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"HannahArendt"
Colte, spesso inquiete e anticonformiste, vigorose nell’affermare la propria visione del mondo. E’ un discorso ininterrotto quello che la regista tedesca Margarethe Von Trotta propone con il suo cinema da oltre trent’anni, e che sembra porre idealmente a un estremo e all’altro del filo dialogico Rosa Luxemburg e HannahArendt, un viaggio temporale attraverso i conflitti bellici del Novecento declinato al femminile e, forse non a caso, impersonato sul grande schermo dalla medesima attrice: Barbara Sukowa.
Protagonista quest’ultima, con la regista, Pamela Katz, sceneggiatrice di Rosenstrasse e il giornalista e critico cinematografico Marco Spagnoli della conferenza stampa di ieri mattina nel teatro Petruzzelli di Bari per la presentazione di HannahArendt, ultimo lavoro della Von Trotta, ispirato alla storia vera della filosofa e scrittrice tedesca, proiettato nella sezione Panorama Internazionale al Bif&st 2013.
Alla Sukowain serata, è stato inoltre consegnato il Premio Fellini per l’eccellenza artistica, riconoscimento già ricevuto dalla Von Trotta nell’edizione 2010 del Festival.
La storia si incentra sugli anni americani della studiosa, come docente e soprattutto inviata a Gerusalemme per il New Yorker al processo del criminale nazista Adolf Eichmann, rapito dai servizi segreti israeliani in Argentina. Ne emerge un profilo più privato della Arendt, notoriamente molto riservata, dal rapporto d’amore con il marito, il filosofo Heinrich Blücher (AxelMilberg)a quello di ammirata devozione per il suo ex insegnante e amante Martin Heidegger, all’amicizia con la scrittrice Mary McCarthy (Janet McTeer), con la studentessa Lotte Köhler (Julia Jentsch) e con l’ebreo Kurt Blumefeld (Michael Degen)considerato un membro della famiglia da cui si vede infine rinnegata a causa delle sue prese di posizione.

Un’apertura un po’ didascalica che tuttavia cresce di intensità risucchiando lo spettatore al tempo della storia grazie a una messa in scena che gioca con i grigi e seppia tipici dei Sessanta e al montaggio alternato con le reali immagini d’archivio del processo di Eichmann. In continuo equilibrio tra un’accurata restituzione del profilo di una intellettuale accusata di rigida arroganza e incapacità di sentimento, alla donna che si arrende alla sua dipendenza, il fumo, e si rigenera grazie alle pause meditative sulla sua chaise-longue o alle partitedi biliardo con l’amica Mary.
“Quando Margarethe mi ha proposto questo ruolo – dice la Sukowa – e nonostante i sei film realizzati insieme, ho avuto timoredi raffrontarmi con un gigante di cui conoscevo molto poco. L’interpretazione attoriale ha bisogno di cogliere le sfumature. Con Margarethe abbiamo incontrato diverse persone che hanno conosciutala Aredte ho cercato di andare oltre le righe delle sue biografie. Cerco sempre di mescolare la mia anima con quella del personaggio. E’ un processo strano che non riesco totalmente a spiegare nemmeno io” “Di Barbara – aggiunge la regista – mi piace che è molto engagè. Si è appassionata al punto che si è fatta dare lezioni di filosofia da un professore della Columbia per capire la storia del pensiero da Socrate ai giorni nostri con Heidegger e Arendt; ha ascoltato da YouTube i discorsi della studiosa per riprodurre l’inglese distorto dall’accento tedesco come quello della protagonista e l’ha usato quotidianamente per mesi prima di girare, così come ha voluto nella sua stanza il tavolo da biliardo per esercitarsi”. “E la beffa – dice sorridendo l’attrice – è che dovevo imparare il gioco solo per perdere la mia manche nella scena!”.
Una carriera – quella della Von Trotta – ispirata dal cinema d’autore francese (in Francia infattila regista rifugiò nel periodo giovanile) e da Ingmar Bergman, ma che al nuovo cinema tedesco di Fassbinder riconosce la lezione di non sprecare pellicole e tempo in piani inutili. “Concentrare l’attenzione sulle donne – aggiunge la regista – significa creare un centro emotivo che comunque permette di parlare di storia e politica. Ai miei colleghi uomini nessuno chiede mai perché fanno film privilegiando il punto di vista maschile. Semplicemente, scelgo di raccontare cose a cui gli uomini non sono interessati”. “Amiamo esplorare percorsi non battuti – rincara la Sukowa – e soprattutto lontane da argomenti di tipo commerciale. In questo siamo molto simili. Con Margarethe è sempre una grande avventura”.
Cresciuta studiando che la storia moderna si fermava agli anni Venti del Novecento (così recitavano i rigidi programmi scolastici tedeschi), era quasi scontato che la sua arte andasse nella direzione di rottura del silenzio. Ed ecco Rosa Luxemburg (1986), la monaca “illuminata” del XII secolo Ildegarda Di Bingen di Vision (2009)e le mogli coraggiose di Rosenstrasse (2003). “Quelle donne – dice Von Trotta – volevano mostrare fedeltà ai loro mariti (ebrei, ndr), ma inizialmente non c’era un’idea politica; è diventata tale perché ha aperto un dibattito sul cosa poteva farsi. Mi piacerebbe che il cinema possa lanciare il messaggio che il mondo può cambiare, ma trovo più veritiero che possa invece mostrare cosa accade quando si commette un crimine. Non c’è una vera colpa perché chi lo commette, dopo, non può abbandonare se stesso e con questo individuo deve fare i conti fino alla fine della propria vita”.
Una sospensione di giudizio che trova sponda ideale nel personaggio di HannahArendt che invita, in sintesi, a esercitare il pensiero come capacità suprema dell’essere umano, la cui rinuncia conduce a una banale mediocrità.
“Sarebbe stato molto più facile – conclude Von Trotta – convergere tutto sulla storia d’amore con Heidegger, e raccontare il legame tra un’ebrea e un filosofo che appoggia infine il nazismo, ma per quanto affascinata da questo uomo, leggendo le sue biografie (quella della sua studentessa Elisabeth Young-Bruehl è molto bella e precisa) si comprende come per la Arendt fosse stato determinante al processo di conoscenza, soprattutto politica, il marito, a lei vicino fin dagli anni parigini. Non è un caso che il libro L’origine dei totalitarismi sia a lui dedicato”.
Le lezioni di cinema proseguono ancora oggi alle 11.15, sempre nel Politeama barese, con il regista Bertrand Tavernier coordinata da Maurizio Di Rienzo.

Foto di Vito Signorile

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.