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"ADavanti a me c’è un’altra vita [la nostra è già finita] e nuove notti e nuovi giorni: cara, vai o torni con me? Davanti a te ci sono io [dammi forza, mio Dio] o un altro uomo? [chiedo adesso perdono] E nuove notti e nuovi giorni: cara, non odiarmi, se puoi.

Questo – lo sappiamo tutti – è un passaggio di “Pensieri e parole” del fantastico duo Mogol / Battisti; ora, noi non possiamo esserne certi, ma ci piace supporre che il capolavoro del cantautorato italiano abbia in qualche modo ispirato Florian Zeller, enfant prodige (classe 1979) della letteratura francese, per la creazione di “L’envers du décor” (espressione francese che letteralmente andrebbe tradotta con “il retro dell’arredamento”, ma che, in realtà, è un calembour che sta per “dietro le quinte” o, anche, per “quel che si nasconde all’interno”, vale a dire, per un essere umano, “pensieri e parole”, appunto), il testo che ha scritto per l’amico Daniel Auteuil, attore sublime di tanti film tra cui non possiamo non ricordare – consigliandone la visione – “Un cuore in inverno”, “L’ottavo giorno” e “In nome di mia figlia”, e che lo stesso ha prima diretto ed interpretato in teatro e poi anche al cinema, potendo contare, in quest’ultima occasione, sulla partecipazione, nel ruolo di comprimario, del compagno di tante avventure, Monsieur Gérard Depardieu.

Lasciando ad altri l’incombenza di visionare e recensire la pellicola, uscita anche in Italia con l’incerto titolo “Sogno di una notte di mezza età” (inutile ed, invero, incomprensibile richiamo a Shakespeare), nei giorni scorsi abbiamo avuto la possibilità di assistere ad una delle quattro repliche, tenutesi in un Teatro Abeliano sold out già da giorni, inserite nell’annuale cartellone della Stagione teatrale di Bari curata dal Teatro Pubblico Pugliese, di “A testa in giù” (ma anche qui il nostro Pino Daniele non c’entra nulla), versione teatrale italiana dell’opera di Zeller, affidata alla regia di Gioele Dix, che ha indiscutibilmente il suo punto di forza nella presenza di due stelle di prima grandezza del calibro di Paola Minaccioni e del nostro Emilio Solfrizzi.

La commedia è una di quelle fotografie di interni cui gli autori transalpini ci hanno da tempo abituato: Daniel (Solfrizzi), editore colto dalle inossidabili certezze, conduce senza particolari sussulti il proprio ménage familiare con la moglie Isabelle (Paola Minaccioni), quando riappare Patrick (Bruno Armando), l’amico di una vita intera, che ha da poco abbandonato la moglie per cominciare una relazione con l’avvenente e di molto più giovane Emma (Viviana Altieri), cameriera aspirante attrice. Daniel inviterà la nuova coppia ad una cena che sarà motivo di una spietata analisi – solo pensata, però, mai confessata – da parte di tutti i commensali, particolarmente del buon padrone di casa, che, sull’onda della fantasia – soprattutto sessuale – più sfrenata e di una malcelata invidia nei confronti di Patrick, metterà in discussione gran parte della propria esistenza e sarà sul punto di affrontare uno sconvolgente revirement, prima di tornare sui propri passi, accettando una stabilità coniugale a lungo ricercata, curata, accudita, conscio che la vera rivoluzione si realizza solo nella normalità.

L’originalità della pièce sta, come detto, nel fatto che il pubblico “ascolta” i pensieri dei protagonisti, così da creare un tourbillon di equivoci, escamotage che, però, mostra presto la corda, risultando inaspettatamente più che godibile nella prima parte, quella in cui si fronteggiano i due coniugi nell’atto di deliberare tempi e modi della nefasta cena, scritta talmente bene – e recitata anche meglio – da far sì che ogni coppia presente in sala potesse immedesimarvisi, mentre va via via spegnendosi nella seconda parte, intrisa di tanti luoghi comuni e banalità da scemare verso un finale invero scontato, con il ripetitivo ping-pong tra sogno e realtà, il gioco pensieri / parole, che diventa talmente ripetitivo da risultare noioso. Purtroppo anche la regia di Dix non riesce a porre rimedio a queste visibili sofferenze insite nel testo, dimostrandosi più preoccupata, come già accaduto in precedenza per la messa in scena del suo “Sogno di una notte di mezza estate” (quando si dice la fatalità), di mettere in risalto le doti degli interpreti di gran calibro che ha per le mani, invece di porre rimedio a difetti che – crediamo – non possono esserle sfuggite; accade però che, in tal modo, la commedia non riesca ad andare oltre una stanca, convenzionale, innocua ed, infine, deludente pochade, in cui le poche trovate originali si confondono e perdono in una infinità di gag viste e riviste, tanto da suscitare sempre meno ilarità, incapaci di conferire spessore e di andare in profondità nella personalità dei personaggi, i quali, intrappolati nei rispettivi stereotipi, non riescono ad emergere se non grazie alla recitazione degli interpreti. Ed è qui che viene fuori la assoluta maestria nel destreggiarsi – e le ovazioni finali del pubblico autoctono essenzialmente lo dimostrano – dell’ottima Paola Minaccioni e – ça va sans dire – soprattutto dell’impareggiabile Emilio Solfrizzi, che, con la vis comica, fatta anche di tanta mimica, che conosciamo bene fin dai tempi dei mitici Toti e Tata, duo che l’attore barese è tornato oggi a proporre in teatro col suo sodale di sempre Antonio Stornaiolo, riesce continuamente a mettere toppe sulle falle di una nave che – gradatamente – fa acqua un po’ da tutte le parti, giungendo, anche lui non senza difficoltà, a ripararla in porto prima che i flutti dell’uggia la sommergano.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.