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Dopo aver attraversato il porticato della Rotonda della Besana entro nella chiesa sconsacrata dove fino al 13 luglio espone uno splendido pittore ed incisore, un artista fortemente radicato alla sua terra, una terra oggi divisa ma di cui lui porta il nome nei tratti del viso, della vita e del suo lavoro , un artista iugoslavo.
Attraverso gli alberi, gli uomini, il cibo e gli attrezzi del suo mestiere l’estetica di Safet Zec mostra dell’umano l’intensità in due sue forme quasi contrapposte. Nella prima, la devastante realtà della guerra dove i corpi e i visi si stagliano nella tela come fossili nella roccia, imponenti e dignitosi nelle emozioni e nei sentimenti, ma privi ormai dell’indecenza della vita, privi della puzza, dell’urina, della sporcizia che li ha segnati, sono quasi uomini- angeli che appaiono solo in parte e che sfumano via via nei contorni. Nella seconda forma invece, dolce e nostalgica ci sono i ritratti di ciò che accompagna l’uomo: muri, pani, porte e oggetti anch’essi stagliati come creature di secoli passati dalla vita segnati ma non distrutti.
I colori salvifici sono quelli della pelle e della carne ma in ugual modo del legno, del fango, della pietra, del grano e delle foglie; sono colori minerali e cristallini di acqua e di luminosità nel suo bianco di lenzuola e stoffe che appaiono incessantemente a proteggere, coprire e dare consistenza ad anime e cose ma anche gettate là e dimenticate dagli uomini ma mai dalla luce.
Nell’introspezione che caratterizza la sua arte, l’espressività e il significante sono si nel corporeo, ma dentro di esso, nel rosso veneziano del sangue che diventa l’azzurro delle vene delle braccia e delle gambe, nella gestualità, nella mimica e nello sguardo che immortala il tutto; il dentro, il profondo traspare e modella i lineamenti dei volti e le forme della materia fisica.
Contemplare le opere di questa mostra è come leggere un libro di poesie di Izet Sarajlic’, altro grande iugoslavo attraversato dalla guerra. Safet Zec è un narratore che invece della scrittura usa il segno grafico per descrivere l’inifinita e multiforme interiorità che attraversa e domina noi minuscoli uomini così da renderci meno piccoli nell’abbraccio rappresentato dai suoi quadri.
Promossa dal Comune di Milano – Cultura, Moda, Design e Rotonda di via Besana, in collaborazione con A.M.I.C.I. Associazione Milanese Incontro Cultura Immagine, e curata dallo storico dell’arte Stefano Zuffi.