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Le isole Dahlak sono più di 120, e senza alcun dubbio sono uno dei più belli e meno conosciuti paradisi tropicali africani. Sono impresse nel’immaginario dei sub, soprattutto quelli italiani, perché fecero da sfondo alle riprese di Bruno Vailati e Folco Quilici nel 1952 quando con la motonave Formica vi trascorsero sei mesi per la realizzazione del mitico film (e libro) Sesto Continente. Dopo più di 60 anni ben poco è cambiato alle Dahlak. Le barriere coralline sono intoccate e il preadattamento ad acque caldissime le ha preservate dai danni che il riscaldamento globale ha inferto a ben più rinomati reef.  Le acque brulicano di centinaia di specie di pesci di barriera e non è raro incontrare  mante e squali. Le tartarughe marine sono numerose e con un po’ di fortuna si può assistere alla deposizione o alla schiusa delle uova su spiagge deserte, dalla sabbia finissima, dai riflessi rosati per la presenza di microscopici frammenti di coralli rossi. I cieli sono solcati da stormi di uccelli marini e costieri (sterne, pellicani, drome, fetonti, garzette del reef, aironi Golia, spatole). Non cacciati, non temono l’uomo e si possono osservare, a rispettosa distanza, mentre nidificano sulle isole, spesso in colonie di migliaia di coppie. In primavera e in autunno le isole si trovano sulle rotta migratoria di uccelli che fanno la spola tra Africa e Asia e allora con upupe, cuculi e rondini si può creare un contatto ravvicinatissimo. L’interno delle isole è riarso dal sole per la maggior parte dell’anno, ma con le piogge invernali i profumati gigli di mare, le spinose acacie, i mitici alberi della mirra e strane euforbie simili a cactus si risvegliano, rinverdiscono le isole e riempiono l’aria del profumo dei loro fiori. Nelle baie riparate crescono fitti boschi di mangrovie, con le loro contorte radici aeree, alberi adattati a crescere nell’acqua marina. Gazzelle rimpicciolite rispetto a quelle del continente sono un emozionante incontro sull’isola più grande, Dahlak Kebir, mentre capre e cammelli vagano liberi sulle poche isole abitate.

Le isole Dahlak fanno parte dell’Eritrea, un nome che viene dal greco e significa “Terra del Mare Rosso”, un Paese giovane che solo nel 1993 ha raggiunto l’indipendenza dalla vicina Etiopia dopo una lunga  guerra di liberazione. La prefazione del volume ci narra del legame particolare dell’Eritrea con la Liguria: un legame che risale alla seconda metà dell’Ottocento e che ha contribuito alla nascita di questo Paese del Corno d’Africa. Per l’Italia è stato il primo possedimento d’oltremare, la cosiddetta colonia “primogenita”, fondata nel gennaio 1890. L’avventura coloniale italiana ebbe inizio proprio a Genova. Poco dopo l’apertura del Canale di Suez, nel 1869, dal porto del capoluogo ligure salpò la nave “Africa” dell’armatore Raffaele Rubattino alla volta della baia di Assab per prendere possesso del primo suolo in terra straniera, acquistato per suo conto dal frate-esploratore genovese Giuseppe Sapeto. E genovese era Arturo Issel, uno dei primi naturalisti ad avventurarsi, nel 1870, nello studio di questo arcipelago situato al largo di Massawa, la “Perla del Mar Rosso” di antica memoria. Nonostante le molte ombre dell’avventura coloniale italiana, testimoniate alle Dahlak dai resti del famigerato carcere di Nokra, le migliaia di famiglie immigrate dall’Italia hanno lasciato in Eritrea tracce profonde.

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In questo libro pubblicato a Genova da Erga edizioni immagini straordinarie e parole appassionate raccontano il meraviglioso e in parte sconosciuto arcipelago delle Dahlak. L’amore per la fotografia e gli interessi naturalistici, storici e culturali degli autori, si sono fusi armonicamente in questa ricerca che per la prima volta affronta in modo completo tutti i variegati ed inediti aspetti della vita delle Isole Dahlak.

– Naturalistico. Splendide immagini e testi coinvolgenti descrivono l’origine delle isole e conducono il lettore a esplorare ed a cercare di capire i vari ambienti, marini, costieri e di terraferma e gli animali e le piante che li popolano.

– Etnografico. Un tuffo nella vita e nelle tradizioni degli abitanti delle isole, sempre meno numerosi, che nonostante le condizioni di povertà, con la loro vita semplice e tradizionale seguono ancora i ritmi della natura e conservano una dignità che li rende fieri delle loro tradizioni secolari.  La loro vita ruota intorno alla pesca che utilizza ancora soprattutto barche di legno, costruite con sapienza antica, i grandi sambuchi e i più piccoli huri, anche se le tradizionali vele sono ora sostituite da moderni motori. Poco abituati ai turisti,  gli abitanti dei villaggi sono però profondamente ospitali e accolgono i visitatori che si avvicinano con rispetto nelle loro case colorate ed essenziali con il calore dei loro sorrisi e la luce intensa dei loro sguardi.

– Storico. Dal sottosuolo riarso emergono, per ora poco studiati e valorizzati, i resti archeologici delle civiltà che per due millenni si sono succedute nel controllo di un crocevia fondamentale nelle rotte commerciali tra Mediterraneo, Corno d’Africa e Oriente, dai Romani ai Persiani, ai Portoghesi, ai Turchi, agli Egiziani, agli Italiani. Le isole sono state a lungo famose per il commercio delle perle e della madreperla di cui le sue acque sono ricche. È stato però soprattutto il controllo dei commerci di spezie tra India e Mediterraneo che ha reso a lungo strategiche queste isole e ne ha determinato le lotte per il possesso così come le fortune, culminate  durante il Medioevo  quando l’arcipelago divenne sede di un potente sultanato. Le steli tombali del villaggio di Dahlak Kebir, scolpite in eleganti caratteri cufici, gridano ancora al vento il nome di sultani e semplici abitanti di quell’epoca gloriosa per l’arcipelago.

– Turistico. La ricca sezione finale del volume è dedicata ai viaggiatori avventurosi, con una guida dettagliata alle singole isole aperte al turismo e alle possibilità di godere tutta la loro incontaminata bellezza. Regno dell’avventura, occorre organizzare la visita in ogni dettaglio con tende, vettovaglie, riserve d’acqua e barche noleggiate appositamente. Sulle isole, infatti, non vi sono accoglienti resort né strutture turistiche essenziali. Non c’è luce elettrica, l’acqua dei pochi pozzi scarseggia e il clima è quasi sempre torrido. Ci sono però il mare, uno dei più belli e incontaminati del mondo, pochi villaggi di pescatori molto ospitali, un paesaggio desertico e di notte una volta celeste incombente e fantasmagorica. Una breve sezione finale a cura di due esperti sub illustra infine alcune delle più belle immersioni che si possono fare sulla barriera corallina o sui numerosi relitti che punteggiano i fondali.

Quanto basta per entrare in punta di piedi in uno degli ultimi paradisi della Terra, da proteggere e conservare.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.