Tempo di lettura: 3 minuti

"hendrix"

Dopo essere passato come una supernova sul mondo della musica, Jimi Hendrix continua a essere una star del mercato. Il 27 novembre Jimi avrebbe compiuto 70 anni, ne sono passati 42 dal 18 settembre 1970, il giorno della sua morte. Proprio il 27 novembre nei cinema italiani arriverà «Hendrix 70. Live at Woodstock», il video della sua esibizione registrata all’alba del 19 agosto 1969, in coda alla tre giorni di «pace, amore e musica». Nel frattempo è arrivata nelle librerie italiane «Jimi Hendrix – Mio fratello» (Skira edizioni, pp. 292, euro 18.50), la biografia scritta dal fratello Leon con Adam Mitchell (nell’edizione italiana c’è una prefazione di Enzo Gentile). In febbraio invece verranno pubblicati il doppio Cd «Live at the Fillmore East’’ ed il documentario «Band of Gypsys». L’album contiene 16 brani, 13 dei quali inediti o comunque mai pubblicati nella presente versione, più altri due mai precedentemente editi su Cd. Il documentario contiene invece le uniche riprese filmate conosciute della band.

Due anni fa, per ricordare i 40 della sua morte, era stata pubblicata la raccolta «Valleys of Neptune», con inediti, rarità e versioni alternative di brani già pubblicati. Sono evidentemente gli effetti del lungo iter seguito dai suoi familiari per rientrare in possesso dei diritti sulla musica di Hendrix, un vero tesoro, sia in termini artistici che economici.

Il materiale musicale è pubblicato e controllato dalla Hendrix Foundation, che fa a capo al padre e alla sorella. E a vigilare sulla qualità delle registrazioni c’è Eddie Kramer, fedelissimo ingegnere del suono di Jimi. E’ strano constatare come il destino di Hendrix sia quello di essere spremuto come un limone. Quando era in vita, da contratti capestro e dalla condotta ai limiti del criminale di chi faceva soldi a palate con i suoi concerti e i suoi dischi lasciandogli le briciole fu costretto a vivere travolto da una ruotine di concerti e impegni che lo ha consumato. Appena morto è stato oggetto di uno sfruttamento indiscriminato che ha pochi confronti: come sanno bene i collezionisti che per anni hanno comprato i bootleg, c’è una quantità impressionante di registrazioni di concerti e in studio, dove Hendrix accumulava ore e ore di materiale che poi veniva scartato (e che è stato già parzialmente sfruttato, arrivando persino a pubblicazioni con sovraincisioni di altri musicisti). Ora è il momento dei parenti.

A guadagnarci è il pubblico perchè, ovviamente, comincia ad avere regolare circolazione materiale che finora era patrimonio esclusivo di collezionisti ed esperti. Del concerto di Woodstock si sapeva tutto, grazie al film e all’album pubblicato nel 1999 (con qualche taglio effettuato da Eddie Kramer). Hendrix era stato chiamato a chiudere il festival: dei 500 mila del pubblico ormai erano rimaste poche decine di migliaia di persone, il sole stava sorgendo e di fronte a lui c’era un enorme prato pieno di cartacce e spazzatura. In una fase di ripensamento creativo, aveva messo insieme una band insieme a due sue vecchi amici, il chitarrista Larry Lee e il bassista Billy Cox, Mitch Mitchell alla batteria e due percussionisti, Juma Sultan e Jerry Velez. Per vari motivi l’esibizione nel suo complesso è stata tutt’altro che impeccabile eppure coincide con uno dei momenti più simbolici della storia del rock: l’esecuzione di Star Spangled Banner, incorniciata tra Voodoo Child e Purple Haze. Quella folgorante versione distorta dell’inno americano è diventata non solo il più memorabile atto di un festival dall’importanza decisiva, ma anche il simbolo in musica del rifiuto della guerra. La biografia scritta dal fratello Leon aggiunge una prospettiva familiare al racconto documentatissimo della breve e folgorante vita del genio di Seattle. Un racconto parallelo a quello del fenomeno incompreso e licenziato da Little Richard perchè il suo stile era troppo esuberante che diventa una star solo dopo essersi trasferito a Londra su invito di Chas Candler, l’ex bassista degli Animals che diventò il suo primo produttore. «Live at Fillmore East’’ è la testimonianza dei quattro concerti che Hendrix suonò a New York il 31 dicembre 1969 e il primo gennaio 1970 con la Band of Gypsys, il trio formato con Billy Cox e Buddy Miles. L’album Band of Gypsys uscì con Hendrix ancora in vita, conteneva solo due lati ed è sempre stato considerato in modo controverso (nel 1999 è stata pubblicata una versione più estesa del concerto). Con questa formazione Hendrix voleva evidentemente riaccostarsi alle sue radici black, andando in una direzione più soul e funk con l’obiettivo, lui politicamente vicino alle Black Panther, di riconquistare i favori del pubblico nero americano. Anche in questa occasione, con «Machine Gun’’, uno dei momenti più esplosivi della sua carriera, lascia un segno indelebile nell’impegno contro la guerra del Vietnam.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.