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Il tour teatrale partito da Ferrara nella prima decade di novembre di Vasco Brondi alias "Le luci della centrale elettrica" aprroda a Bari nella fredda serata del 10 dicembre. La Casa delle Musiche ospita quest’evento nell’ambito del festival Suono e immagine. Il teatro Kursaal Santa Lucia accoglie gli spettatori che subito hanno una stana sensazione: pare che parte di una città senza nome si sia riversata all’interno del teatro e che abbia preso posto proprio sul fondo del palco. Viene quasi da pensare che alcuni palazzi si siano davvero rifugiati lì per mettersi al riparo dal freddo. In realtà quella che si presenta è solo la traduzione scenografica della copertina del nuovo album disegnata da Andrea Bruni, promettente disegnatore underground. "Per ora noi la chiameremo felicità"(citazione dell’artista francese Léo Ferré), questo è il titolo dell’ultima fatica del cantautore ferrarese, la seconda dopo "Canzoni da spiaggia deturpata" (premio Tenco 2008 come miglior opera prima e grande favore della critica), e che ora offre in una suggestiva versione live al pubblico di Bari. Si spengono le luci in platea e si accendono quelle sul palco ad illuminare due chitarre, un violoncello e un violino. E poi si accende anche la musica sospinta dal vibrare di corde per muovere altre corde di ben altra natura. L’orchestra è minima: chitarre distorte e archi negli amplificatori.

Ma la vere protagoniste sono le parole, sciolte, libere di associarsi con sorelle lontanissime. La poetica di Vasco Brondi è un qualcosa che indica in maniera precisa e diretta un’intuizione che non si riesce a nominare, perchè quell’intuizione di nomi ne ha ben troppi, o forse nessuno, e allora noi la chiameremo provvisoriamente felicità . Quelle de "Le luci della centrale elettrica" sono canzoni piene di disperazione, di perdita di equilibrio, ma sono anche canzoni d’amore, amori nati nella desolazione delle metropoli alienate ed alienanti, amori contaminati dalle scorie delle "fabbriche lunghe come l’orizzonte", cresciuti in stanze anguste e strette con "i soffitti che piangono", con le pareti da ridipingere perchè "il nostro scambio d’organi" le ha imbrattate, sono canzoni che parlano "di miracoli economici, di guerre fredde, di lavori neri, di licenziamenti di metalmeccanici, martedì magri e lunedì difettosi, degli occhiali scuri di Pasolini, alberghi che occultano i tramonti". Sono canzoni che lasciamo traparire una gran voglia di parlare, di essere compresi.

"LeE forse questa è l’esigenza di tutta una generazione. E così Vasco canta una canzone dopo l’altra intervallando le esibizioni con coinvolgenti momenti dedicati alla lettura, stralci di pensieri strappati al movimento incessante della mente e bloccati su un foglio di carta. Durante il concerto c’è spazio anche per Léo Ferré, la cui voce registrata viene diffusa atteaverso altoparlanti posti in alto. Infatti è una voce calda che ci sovrasta, come quella di dio, che ci sputa in faccia la nostra comicità nel vivere, o meglio, nel pensare di vivere. E intanto il giovane Vasco urla dentro al megafono, urla contro tutto ciò che è è più grande di lui, e di noi che lo ascoltiamo, ma poi ci sussurra parole di consolazione, sempre precise, sempre sofferte, con una smisurata dolcezza. Canta anche uno dei capolavori di De Gregori, "Bene"; una cover personalissima ma efficace, che impreziosisce ancora di più la sua perfomance. Poi ci augura di prender freddo ogni tanto e ci dice -buona notte-, e va via. Si svuota il teatro in silenzio. Fuori fa freddo per davvero.

Foto di Alessia Martino

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.