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"pippoUn giovane talento nel 2004 vince il David di Donatello con “Zinanà”. Il suo nome è Pippo Mezzapesa. Il suo ultimo lavoro è lo spassoso “Sogno di una morte di mezza estate”, il prossimo è un mistero perché non ci può anticipare nulla. Confessa: “racconto il mondo del lavoro e dei sogni forse perché il primo gran sognatore sono proprio io". Pippo nasce a Bitonto nel 1980 e si laurea in Giurisprudenza, ma non fa mai assopire la sua passione per il cinema che lo porta fin da giovanissimo a scrivere soggetti e a studiare l’audiovisivo da autodidatta.

Sogno di una morte di mezza estate”, racconta il regista, “è un sogno reale”: “di un quarantenne, Pinuccio Lovero, che da sempre ha voluto fare il custode di un cimitero e che finalmente può gioire dell’assunzione, seppure a tempo determinato, in quel di Mariotto”. E’ questo bizzarro personaggio pugliese con la sua incredibile aspirazione a suggerire al regista bitontino il soggetto per il suo documentario.

Quando hai capito che anziché fare l’avvocato avresti voluto e potuto fare il regista?

‹‹Quando “Zinanà” ha vinto il David di Donatello, lì ho capito che potevo fare questo mestiere››.

I tuoi soggetti sono particolari: dal suonatore di ‘zinanà’ (piatti, ndr) al calciatore bambino al custode cimiteriale… Perché?

‹‹Ho avuto sempre questa passione per le bande musicali e ancor più affascinato dai personaggi quotidiani che nutrono dei sogni – piccoli o grandi che siano – che magari non riescono a realizzare fino in fondo: in “Sogno…” il custode non può adempiere fino in fondo il suo lavoro perché in quel paese non muore nessuno; in “Come a Cassano” il bambino omonimo del calciatore non ha i requisiti per fare questo sport; in “Zinanà” il ragazzo corona il suo sogno, cioè quello di entrare nella banda del paese, non riuscendo, però, a suonare i piatti a tempo››. 

Tu hai mai suonato uno strumento?

‹‹No, ma alcuni miei parenti sì. Io sono di Bitonto, che è un paesino in cui la banda è vista con ammirazione››.  

Con “Zinana” hai conosciuto Pinuccio Lovero che era un componente della banda. Ci racconti?

‹‹Sì, ma già lo conoscevo essendo lui un personaggio alquanto eccentrico. Da quella collaborazione ha iniziato a chiedermi spesso di voler partecipare in qualche altro mio documentario anche solo come comparsa. Appena ho saputo del suo sogno, e del fatto che era stato assunto in un cimitero dove non moriva più nessuno, ho deciso di fare “Sogno di una morte di mezza estate”››.  

Ben fatto, congeniale e scorrevole. Le difficoltà per realizzarlo?

‹‹Mettere a proprio agio Pinuccio che non aveva confidenza con la macchina da presa. Tutta la prima parte l’ho passata a girare scene che sapevo avrei cestinato. Poi ha iniziato ad essere spontaneo ed è andata alla grande››.

Qual è il messaggio che lancia questo documentario?

‹‹Non per forza deve lanciare un messaggio, intanto vuole raccontare la storia di un precario il cui sogno alla fine è trovare un lavoro, per quanto strano ed eccentrico esso sia. Poi con l’ironia che fa di lui un filosofo popolare, Pinuccio mi ha permesso di raccontare con un doppio registro narrativo, greve e leggero, il tema del culto dei defunti, il rapporto della gente semplice con la morte e con il ricordo, e di filmare gesti reiterati che sono un modo per vivificare l’affetto››.  

"Sogno“Quest’uomo, dal viso solcato e dal sorriso da bimbo”, come lo hai definito tu, ti ha condotto nel suo mondo sospeso tra vita e morte. Cosa ti ha colpito?

‹‹La singolarità della storia e il suo modo di essere››. 

La psicologia insegna che gli adulti sono un po’ lo specchio di ciò che erano e che volevano da bambini.

‹‹In realtà lui lo ha scelto con estrema inconsapevolezza, banalizzando potrei dire che su Pinuccio ha esercitato un certo fascino la sacralità delle processioni, dei funerali. Per lui fare il custode del cimitero è come fare il sindaco di un microcosmo di morti ma anche di vivi, lì ha un ruolo››.

In questo documentario hai anche affrontato il tema della disoccupazione al Sud.Tu sei un ventottenne che tratta il mondo dei giovani e della precarietà: e quanto possa essere duro il lavoro del regista e dell’attore si sa, nonostante tutto lo hai scelto. La tua gavetta?

‹‹Il mio percorso è abbastanza strano. Ho seguito un solo laboratorio senza scuole di cinematografia. Nei personaggi che tratto ci potrebbero essere degli alter ego, un po’ autobiografici perché il primo gran sognatore sono sempre stato io. Scrivevo soggetti e sceneggiature già al liceo, ho studiato Giurisprudenza ma contemporaneamente realizzavo cortometraggi in digitale, tra cui “Lido Azzurro” a vent’anni, costatomi cinquecentomila lire. Con i soldi dei premi che ho vinto mandandolo in giro mi sono autoprodotto “Zinanà”››.

Cosa ne pensi del Festival barese e come mai secondo te è nato soltanto quest’anno?

‹‹Bari meritava un evento di questa portata. Qui sono nati Domenico Procacci, Sergio Rubini… diciamo che c’è sempre stato un bel fermento culturale. Come prima edizione penso sia andata bene e abbia avuto un’ottima offerta. Speriamo solo che ci sia continuità››.

Il Comune si è svegliato tardi per favorire questo fermento?

‹‹Noi abbiamo pagato lo scotto di anni di immobilismo politico. Non è un caso probabilmente che la nascita di ‘Apulia Film Commission’, e del Festival, coincida con un determinato governo della regione. Da quando è arrivato Vendola è possibile schierarsi e credo ci sia una consapevolezza maggiore della forza che può avere questo luogo: non solo per i paesaggi da cartolina ma per le sue menti per molto tempo costrette ad emigrare e che invece ora rimangono o che ne fanno ritorno››.

Allora sei d’accordo nell’abbandonare il motto, un po’ provinciale, “meglio fuori che in casa”?

‹‹No. Meglio capire “il dove” per esprimere “il meglio” del proprio talento››.

Ma tu ci riesci qui.

‹‹Sì, rimanendo radicato alla mia terra››.

Il tuo prossimo personaggio tratterà sempre un sogno che si realizza per metà? E per quando sarebbe previsto?

‹‹Sto scrivendo un film di fiction con una grossa casa di produzione italiana. Il progetto è abbastanza complicato quindi l’inizio delle riprese dipenderà da questa prima fase di scrittura. Il genere? Una giusta via di mezzo tra comico e drammatico, non posso dire altro››.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.