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"parmegiani"Corposità sonore. Alberto Parmegiani sta attraversando un periodo felice, ricco. Sinonimo di due progettualità che presenterà al pubblico agli inizi del nuovo anno. L’artista, noto sia a carattere nazionale che internazionale, le sta portando avanti quasi in contemporanea. Un lavoro impegnativo, certo, a cui si affianca anche una serie di concerti live, ma la scelta è ben precisa, rivolta ad un sound sofisticato e soprattutto nuovo nel suo genere. Basta ascoltare con attenzione l’avvolgente atmosfera di Blues for a leaving man o Along came Betty, dove le note toccano le corde delle emozioni. Brani ben lontani dagli standard jazz, nati da collaborazioni con altri “colleghi” legati solo dall’entusiasmo di poter operare assieme. Riunitisi quasi per caso. E il mix è di successo, frutto d’esperienze e d’artista in progress. Ricchezza dei pezzi proposti che raggiungono il massimo coinvolgimento con The crossing, traccia portante e particolare concept creativo, decisamente sensuale nella sua stesura. Che “rappresenta – l’afferma lo stesso Parmegiani- un po’ la somma del mio lavoro svolto fino adesso. Un progetto molto importante per me – ammette- perchè ha un grande peso: le composizioni sono tutte mie, gli arrangiamenti e le storie da cui nascono i brani sono pezzi di me, della mia vita”.

Vogliamo iniziare a parlare di com’è nato l’ensemble di The goodside?

Questo primo lavoro nasce dalla collaborazione tra cari amici e colleghi. Circa 10 anni fa a Siena ho conosciuto Francesco Poeti e subito c’è stato un grande feeling. Una grande voglia di suonare insieme. E visto che le cose non vanno mai come ti aspetti, nonostante lui abitasse a Roma ed io mi fossi trasferito già da sei anni nella capitale, non ci siamo mai visti o incontrati. Solo qualche telefonata. Poi un giorno ero con Andrea Colella (contrabbassista pugliese; presentatomi tra l’altro da Marco Bardoscia, anche lui contrabbassista, con cui collaboro di più) e si discuteva sulla possibilità di creare un ensemble un po’ fuori dagli schemi. Di colpo ho subito pensato a Francesco Poeti e finalmente ci siamo sentiti. Subito le prove con questa nuova formazione. Roberto Giaquinto invece è un giovane e talentuoso batterista dell’area napoletana con cui Andrea Colella aveva già collaborato molto bene. Devo dire, ci ha visto giusto.

The goodside perché?

Il nome è nato per gioco, una sera con Andrea Colella e Francesco Poeti. Eravamo andati a sentire un concerto e dopo, molto rilassati, ci siamo divertiti a passare in rassegna varie possibilità di nomi. Quella sera ne fioccarono delle belle, prima ovviamente con esplicite allusioni sessuali tipo “la prima pecora”, ma non suonavano benissimo. Poi siamo passati a nomi completamente inventati e finalmente alle possibili traduzioni di storici personaggi. A un certo punto qualcuno di noi disse Napoleone Bonaparte! Ed ecco The goodside, tradotto da Andrea.

La partecipazione di questi musicisti è una precisa scelta compositiva?

Più che compositiva direi sonora. Al primo incontro ci siamo subito resi conto delle possibilità che le due chitarre potevano portare. Devo dire che forse con altri chitarristi non sarebbe stato possibile, ma Francesco Poeti è un “musicista” prima che chitarrista. Quindi la convivenza è stata subito deliziosa. Ancora adesso ce lo ricordiamo e ci ridiamo su. Perché in effetti il chitarrista è spesso un musicista atipico e rimane invischiato nel ruolo del “guitar hero”. Ma noi no!

Brani originali e pochi standard: l’obiettivo è forse quello di stimolare a essere più creativi e non di “accontentarsi” di vendere?

Parlare di vendere in Italia, in tempi come questi, è veramente un’utopia. Per cui tanto vale scrivere. L’Italia è il posto dove in assoluto non c’è ricambio, nemmeno generazionale. Quelli che trovi ora al top sono gli stessi che trovavi 30 anni fa, a parte poche eccezioni.

Secondo progetto: The crossing, in quintetto: qui è ancora più chiara l’intenzione: brani di sua composizione. Ma c’è un filo rosso che li unisce?

The crossing è l’attraversamento di un ponte fra il mondo reale e il mio mondo personale. Un mondo di realtà e di sogno: spesso i personaggi che transitano si confondono, e a volte non fanno più ritorno al loro mondo d’appartenenza. Vivono con me aiutandomi o confondendomi, a volte li riconosco, a volte no. Alcune sono dediche a persone a me care alcune sono suppliche. Ad esempio c’è una per la mia terra, ma sono comunque tutte canzoni di speranza.

I “suoi” musicisti e il rapporto con loro.

In quest’ultimi anni sono stato abbastanza fortunato nell’incontrare musicisti speciali. Mi va di citarne alcuni, parlo di Claudio Filippini, Marco Bardoscia, Daniele Cappucci, Raffaele Casarano, Vincenzo Bardaro, Gianlivio Liberti, Marcello Allulli, Luisiana Lorusso, Dario Congedo, Gaetano Partipilo, Mirko Signorile, Giorgino Vendola. Il mio sogno è di riuscire ad averli nel disco, anche se alquanto improbabile per questioni pratiche ed economiche. Comunque a tutti loro, che lo sappiano o no, mi sento molto legato. Eppoi quando hanno suonato la mia musica sembrava capissero esattamente qual’era la direzione e il mood giusto, come se avessero vissuto con me quei momenti. E tra loro devo un grazie in più a Claudio e Marco: The crossing vuole essere anche un ringraziamento a loro che hanno creduto in me e mi hanno dato la spinta giusta a riprendere la mia musica dopo un periodo – diciamo- un po’ “dark”.

"ioLei pugliese doc da anni vive a Roma e non solo. Ancora una volta dobbiamo confessare che nel sud non c’è mercato e spazio per dei bravi professionisti?

Dopo sei anni passati a New York sono rientrato in Italia. E sono tornato anche nella mia città natale, Bari. Vede la nostra è una terra dove il campanilismo è fortissimo e dove, al meglio che vada, chi propone musica lo fa se hai qualcosa da offrirgli in cambio. Dei politici è meglio non parlare, attuali compresi. Di fatto io dalla mia terra non ho mai avuto nulla e nulla ormai mi aspetto. Rimane, questo sì, l’affetto e la voglia di tornarci ogni tanto.

Insomma la “cultura jazz” ancora fa fatica ad emergere in Italia?

La cultura jazz se mai c’è stata in Italia è confinata agli anni ‘60 e ’70. Dopo parlerei più di moda. Legata poi com’è all’andamento discografico, direi che di cultura jazz non se ne parla proprio. L’unica attività che funziona è quella dei Festival dove spesso però gli artisti italiani sono in secondo ordine rispetto agli americani o agli stranieri in genere. Ma anche lì devi avere grossi agganci, sennò sei tagliato fuori. Del resto qui da noi un personaggio come Allevi è l’unico che ha tanta attenzione, tanto da essere chiamato il nuovo Mozart o cose simili.

La risposta all’estero? Lei che ha vissuto anche in America?

All’estero è sicuramente meglio, se sei un musicista valido sicuramente ti ritagli una buona quantità di lavoro specie in Francia o nel nord Europa. Non un caso se moltissimi di noi si sono trasferiti.

Ritorniamo a lei. Quando l’uscita delle due nuove idee compositive?

Sicuramente per febbraio 2010 saranno distribuite, e speriamo bene.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.