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Don Giovanni
è nel comune immaginario l’eroe più moderno del teatro lirico di tutti i tempi, carnefice e vittima, arrogante "insdiator di caste fanciulle" e spavaldo sovvertitore della familiare.

Il Seicento è pieno di drammi che ne portano il nome, che ne declinano le gesta, facendone un indiscusso campione del "ratto d’amore" o dello "sprezzo della religione", come ha testimoniato, fra tutti l’ampio studio di Giovanni Macchia di più di quarant’anni fa.

Dal Burlador de Sevilla di Tirso de Molina del 1630, al Nuovo risarcito Convitato di Pietra di Giovan Battista Andreini, passando per l’introvabile Convitato di Pietra di Onofrio Giliberto da Solofra su cui saranno esemplati i drammi di Molière e Goldoni, il personaggio che sfida la vita e la morte ha sempre affascinato drammaturghi e narratori di ogni epoca.

Ma da dove nasce Don Giovanni e perché affascina ancora oggi? Forse perché si tratta di un tipo psicologico, rappresentando egli la continua sfida all’insondabile e agli abissi della nostra esistenza? Una delle tante risposte, forse la più eloquente, la dava a questa domanda un austero signore trevigiano, nel 1787, quando sull’argomento tutto sembrava ormai scritto.

Nato ebreo e "converso" dal vescovo di Ceneda, da cui prese nome e cognome, Lorenzo Da Ponte diede vita ad una versione della storia che dice tutto racchiudendo e azzerando, come d’incanto una tradizione di 150 anni. Nel suo finale scacciava agli inferi il dissoluto, creando nei confronti di don Giovanni nè antipatia né simpatia ma sola una sospensione del giudizio che perdura lungo tutta l’opera, dando in pasto l’epokè in chiave goliardica al massone Amedeo Mozart.

Il genio salisburghese si innamora della storia, come si era innamortato delle Nozze di Figaro, in parte si identifica col protagonista e lavora, estenuato, da marzo ad ottobre del 1787 a scrivere la musica. Primi protagonisti il giovanissimo Luigi Bassi e una indiscussa stella nel firmamento musicale dell’epoca, Teresa Saporiti. Wolfi dirige l’orchestra per Giuseppe II imperatore, a Praga il 28 ottobre, 1787.

La Fondazione Petruzzelli a Bari presenta dal 10 al 18 settembre 2012 il Don Giovanni Mozartiano nell’allestimento di Mario Martone. Egli è indiscusso maestro del teatro italiano contemporaneo, capace di innovare e affrontare i recessi dell’opera senza falsi picologismi, con una rara preparazione tecnica e vigore rigoristico che racchiude in sé tutti gli elementi dell’aistesis, degni di uno dei più grandi registi che il nostro teatro e cinema abbiano mai avuto!

L’opera lirica, come "Teatro totale" ha necessità di registi che guidino cantanti, attori e danzatori e musicisti a compiere il risultato più alto esprimibile dal libretto e dalla partitura, di uomini che dirigano e si prendano cura di un progetto, senza fassbinderismi, sottraendo gli interpreti alle mere movenze da sfilate di moda.

La proposta che Martone fa dunque è al limite della rivoluzione copernicana, degna delle innovazioni di quel maestro di Bayreuth che della regia stessa fu inventore. Gli orchestrali sollevati dalla buca sono a vista, la scena occupa tutto lo spazio possibile e sfonda lo spazio dello spettatore.

Basterebbe questo a dar vita ad una idea di innovazione, ma quello che si intuisce dalle descrizioni dei protagonisti in conferenza stampa è un vero miracolo di rigore in cui Roberto Abbado direttore dell’Orchestra, ha lo spazio per sottolineare le sue scelte stilistiche in cui si inseriscono, appropriati a suo dire, strumenti musicali naturali, come timpani, corni, e pianoforte più vicini alla tradizione ottocentesca. Il Pubblico barese, potrà infatti, ammirare il virtuosismo dei professori d’orchestra che si cimenteranno con modalità e necessità tecniche infrequenti.

La sfida è, inoltre, alla capacità del pubblico di cogliere l’eternità mozartiana senza ribellarsi all’innovazione delle proposte offerte.

Eccellente è anche la scelta del cast tecnico. Scene e costumi sono disegnati da Sergio Tramonti con la brillate realizzazione sartoriale di Ursula Patzak, la regia luci è di Pasquale Mari, le coreografie sono di Anna Redi.

Don Giovanni è Alessio Arduini, talentuoso 25 enne – giovane come il Luigi Bassi primo interprete nel 1787 , come sottolinea il regista – Donna Anna è Burcu Uyar, Donna Elvira Carmela Remigio che torna a Bari a breve distanza dalla Norma di Federico Tiezzi che la vide protagonista lo scorso anno, Nicola Ulivieri è, infine, Leporello.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.