad esso legate: da una parte muscolo e organo fondamentale con i suoi battiti per tenere in vita il corpo umano e dall’altra rappresentazione di un sentire più intimo, legato ai sentimenti.

E così le quattro camere chirurgiche del cuore anatomico, corrispondono nel libro alle quattro sezioni in cui la poetessa ha ordinato le sue poesie, composte e raccolte in diverse fasi della sua vita. Sono quattro camere accumunate tra loro dalla vita stessa con le sue asperità, le speranze, i conflitti e gli abbandoni.

La prima e l’ultima sezione sono più legate all’identità dell’io narrante con i sogni, la memoria familiare, i nomi, le case. Protagonisti sono oggetti e immagini concrete della quotidianità come  animali, fili elettrici, liste della spesa… Le due sezioni intermedie hanno invece  a che fare con gli affetti e con le relazioni. Qui, prepotenti, si affacciano la vita e la morte, il contrasto tra luci e ombra, il tempo che scorre inesorabile. Nella terza camera l’io narrante si confronta con una dimensione più amorosa. Momenti felici, atti d’amore, ma anche la lacerazione dell’abbandono e la solitudine nella città che un tempo era gioia e in seguito, nei giorni dell’abbandono, diventa fredda e inospitale.

Le parole nelle poesie di Viola Lo Moro sono vive, sono materia, come il corpo e i suoi organi, strumentali al racconto dell’anima e della percezione dell’Autrice del mondo e della vita.

L’Autrice sgrana le parole del suo mondo poetico in modo apparentemente semplice, offrendo al lettore una comprensione immediata che rimanda però subito dopo a una lettura più profonda. Piccoli e inaspettati regali che parlano al cuore del lettore. Se questo è il suo libro d’esordio come poetessa, sicuramente ci aspettiamo un seguito.

Redazione

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