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"LouisTorniamo indietro negli anni, partiamo cioè dal 1948 per una ricostruzione storica sull’ingresso della musica jazz nell’immaginario collettivo di una particolare città del sud. Allora avevo quindici anni. Da qualche anno il cinema aveva già avvicinato la mia generazione alla cultura musicale americana, le colonne sonore dei film di Esther Williams, i primo boogie woogie visti e ascoltati nei primi film ancora in bianco e nero proiettati al cinema Umberto, finchè, nel 1948, la vicinanza diventò praticamente fisica.

Fu esattamente a Bari, al Teatro Petruzzelli, ricordo strapieno di giovani e giovanissimi (beati noi!) in occasione di uno spettacolo di una grande coreografa dalla bellissima pelle ambrata, Catherine Dunham. Ad un certo punto della serata ci fu un siparietto in cui i liceali e le matricole universitarie baresi, per la prima volta in vita loro, ascoltarono dal vivo un brano di musica jazz. Si trattava di “Darktown Strutters Ball”, cantato con lento andamento da un paio di boy della compagnia, mentre le giovanissime ballerine ballavano con dolcezza e scioltezza.

La compagnia di rivista terminò i suoi spettacoli, gli anni passarono, ma non invano, perché in alcuni degli spettatori (sto parlando del carissimo Giosuè Musca sax soprano, Franco Catalano pianoforte, Mario Contini clarinetto, del fraterno amico Umberto Fiore tromba, di Tonino Antonelli chitarra, di Nio Scoppio trombone, di Giovanni Favia contrabbasso, di Deddì Palasciano batteria, ai quali subentrarono poco dopo Vito Chiarelli al clarinetto, Pinuccio Filippazzo alla batteria, il sottoscritto Franz Falanga al pianoforte, Tito Pitteri e Giampiero Tocchetti al trombone, Giancarlo Russo Frattasi al banjo) giovanissimi musicisti dilettanti che, essendosi impadroniti delle musiche della Dunham, avevano fondato la Southern Jazz Band. Eravamo agli inizi del 1953.

Ma arriviamo dunque alla primavera del 1955. Primavera indimenticabile perché, stranamente, per la prima volta, i baresi poterono osservare per la prima volta sul mare Adriatico delle nebbioline color di rosa che mai prima si erano manifestate. Primavera indimenticabile dunque, anche e soprattutto perché al teatro Piccinni, in Corso Vittorio Emanuele, un sabato e una domenica odorosi di mare e di curiosità per il mondo che si stava aprendo a noi ragazzi, dopo l’orribile orrore della seconda guerra mondiale, un sabato e una domenica dicevo, avemmo il piacere straordinario di assistere a un concerto di Louis Armstrong con tutte le sue star.

Avevamo l’anno precedente inaugurato suonando, noi della Southern Jazz Band, l’anno accademico dell’Università degli studi di Bari e ci sentivamo un po’ come i primi pionieri all’inizio di un lunghissimo viaggio nella musica di improvvisazione senza avere la più pallida idea di dove ci avrebbe condotto. Voglio ribadire che in quegli anni, l’Università di Bari è stata la prima università italiana ad ospitare una band jazz in occasione nientemeno che della solenne inaugurazione del proprio anno accademico. Sempre dare a Cesare quello che è di Cesare.

Armstrong and his All Stars alloggiavano all’Hotel Oriente, nel cuore della Bari murattiana, nel centro del baricentro della città. I fan che assediavano l’albergo erano due, io e Tonino Antonelli, il chitarrista della Southern Jazz Band. Avvicinare il grande Satchmo fu di una facilità straordinaria. Tonino parlava meglio di me l’inglese, e quindi riuscivamo a capirci benissimo. Tonino riuscì a procurarsi l’auto del papà, ricordo una fiat millequattro nera, che usammo per portare in giro prima Armstrong e poi, qualche ora dopo, Edmund Hall il clarinetto del gruppo. Con Armstrong si parlò di mare e di focacce, gli spiegammo come erano fatte, farina impastate con l’acqua e poi messe al forno e condite con pomodori e olio di oliva. Lui era di una disarmante gentilezza ed ascoltava, ascoltava noi che parlavamo illustrandogli il nostro paesaggio; si era andati sul mare, si vedeva la dolce nebbiolina a Torre a Mare e riuscimmo a trovare un rivenditore di focaccine che facemmo assaggiare al nostro fantastico amico. Non parlammo di musica, cosa avremmo potuto chiedergli? Era come se un ragazzino stesse parlando con Mosè, con un profeta. Di che si parla in quei casi? Gli si mostra il luogo dove il ragazzino abita e basta lì. Poi facemmo un giro con Edmund Hall, e qui “lui” ci parlò di musica. Ci disse che quando suonava per la prima volta un brano la prima cosa che gli interessava era sapere in che tonalità fosse il pezzo, il resto sarebbe venuto da sé. Noi eravamo lì a bocca aperta ad ascoltarlo.

Per quello che capimmo, non leggeva la musica, anche se ne conosceva i rudimenti, per esempio gli accordi. Molti anni dopo capimmo che lui quando ci parlava delle tonalità non diceva sol maggiore, sol major, come pensavamo, o si bemolle, ma usava la notazione a,b,c,d, eccetera eccetera. Per questo in alcuni momenti non capivamo cosa dicesse. Ma non importava. Ricordo che sorrideva sempre, anche lui come Armstrong. Pensavo che per questi personaggi trovarsi agli antipodi, in Europa, in Italia, in una città del sud, con due ragazzi che si facevano ingenuamente in quattro per rendere loro il soggiorno piacevole e che gli avevano detto che conoscevano la musica afroamericana per averla ascoltata sui V disc, una certa qual tenerezza gli doveva certamente venir fuori.

Gli spettacoli al Piccinni furono uno la sera al sabato e due la domenica. Tonino ed io andammo la prima sera e riuscimmo a sederci in prima fila, sulle poltrone di velluto rosso. Non ricordo bene se avevamo pagato il biglietto o se gli All stars ci avessero adottato, il fatto è che eravamo lì sbracati in prima fila senza sangue nelle vene, senza che io e Tonino ci parlassimo.

Il sipario di velluto rosso del Piccinni era chiuso, le luci si abbassarono, e a sipario chiuso, non mi pare ci fossero microfoni o altre amplificazioni, iniziarono a suonare la sigla “When it’is sleepy time down south”. Sugli accordi finali il sipario si aprì lentamente e, partendo da sinistra, ci apparvero, illuminati dal basso con ancora le vecchie luci anteguerra della ribalta, Charlie Beal al pianoforte, Louis Armstrong alla tromba, Edmund Hall al clarinetto, Drummy Young al trombone e, dietro, Barret Deems alla batteria, con accanto Slam Stewart al contrabbasso, vocalist Welma Middleton. Dopo qualche brano, avevano appena suonato “Strutting with some barbecue”, Armstrong si avvicinò alla ribalta e sorridendoci disse, avendoci peraltro visto parlare anche con Edmund Hall, “and now Frankie and Tony for you, Dardanella”. E lasciò la scena tutta a Edmund Hall. E ancora, come se tutto non fosse stato già abbastanza, dopo qualche altro brano, in quella mitica sera di oltre cinquant’anni fa, Edmund Hall, mi dedicò personalmente “Clarinet Marmalade”.

Da quella sera iniziammo un viaggio in uno straordinario universo sonoro che mai più ci avrebbe abbandonati.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.