Tempo di lettura: 2 minuti

"bollani7"Cos’è il Genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione.” (da “Amici miei” di Mario Monicelli)

Teatro Petruzzelli. Un uomo guadagna il palcoscenico e si siede al suo pianoforte. Il suo nome è Stefano Bollani. È solo. Anzi no. A guardare bene non lo è. Non lo è affatto. E non ci riferiamo di certo, come qualcuno avrà pensato, alla straripante presenza di pubblico che affollava in ogni ordine di posto il Politeama barese, facendo registrare già da giorni uno strabiliante sold out, bensì all’immenso bagaglio che Stefano porta con sé, un enorme baule colmo, tra le altre cose, della sua impareggiabile maestria e della sua sterminata conoscenza musicale. Che sarà una grande serata lo si comprende immediatamente, sin dall’attacco del primo brano firmato dallo stesso Bollani: i suoni scaturiscono fluidi dal pianoforte, non più fine ma splendido mezzo, strumento propizio all’estrinsecarsi della multiforme personalità dell’artista, sino a farlo apparire un naturale prolungamento del suo corpo, mentre le note, un tempo rigidi steccati issati sul pentagramma a delimitare la libertà dell’esecutore, diventano solo un “pre-testo”, un prologo, un’introduzione, una sollecitazione, un segnale che, ricevuto dall’esterno, viene decodificato ed amplificato, così da trasmetterlo al pubblico in un turbinio di emozioni difficilmente descrivibili sulla fredda carta. In effetti, tutto questo non dovrebbe stupirci né trovarci impreparati, in quanto è ormai divenuta piacevole consuetudine ogniqualvolta ci capita l’immensa fortuna di assistere – ma sarebbe meglio dire partecipare o addirittura vivere e condividere – ad un recital solistico del pianista milanese: è sempre un’esperienza meravigliosa, unica, fondamentale per chi voglia comprendere come si possa seriamente giocare con la musica, e l’appuntamento che ha chiuso la programmazione 2014 del Teatro Forma e di Bass Culture è stato ancora una volta tangibile prova dell’assoluto ed inesauribile stato di grazia del Bollani, che ha affrontato anche questa prova come un moderno guerriero, un atleta d’altri tempi, un ciclista da gare in salita, un ginnasta a corpo libero che disegna perfette architetture nell’aria. Così assieme alle “solite” straordinarie trovate dei bis a richiesta o della riproposizione di “Mafalda”, brano scritto per un (forse a ragione!) irriconoscente Fred Bongusto, o del portentoso, immaginario quanto immaginifico repertorio del tizio che si è deciso a tradurre i successi mondiali in toscano, siamo nuovamente catturati dalle meravigliose (ed ormai familiari) composizioni originali, come “Il barbone di Siviglia”, da un bel po’ dell’amato Brasile, con una “Tristeza” da urlo, e da una serie di altre perle tra cui la davisiana “So what”, “Un giorno dopo l’altro” di Tenco, l’“America” di “West side story” e persino una improbabile “Tu scendi dalle stelle”. Ma sono solo alcune istantanee di un set sublime, perfetto; molto altro ancora appare e scompare nel portentoso marasma generato dalle supersoniche dita di Stefano, che lasciano affiorare schegge di musica impazzite plasmate dall’impareggiabile abilità dell’artista. Ecco spiegato il motivo per cui dicevamo in apertura della assoluta visibilità dell’immenso bagaglio che Bollani porta seco, mostrandolo in tutto il suo splendore, dominandolo, piegandolo ad ogni suo volere, così da non essere mai un mero esecutore bensì fulcro, nucleo, punto di riferimento di una musica che giunge sino a lui in cerca di una genesi che Stefano riesce sempre a donarle, rendendola splendidamente nuova, ignota, pura.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.