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"FB_IMG_1513431273726"Non sono poi così lontani i tempi in cui il New York Times, presentandolo, scriveva “one of the most promising singer-pianists of the next generation”, ma Peter Cincotti sembra aver già coperto distanze enormi da allora, probabilmente più di qualunque altro musicista della sua generazione, al punto che oggi appare come un artista diverso da quello che, in fondo solo quattordici anni fa, appena ventenne, aveva fatto gridare al miracolo il mondo intero (compreso il sottoscritto) con la pubblicazione del suo primo album omonimo, venendo additato da tutti (compreso il sottoscritto) come il vero ed unico erede dell’immenso Frank Sinatra, prima dell’avvento dell’acclamato (con riserva del sottoscritto) Michael Bublé o anche del più viscerale Jamie Cullum. Oggi, quel ragazzotto, che di giorno era un semplice scolaro e di notte suonava nei locali newyorchesi dove – leggenda vuole – una sera fu ascoltato dal leggendario Phil Ramone che volle produrgli proprio l’album d’esordio, sembra alla ricerca di un suono nuovo, più moderno, di maggiore impatto, forse anche più commerciale ma sempre di altissimo livello, qualcosa di più simile alle sonorità del sommo Billy Joel che del citato Sinatra.
“Long way from home”, il suo ultimo album di inediti, il primo dopo cinque anni, appare, esattamente come il titolo vuole, come un nuovo punto di partenza, l’instaurarsi di un incessante work in progress, di un viaggio, forse fisico ma soprattutto intimo e personale, che Peter ha intrapreso e che – crediamo – lo impegnerà ancora a lungo. È stato lo stesso Cincotti a chiarire che tutti i brani dell’album sono stati ispirati da luoghi geografici amati (“Molte canzoni di questo disco sono state ispirate specificamente dall’Italia; “Roman skyes” l’ho scritta seduto in un taxi per le strade di Roma. Quindi, consapevolmente o inconsapevolmente, tra tutto il mio viaggiare nel mondo, le mie esperienze in Italia hanno particolarmente segnato questo album in un modo che nessun altro Paese ha fatto”) o anche da luoghi dell’anima, angoli segreti ed oscuri che l’artista ha imparato a frequentare con una strana tecnica onirica (“Ad un certo punto, ogni volta che andavo a dormire, una nuova canzone mi arrivava in ogni sogno. Così mi svegliavo e scrivevo. Diverse tracce di questo album sono state scritte in questo modo. “Palermo” è nata così! Ad un certo punto non mi sembrava di comporre ma di scrivere quello che percepivo essere già lì!”); e questo lavoro di ricerca di nuovi orizzonti si sente tutto nella nuova produzione cincottiana, che mescola con innata naturalezza e caleidoscopica personalità l’amato jazz, il funk, il rock, il blues, l’hip hop ed il pop, che – non ci stancheremo mai di ripeterlo – quando viene trattato con gusto, sensibilità e qualità, non è un novello Tieste intento a mangiare i suoi stessi figli, anzi.
Insomma – si sarà ormai compreso – a noi il musicista newyorkese – ma con nonna di Piacenza e nonno di Cervinara, in provincia di Avellino – piace tanto; vien da sé che non ci è parso vero vederlo apparire sul palco di un Teatro Forma pieno come un uovo (sold out da mesi) per la tappa barese – la prima di tre in Puglia – del suo tour mondiale, senza dubbio uno dei punti di forza della Stagione del teatro e, di fatto, regalo di Natale in anticipo per quanti amano la Musica con la M maiuscola. E se Joseph Nero alla batteria e Lex Sadler al basso e campionatori apparivano del tutto inadeguati all’occasione, così da far salire alto il rimpianto per non aver goduto di un concerto con una band degna dell’artista o, meglio, con una orchestra – prova già magistralmente affrontata da Cincotti –, era la poliedricità di Peter a farla da padrona, in particolare nei sublimi assolo di piano in cui poteva dare sfogo a tutta la sua infinita libertà espressiva. Nel set barese hanno trovato posto molti titoli dell’ultimo lavoro, a partire proprio da “Long way from home”, che ha aperto il concerto, per poi continuare con “Story for another day”, “Sexy”, le citate “Palermo” e “Roman skies”, “Made for me”, “Half of you”, “Wanna be” e la splendida “Sounds of summer”, cui andavano ad aggiungersi altre perle sparse quali “Do or die”, “Cinderella beautiful”, “Goodbye Philadelphia”, “Witch’s brew” e “Make it out alive”. Ma nel concerto del Forma c’è stato un attimo di rara bellezza, di lucida follia, di inebriante emozione, un episodio che non dimenticheremo facilmente, materializzatosi davanti ai nostri occhi e nelle nostre orecchie quando Peter, in preda ad un momento quasi ascetico, ha interrotto la normale scaletta per eseguire, probabilmente memore di trovarsi nella patria eletta di Nino Rota, in assoluta solitudine la sua versione di “Come live your life with me” (contenuta nel suo primo album), versione cantata di quel capolavoro che è “The Godfather waltz”, emblema della saga coppoliana de “Il padrino” e della produzione del divino compositore, riuscendo a fermare, grazie solo alla sua Arte, il trascorrere frenetico del tempo ma, anche e soprattutto, il convulso battito del nostro cuore.

Foto di Oronzo Lavermicocca

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.