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"????????????????????????????????????????????"Noi della redazione di LSDmagazine abbiamo intervistato in esclusiva Massimo Gaetano Macrì, co-ideatore con Giampiero Francesca dell’app gratuita «Guida ai migliori Cocktail Bar d’Italia».

Un’app gratuita e senza sponsor per trovare il miglior cocktail bar nelle vicinanze, ci racconti questa idea e come si sviluppa per chi la scarica, ripetiamo, gratuitamente?

Ci piace l’idea che sia gratuita, perché la rende in qualche modo più ‘nostra’, libera e indipendente nel giudizio. Nessuno potrebbe affermare il contrario, quindi. E ci piaceva l’idea di creare una guida che consigliasse agli appassionati e ai curiosi di questo mondo della miscelazione, in grande evoluzione in questi ultimi anni, quei locali in cui fare una esperienza ‘liquida’ che abbracci lo spazio sensoriale e culturale. E’ giusto far capire alla gente quante storie possono essere contenute all’interno di un bicchiere, che un barman non inserisce ingredienti a caso, che esiste una logica e uno studio anche piuttosto approfondito delle materie prime. Se vogliamo è la stessa filosofia che abbiamo seguito quando abbiamo scritto come autori la trasmissione televisiva del Gambero Rosso, ‘Spirits – I maestri del cocktail’ con Massimo D’Addezio e Giulia Castellucci. L’impatto visivo è piuttosto semplice e intuitivo. Aprendo l’app, al link www.blueblazer.it/app ci si geolocalizza e si possono individuare i locali più vicini. In alternativa, si può fare una ricerca per nome o anche per categoria. In questo modo si filtrano già i propri gusti, se uno li ha definiti. C’è chi ha voglia di un bar di Hotel, per esempio, o di uno speakeasy, un classico cocktail bar o un locale in cui poter anche mangiare. La navigazione nel menù consente di ricercarli tutti separatamente e poi di rintracciarli tramite la mappa. A quel punto si può cliccare sul nome di un locale e aprire la scheda, leggendone i contenuti, che offrono indicazioni più precise, sul barman, sui drink, il prezzo, l’atmosfera che si respira. Quest’ultimo è un dato spesso sottovalutato quando si crea una guida, ma può essere utile all’utente”.

Roma e Milano, sfogliando le città presenti nella guida, la fanno da padroni, ma quali altre città si fanno rispettare in quanto a qualità del bere bene e perché? Come si comporta ‘la provincia’?

Roma e Milano la fanno da padroni, ma forse potremmo dire la facevano. Nel senso che adesso la provincia italiana si sta aprendo sempre di più alle nuove tendenze del bere di qualità. La gente gira, i ragazzi viaggiano, bevono in locali importanti, gli stessi bartender si formano spesso in grandi città e poi quando ritornano a casa mettono le conoscenze acquisite a diposizione del bar di provincia. Pian piano la rete dei locali di qualità in questo modo è crescita e continua a farlo proprio ora. Nessuno direbbe che in Val d’Aosta, a Courmayeur, possa essere arrivato questo mood. Eppure il Grand Hotel Royal e Golf ne è l’esempio lampante. Ha 150 anni di vita, il più antico sotto il Monte Bianco, tra i suoi clienti figuravano personaggi come Giosuè Carducci. Ha eleganza, un fascino intatto, eppure oggi si mantiene al passo coi tempi, proponendo un bar di tutto rispetto, che magari a quelle quote non penseresti di trovare”.

Quali sono i criteri che vi hanno guidato nella scelta dei locali e nella loro recensione?

Facciamo una scaletta: 1) accoglienza; 2) qualità del cocktail. Questo per dire che è meglio un buon drink bevuto in un bar che sa cosa significa intrattenere il cliente piuttosto che un ottimo cocktail, bene eseguito, ma non saputo servire. In realtà dobbiamo sempre considerare che andiamo a bere dove stiamo bene. Lo facciamo per passare qualche ora di svago. Il drink è secondario. Spesso, purtroppo, i bartender, specie se molto giovani, puntano troppo su sé stessi, sul cocktail, quando al cliente in realtà – giustamente, aggiungerei – interessa davvero poco. Questo è il vero difetto che riscontriamo in Italia. Non è grave, per carità, ma ne prendiamo atto. Ecco perché innanzitutto osserviamo la qualità del servizio, vogliamo che la persona che entri in un bar, soprattutto se ha seguito la guida, possa vivere una esperienza che ricorderà andandosene via”.

"GuidaCi puoi citare due drink poco richiesti dalla clientela non troppo specializzata che invece meritano di essere rivalutati e perchè? Ci dai la ricetta?

Beh, io sono un amante di un cocktail in qualche modo ‘inventato’ da un giornalista, durante il proibizionismo. Era un corrispondente del New York Herald-Tribune a Parigi. Come tanti suoi colleghi americani, abituati a bere, la sera si rintanava nei bar degli hotel (all’epoca negli USA era proibito farlo per via del Proibizionismo, per cui immagino fosse piuttosto felice di vivere in Europa). Da quel che si sa, beveva anche parecchio e, come capita agli americani sotto l’effetto dell’alcol, seduti al bancone, William ‘Sparrow’ Robertson (così si chiamava) finiva per rivolgersi agli altri avventori alla sua destra e alla sua sinistra come “my old pal” (che suona un po’ come amico mio). Da qui il nome al drink che amava bere. l’Old Pal infatti è fatto con rye whiskey, bitter Campari e dry vermouth, miscelato in coppetta. Da giornalista ammetto di essermici affezionato, oltre che per il gusto che incontra il mio favore. E’ secco, amaro, il whisky di segale ‘gratta’ la gola ma è addolcita quel tanto che basta dallo zucchero del Campari. A mio modo dio vedere è perfetto, ma sono gusti. E’ raro trovarlo, qualche barman che dice di conoscerlo, lo associa al “Boulevardier, ma col rye”, giusto per ricordarlo. Quest’ultimo è rispetto all’Old Pal più morbido, e forse per questo ha preso più facilmente piede rispetto al suo ‘cugino’ minore. Contiene un whiskey bourbon e il vermouth è dolce. Un altro cocktail ‘antico’ ma ultimamente poco richiesto è il ‘White Lady’. Eppure siamo in preda a una mania del gin, non capisco perché non lo si riproponga. Si tratta di gin, triple sec e succo di limone. Siamo di fronte a un cocktail acidulo, non da aperitivo, ben diverso dall’altro. Ottimo come dopo cena, dunque. Il vantaggio è che, almeno in teoria, i bartender dovrebbero conoscerne la ricetta. Poi anche qui, bisogna vedere quale. Perché ne girano due completamente diverse. Quella che ha preso piede, che abbiamo descritto prima, ma accanto ce n’è un’altra, probabilmente antesignana, a base di brandy, liquore di menta e triple sec. Nessuno ci impedisce di provarle entrambe. Il bello della miscelazione è che non ci sono confini certi nelle ricette e le loro storie”.

Quanto è importante per un barman saper coinvolgere il proprio cliente durante la creazione del drink? E quanto importanti le materie prime?

Il bartender è il vero regista della serata. Sa quando e come e se parlare o meno col cliente. Se è il caso di mettere in relazione le persone sedute di fronte. E’ un lavoro che va bene al di là dello shakerare cocktail. Lo si apprende nel tempo, possibilmente lavorando al fianco di un grande nome. Vale qui la logica del lavoro di bottega che ha sfornato grandi artisti nel passato basata sul rapporto maestro-allievo. Quando bevo un cocktail non è detto che voglia parlare con qualcuno e questo un bravo bartender lo deve capire. Per altro verso, le materie prime sono essenziali soprattutto se coltivate ‘sul posto’. Utilizzare un prodotto che si trova solo in un determinato luogo, non può che impreziosire il lavoro del barman. Il succo fresco di un limone coltivato e raccolto dietro l’angolo è ben diverso dal limone del supermercato. Ovviamente anche l’etichetta degli spirits gioca un ruolo importante. Anche se in questo caso si può tirare fuori un ottimo drink a base di un buon whiskey, ma non è automatico che un ottimo whiskey consenta di ottenere un ottimo cocktail. Non resta che metterci nelle mani dell’abile bartender e delle sue conoscenze merceologiche. Questo rende però l’idea di come in realtà stiamo parlando di una professione complessa che richiede una grande preparazione a 360 gradi”.

Che feedback avete avuto ad ora dai barman riguardo il vostro lavoro per la guida?

Ottimo. Anche perché a tutt’oggi siamo ancora l’unica vera guida italiana. Soprattutto per un bar di provincia, meno esposto alla luce dei riflettori nazionali o anche dei bar di hotel che lo sono parimenti perché viaggiano sempre ‘low profile’, siamo un vero punto di riferimento. Questo ci rende orgogliosi, è segno che ci stiamo muovendo nel modo giusto. La presenza di centinaia di bartender a Firenze, quando abbiamo lanciato la nuova Guida 2018, è la più bella testimonianza di questo nostro percorso. Secondo me ne vedremo ancora delle belle nei mesi a venire”.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.