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"bw_4"Giunti alla metà dell’edizione in corso del Bif&st 2015, il grande protagonista del festival cinematografico barese, come più volte è stato ribadito, cioè il pubblico sembra non essere ancora abbastanza sazio di assistere alle interessanti iniziative in programma quest’anno. In tantissimi stanno affollando le sale e le strutture adibite ad accogliere la manifestazione, cercando di coniugare i propri impegni lavorativi o familiari che siano, nel più efficiente dei modi in maniera tale da non perdere l’occasione di incontrare e giovare del cinema d’autore pronto ad offrir loro la sua voce e la sua bellezza o attraverso le pellicole o attraverso gli autori e gli interpreti che sono giunti da tutto il mondo in Puglia per parlare di arte, cultura, idee e passioni e condividerle con gli spettatori presenti. Bari caput mundi del cinema internazionale per una settimana, ha accolto per la quinta mattinata di festival un regista che, si potrebbe azzardare a definire, un "eroe" alla luce del suo impegno nei confronti del mondo e della sua terra di origine: Andrzej Wajda. Ripercorrendo la filmografia di questo autore ma anche la sua vicenda personale, ne emerge il ritratto di un uomo che ha militato per la ricostruzione del proprio paese, la Polonia. Un uomo che ha combattuto perché le menzogne perpetrate dai potentati ai danni dei suo concittadini fossero svelate. Un uomo che ha lottato in nome della verità, sia come regista che come parlamentare. L’uomo di cui il giorno prima aveva parlato anche Ettore Scola, dunque, cioè chi impiega tutto il suo impegno per partecipare attivamente ad un cambiamento che, a partire dalle macerie, possa portare all’edificazione di un nuovo mondo. A precedere la master class, la proiezione di “Katyn” (Polonia, 2007).

Il film – Ad esser portata in scena è una delle vicende più sanguinose della storia polacca nell’immediato secondo dopoguerra: il massacro di Katyn. Un episodio di crimine e menzogne. L’efferato omicidio di più di 15.000 prigionieri di guerra su ordine di Stalin nella primavera del 1940. I tedeschi scopriranno le fosse comuni in cui erano stati gettati i cadaveri delle vittime solo nel 1943 ma i sovietici li accuseranno dell’accaduto. Solo nel 1990 il governo russo ammetterà il crimine."bw_1"

La master class – a condurre la conversazione in compagnia di Andrzej Wajda la giornalista ed esperta di cinema Grazyna Torbicka. Si inizia subito parlando del film appena proiettato, Katyn appunto. La Torbicka chiede al regista polacco di raccontare le motivazioni che lo hanno portato a realizzare tale pellicola, la più personale della filmografia di Wajda, proprio perché coinvolto in prima persona dagli abomini legati all’efferatezza di questa vicenda storica. “Mio padre è stato vittima di Katyn – spiega Wajda – e mia madre è stata la vittima della sua menzogna. Ho scelto di fare un film sugli ufficiali polacchi trucidati e sulle loro donne che aspettavano. Il crimine di Katyn è stato un tema difficile da trattare. Su ordine di Stalin l’Unione Sovietica ha ucciso i prigionieri di guerra polacchi, senza volerlo per lungo tempo ammettere. Inizialmente l’Unione Sovietica accusò del massacro i tedeschi, comprovando questa tesi col fatto che le armi utilizzate per questo eccidio fossero tedesche. Solo in seguito si è scoperto che le armi erano state fornite dalla Germania ai sovietici, per via delle relazioni che Stalin ed Hitler avevano instaurato”. Una storia vera, purtroppo, nella sua violenza. Una storia di menzogne e verità che solo nel 1990 sono state diseppellite, quando l’URSS ammise le sue colpe. Wajda ne parla attraverso la macchina da presa dal punto di vista delle donne perché “ho potuto osservare mia madre, di quello che fosse realmente accaduto a mio padre sono a venuto a conoscenza solo in seguito”. La realizzazione del film è stata complessa e ha previsto dapprima una raccolta di documenti, sebbene per tanto tempo alcun romanzo polacco o altre fonti ne avessero dato testimonianza. Utili sono stati proprio i diari scritti dalle donne delle vittime che hanno aiutato il regista e lo sceneggiatore a ricostruire i fatti. Wajda ricorda anche di quando “in una notte il KGB ha arrestato le famiglie degli uomini trucidati deportandole in Kazakistan così che nessuno potesse testimoniare l’accaduto”. Fra i principali esponenti della scuola polacca di cinema Andrzej Wajda ha raccontato al pubblico del Petruzzelli anche quanta influenza abbia avuto il neorealismo italiano sul lavoro suo e dei suoi colleghi: “il neorealismo italiano è stato per noi un modello importante perché ci ha aperto gli occhi su un nuovo modo di fare cinema, in maniera vera, onesta e sincera”. Per quanto riguarda, invece, le sue scelte a livello stilistico orientate più sulle immagini che sui dialoghi, Wajda ha commentato: “la parola è malsana, le immagini no. Ognuno le può interpretare come ritiene. La censura elimina le parole. Noi abbiamo tentato di instaurare un dialogo con gli spettatori attraverso le immagini che, spesso, dicono più di qualsiasi parola”. Si discute dei problemi incontrati con la censura e le forze al potere che diverse volte hanno osteggiato i suoi film, anche nel caso di quando vinse a Venezia il Premio FIPRESCI per “Cenere e diamanti” (Polonia, 1958). Ricorda che il potere politico polacco non fu contento dell’opera e decise di farla proiettare in un solo cinema. Ciò però non scoraggiò i tantissimi che affollarono la piazza difronte alla sala per assistere alla pellicola di Wajda. Arrivato al festival di Venezia fuori concorso e trasmesso in un cinema assai piccolo, fu solo grazie al pianista polacco Rubinstein che fu richiamata attenzione sull’opera, al punto tale da meritarle il prestigioso premio. Il sostegno del suo pubblico Wajda lo definisce “la maggiore forma di orgoglio” della sua vita. Conclude la sua master class con parole assai simili a quelle espresse il giorno prima da Ettore Scola: “Arriva un momento in cui si ha il dovere di partecipare ad un cambiamento e, nel caso di un regista, non preoccuparsi se il film sia artistico o meno perché bisogna fare arte ma bisogna anche essere insieme agli altri. Siamo responsabili del nostro paese, quindi, è nostro dovere partecipare”.

Filmografia Andrzej Wajda – “Zly chlopiec” – cortometraggio (1950), “Ceramika ilzecka” – cortometraggio (1951), “Kiedy ty spisz” (1952), “Generazione” (1954), “Idę do słońca” – cortometraggio documentario (1955), “I dannati di Varsavia” (1957), “Cenere e diamanti” (1958), “Lotna” (1959), “Ingenui perversi” (1960), “Lady Macbeth siberiana” (1961), “Samson” (1961), “Miłość dwudziestolatków” – episodio di L’amore a vent’anni (1962), “Ceneri sulla grande armata” (1965), “Guazzabuglio” – film TV (1968), “Tutto in vendita” (1968), “Gates to Paradise” (1968), “Caccia alle mosche” (1969), “Il bosco di betulle” (1970), “Paesaggio dopo la battaglia” (1970), “Pilato e gli altri” (1971), “Le nozze” (1972), “La terra della grande promessa” (1974), “La linea d’ombra” (1976), “L’uomo di marmo” (1976), “Invito a entrare” (1978), “Senza anestesia” (1978), “Le signorine di Wilko” (1979), “Direttore d’orchestra” (1980), “L’uomo di ferro” (1981), “Danton” (1983), “Un amore in Germania” (1983), “Cronaca di avvenimenti amorosi” (1985), “Dostoevskij – I demoni” (1988), “Dottor Korczak” (1990), “Pierścionek z orłem w koronie” (1992), “Nastasja” (1994), “La settimana santa” (1995), “Panna Nik” (1996), “Pan Tadeusz” (1998), “Wyrok na Franciszka Kłosa” (2000), “Broken Silence” (2002), “Zemsta – La Vendetta” (2002), “Solidarnosc, Solidarnosc…” (segmento "Man of Hope") (2005), “Katyn” (2007), “Tatarak” (2009), “Krec! Jak kochasz, to krec!” (2010), “Walesa – L’uomo della speranza” (2013).

 

Foto di: Oronzo Lavermicocca.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.