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Vista e udito, sedici corpi immobili a terra, respiri affannosi in sacchetti di carta. A partire dal lento accendersi di luci al neon, i performers, in preda a convulsioni, come scossi da scariche elettriche, si ridestano, ma i tacchi che imprigionano i loro piedi impediscono i movimenti mostrando una massa seminuda e traballante che a fatica raggiungerà la posizione eretta.
“Imitation of death” è questo, cattura in quest’immagine iniziale l’allegoria della morte, che diviene vita quotidiana, dotata di corazza impermeabile che sembra soffocare i corpi impedendo loro di respirare e di esprimersi.
Ispirato all’universo morboso di ChuckPalahniuk, alla sfida con se stessi di “Fight Club”, “Imitation of death” innesca una vertiginoso susseguirsi di eccessi passando da gesti violenti a parole cariche di dolcezza. Storie di sesso consumato in fretta; confessioni delle proprie paure piangendo lacrime vere, correre in mezzo al pubblico sollecitandolo a esprimere i propri pensieri nascosti; giocare al buio nascondendosi per essere stanati da un occhio di bue che li insegue; vestirsi da cigno per recuperare un sogno irrealizzato; scrivere su una lavagna la misura della propria altezza come fosse unico elemento di sé da ricordare… E ancora altre mille immagini. Il tutto si consumaora sulle note e le giravolte della mazurka, ora sulle rime cacofoniche di Fabri Fibra, fino al finale “devastante”, sulle note dei Pink Floyd, dove ognuno, solitario, tira fuori i propri oggetti cari da scatole o sacchetti. Si tratta di spille, di medaglie, di collezioni di film in cassetta, scarpe, cumuli di libri, vecchie chiavi, poster, pupazzi. Gli oggetti, gli unici che restano fedeli, che non tradiscono. Quella di Ricci/Forte è l’esposizione emotiva di disperata vitalità e forte teatralità fisica che mostra se stessa, facendo rumore, e cerca, imitando la morte, la verità della vita.