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"DOM1"Le colpe dei padri ricadono sui figli.

[Geremia, 31:29]

Cos’è rimasto, a noi figli, della terra lasciataci dai nostri padri? Di quella stessa terra che ci ha messo al mondo ed ora ci caccia di casa come una madre inospitale? Ben poco. Sono questi gli anni di cui i futuri supporti tecnologici, trattando di storia, parleranno come dei tempi durante i quali tumori e disoccupazione si sono giocati il primato di piaga inarrestabile. Un tempo si lavorava per vivere, adesso ci si ammazza per lavoro e sul lavoro. Questo è diventata la nostra Italia: un cumulo di macerie su un terreno che stenta a germogliare. Una terra in cui non c’è posto per i sogni e per la ambizioni. Un paese che guarda al passato aggrappandosi alle sue glorie tramontate e ha paura di voltarsi per guardare avanti e scoprire quanto sia lontano il futuro. La terra dei paradossi in cui, pur lavorando di più, si guadagna sempre meno. C’è chi va a lavoro e non torna a casa. C’è chi resta a casa perché un lavoro non ce l’ha. I più coraggiosi allora decidono di restare per ricostruire, i più audaci scelgono di partire alla ricerca di una nuova terra promessa.

Il giovane Chef Domenico Palmisano rientra nella cerchia di quelli che, bagagli e passaporto alla mano, sono salpati verso lidi lontani dalla loro Itaca. Un ragazzo che ha studiato e lavorato sodo per coltivare le sue passioni e i suoi talenti innati ma si è visto costretto a partire, nella mai sopita speranza di poter fare un giorno rientro a casa. Originario di Massafra (TA), Palmisano con tenacia ha investito le sue energie nelle sue due più grandi inclinazioni professionali: la cucina e il giornalismo. Si diploma presso "DOM6"l’Istituto alberghiero di Crispiano (TA) per poi iscriversi alla facoltà di Scienze della Comunicazione e dell’Informazione a Roma. Dedica il suo tempo tanto all’una quanto all’altra delle sue passioni: mentre è al liceo allena la penna e il suo senso critico, nel periodo universitario, invece, affina la sua manualità tra i fornelli lavorando in diversi ristoranti della capitale, impieghi utili anche a mantenersi. Si laurea nel settore della comunicazione ma “il cordone ombelicale con la cucina” non si taglia mai, come affermato dallo stesso Palmisano. Acquisisce sicurezza ed esperienza lavorando come Chef in ristoranti romani ed in Corsica. Mentre è sul web alla ricerca di nuovi impieghi nel Nord Europa, per caso scorge l’annuncio di un ristorante di nuova apertura in Cina. Invia la sua candidatura, supera un food testing a Milano e viene assunto. Come un novello Marco Polo, Palmisano raggiunge la Cina. Noi di LSD abbiamo intervistato il talentuoso Chef massafrese per farci raccontare della sua esperienza a 16 ore di volo da casa. Gli abbiamo domandato delle difficoltà e delle soddisfazioni ottenute nel corso di questa ripartenza in una terra talmente distante sia geograficamente che, soprattutto, culturalmente dalla sua. Abbiamo rivissuto, assieme alle sue parole, il suo viaggio verso l’estremo Oriente, l’esodo di un ragazzo come tanti che al mollare i remi ha preferito levare le ancore.

Domenico, dopo la laurea hai comunque continuato a lavorare come Chef, tra la Corsica e Roma. Poi, nel 2011, la decisione di partire per la Cina. Come mai la scelta di una meta così lontana? I tuoi genitori cosa ne hanno pensato?

Fare il giornalista agli inizi non è molto facile in Italia considerando le magre remunerazioni. Al contrario, il mestiere del cuoco è molto richiesto. Dopo una stagione estiva in Corsica ed una bellissima esperienza a Roma in un’osteria pugliese, decisi di espatriare. Mi sarebbe piaciuto lavorare in un paese del nord Europa. Bazzicando fra website ho risposto incuriosito ad un annuncio per un ristorante di "DOM4"nuova apertura in Cina. Non ci ho pensato due volte, ho fatto un food testing a Milano e sono stato assunto. Non avevo preso mai in considerazione la Cina come meta per lavorare, prima di allora. La curiosità tuttavia mi ha catapultato dall’altra parte del mondo. La mia famiglia mi ha supportato anche se ovviamente non fa mai piacere sapere di un figlio a 16 ore di volo da casa. Sono partito solo ed arrivato in Cina sono rimasto scioccato dall’ultramodernità delle sue città.

 

Quali difficoltà hai incontrato nell’ambientarti in Cina?

Sicuramente la lingua , il fatto di non poter comunicare e farsi capire appieno dal team di lavoro. Anche la differenza di mentalità all’inizio è abbastanza destabilizzante. C’è un metodo diverso di lavoro e di interazione con il personale. Uno chef severo e tiranno rischia in Cina di fare la fine degli americani in Vietnam. Così, con molta pazienza e lavoro duro, ci si conquista la fiducia e la stima dello staff cinese.

"DOM7"Attualmente lavori al ristorante Mammamia a Suzhou. Che tipo di clientela richiamano i ristoranti italiani in Cina? Si tratta soprattutto di italiani, di cinesi o di un altro tipo di turisti?

La clientela è del tutto  variegata, Suzhou è una città con una grande comunità italiana, pertanto il ristorante è frequentato da italiani ma anche da molti cinesi che si concedono una cena “esotica”. Amano il cappuccino, la nostra cucina, il nostro design, l’Italia è considerata dai cinesi sinonimo di qualità della vita e di benessere, pertanto una sorta di fregio di accresciuto status symbol.

Qual è il piatto più richiesto dai clienti italiani e quale quello maggiormente richiesto dai clienti cinesi?

Gli italiani in Cina nostalgici della complessa semplicità della cucina di casa richiedono (quasi implorando) piatti semplicissimi, senza tanti fronzoli: spaghetti al dente al pomodoro e basilico o aglio olio e peperoncino sono richiestissimi. I cinesi, invece, specie se si interfacciano per la prima volta al ristorante italiano amano ordinare tanti piatti, un po’ continuando la loro tradizione che prevede tavole molto imbandite di portate che dividono fra tutti i commensali.

Cosa ti ha colpito maggiormente della cucina cinese e cosa hai imparato da "DOM5"questa esperienza fuori porta a contatto con una cultura talmente diversa dalla tua?

La cucina cinese è davvero molto vasta cosi come il suo territorio, fortemente influenzata dalla tradizione. Nonostante l’attuale potere d’acquisto, continuano a prediligere piatti poverissimi di un passato fatto di miseria dove gli scarti sono i protagonisti di molte ricette: cartilagini, zampe di gallina, orecchie di maiale e frattaglie in generale combinati con verdure e spezie a cotture rapidissime in wok. Utilizzano solo un coltello, una mannaia da macellaio che usano per tutte le applicazioni con una precisione e manualità incredibile persino nello sfilettare i pesci. Hanno un   concetto di conservazione degli alimenti e dell’igiene che non è assimilabile al nostro. Pertanto una grande difficoltà è quella di portarli alla nostra salubrità e alla pazienza che abbiamo nello svolgere cotture lunghe. Tuttavia è apprezzabilissima la loro manualità e bravura nel confezionamento dei loro formati di pasta (jao’zi , la mian), oltre alla loro conoscenza di spezie locali che utilizzano nell’alimentazione  quotidiana con un’alchimia medica per trarne benessere.   Ho imparato tanto da questa esperienza, soprattutto in termini di nervi saldi, pazienza e comprensione.

Ti occupi della preparazione di piatti italiani. Quali sono le materie prime che hai più difficoltà a reperire per i tuoi italian dishes?

Fortunatamente, visto il grande exploit dei ristoranti italiani,  pian  piano si riescono a recuperare formaggi e salumi particolarmente di nicchia che qualche tempo fa era impensabile reperire sul  mercato.  La sfida del cuoco italiano all’estero consiste nel realizzare menu sulla base del ventaglio di  prodotti locali che maggiormente si avvicinano in termini di gusto alla cucina italiana. Nel mio caso trovo difficoltà nel reperire pesci tipici del Mediterraneo, essendo diverse le specie che vivono nel mar di Cina. Per quanto riguarda le carni invece la maggior parte dei ristoranti italiani le importa dall’Australia e "DOM2"dalla  Nuova  Zelanda. Si ha molta difficoltà nel reperire formaggi freschi come mozzarelle, ricotta e burrate, anche se pian piano cominciano a nascere delle aziende italiane che producono in loco, per la fortuna di noi operatori.

Ti piacerebbe tornare a lavorare in Italia? Se sì, a quali condizioni lasceresti la Cina per tornare in Italia?

Sarebbe il mio sogno tornare in Puglia e divertirmi con i prodotti eccezionali che offre il territorio combinando tradizione, innovazione e ricerca. Purtroppo farlo in questo momento è equiparabile ad un suicidio. Tornerei volentieri a condizione di vedere estinta l’attuale classe dirigente.

Cosa ti manca di più dell’Italia?

Il mare, i paesaggi, la cucina, le donne, le chiacchiere con gli amici. Praticamente tutto.

Il complimento che ricordi con più affetto che ti è stato fatto in Cina per la tua cucina?

Una coppia di giovanotti veneti che ha festeggiato le nozze d’oro al mio ristorante in Cina. Gli ho preparato un menù speciale e mi hanno coperto di speciali lusinghe. Hanno mangiato meglio che in Italia. Ed è un complimento che mi ha fatto molto piacere."DOM3"

Il tuo piatto forte?

Adoro preparare la pasta fresca, gli gnocchi e le paste ripiene. É un attività che mi rilassa e mi da soddisfazione. Il piatto forte, invece, è quello che i prodotti e l’umore della giornata ti ispirano. Quindi varia di giorno in giorno. Tuttavia sono abbastanza orgoglioso di aver portato sulle tavole cinesi le “bombette” fatte con carne di manzo e ripiene di taleggio e porcini, che in un certo senso sono diventate il mio tormentone.

 

www.mammamiapizzeria.com.cn

 

 

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.