Tempo di lettura: 4 minuti

"Norma"
Trionfa la neoclassicità tra le colonne e le selve – marmorine le prime, schifaniane le seconde – nella severa e virile Gallia del dio Irminsul. La neoclassicità è quella che è. Il Romano Pollione, come l’Egidio manzoniano, è avvezzo a sedurre vergini consacrate, sfidarne e spezzare i vincoli sacri, spregiare gli dei della terrà invasa, a mettere donne le une contro le altre, a farsi beffe dei vinti, malnomandoli, debosci e inferiori.Quel mondo è così simile al nostro, questa è la prassi dei vincitori e Vincenzo Bellini da Catania, morto 34 enne in terra d’esilio, lo sapeva bene.  Il compositore fu patriota per le libertà dei popoli italiani a Parigi, e intorno alla sua persona si riunivano molti avventurieri, giacobini, repubblicani, tanto che in un esso di buonapartismo della prima ora da un libretto di Felice Romani ispirato a Norma, o L’infanticidio di Alexandre Soumet nacque nel settembre del 1831 Norma.  Come raccontano le fonti la prima fu un gran fiasco, tra problemi tecnici e innovazioni nella struttura operistica a cui il pubblico non era pronto, come spesso accade. Bellini aveva infatti modificato il soggetto di Soumet che prevedeva espliciti riferimenti alla Medea di Euripide in cui la perfida maga venuta da lontano uccide i figli per far dispetto allo sposo traditore. L’autore nega che quindi che la sua protagonista possa davvero essersi macchiata di un tale misfatto ella non è la donna vittima della xenofobia greca, ma solo una donna innamorata che preferisce accompagnarsi all’uomo che ama e che più volte torna a tradirla. La pira non si vede ma si sente, e arde per due. E’ infatti nel segno del fuoco che monda i protagonisti dai loro misfatti che si compie questa messa in scena della Norma dopo venti lunghi anni in cui è successo di tutto. Con questa rappresentazione belliniana si chiudeva infatti nel 1991 il primo ciclo della vita del Teatro Petruzzelli le cui fiamme all’alba di una domenica di novembre furono spente dalle lacrime della città di Bari. Il fuoco portò via il teatro che vide esibirsi i più grandi artisti del passato secolo in tutti i campi dell’arte nella danza: Nureyev, Béjar, Baryshnikov, Pina Bausch, Martha Graham, Lindsay Kemp; nel teatro: Carmelo Bene e Eduardo de Filippo, Tadeusz Kantor, Eugenio Barba, e poi Pavarotti, Placido Domingo, José Carreras, Katia Ricciarelli, Raina Kabaivanska, e infine Liza Minelli, Ray Charles ed anche Liz Taylor che qui girò fu Aida nel "Il Giovane Toscanini" di Franco Zeffirelli.Qualcosa è andato irrimediabilmente perduto, e anche se nessuno più potrà ridarci le tele e il sipario finemente dipinto da Raffaele Armenise, la storia d’un grande teatro italiano va avanti. Rimettendo in scena la Norma, gordianemente si debella un presagio, e lo si fa in modo grandioso, chiamando a dirigere lo stesso direttore di allora Roberto Abbado, nipote del più celebre Claudio. Roberto Abbado è, come noto, bacchetta incisiva, indicatissima per opere palpitanti di ardore, di amore e morte, romantiche cioè non solo storicamente ma anche stilisticamente. La regia è invece affidata a Federico Tiezzi, un maestro del teatro di ricerca in Italia, uno degli ultimi, autentici, forse l’unico assieme al suo sodale Sandro Lombardi. Tiezzi, dopo le esperienze degli anni ’80 e ’90 del "Carrozzone" e dei "Magazzini Criminali", svolge da alcuni anni il difficile compito di regista di opera lirica, aggiungendo alle messe in scena da lui curate e dirette sempre maggior originalità, nel rispetto della tradizione consolidata, ma arricchendole culturalmente di presenze efficacissime in grado di far appassionare anche coloro che da curiosi, e non melomani, si accostano agli spettacoli.Il cast della Norma barese, di cui tutti i componenti hanno ricevuto l’omaggio del pubblico non solo alla fine con più di 20 minuti di applausi ma anche a scena aperta a termine delle arie maggiori e dei duetti, è composto da alcune delle voci più significative presenti nel panorama italiano attuale. Giovane interprete di Pollione è Andrea Carè, ecclettico pupillo e allievo di Luciano Pavarotti e Rayna Kabaivanska, già distintosi negli scorsi anni per il medisimo ruolo, ma anche per validissime interpretazioni del personaggio di don José nella Carmen di Bizet, del capitano Pinkerton nella Madama Butterfly, oltre che nella Medea di Cherubini e nel ruolo di Ismaele nel Nabucco di Giuseppe Verdi. La sua voce è splendida: tecnica, istintiva, potente, solca il palcoscenico con maestria di attore consumato, assumendo pose plastiche con una straordinaria naturalezza. Sonia Gianassi è invece interprete di Adalgisa, sacerdotessa che Pollione preferisce a Norma, è una delle più efficaci mezzosoprano italiane, anch’ella ottima conoscitrice del ruolo a cui aggiunge una capacità di gestione dello spazio scenico pressocchè totale, in grado di vibrare e far vibrare la macchina scenica, duettando con discrezione e potenza, affermando l’energia di tutta la sua corposa personalità d’interprete. Carmela Remigio è Norma, certo per chi ha nelle orecchie "Casta Diva" della Callas, si troverà forse deluso, ma la Remigio conferisce con la sua grande tecnica di primissimo livello quella coloritura che non è facile trovare nelle contemporanee interpretazioni di Norma, cantata solitamente solo e soltano di potenza. Il disegno vocale del ruolo di Norma è straordinario, senza fronzoli eccessivi, con una pulizia esecutiva che conduce il pubblico alla commozione. E’ una statua una diva italica essa stessa, i movimenti del corpo sono sinuosi e sensuali e nettamente percepibili dalla prima all’altima fina nel loro straordinario fascino.Tutti si sono distinti, quindi, per la generosità dell’interpretazione e il calore mostrato nei confronti del pubblico, che con quest’opera doveva necessariamente esorcizzare il ricordo doloroso di venti anni prima.Ma ciò che entusiasma maggiormente è l’aspetto visivo. Le scene curate da Pier Paolo Bisleri utilizzano bozzetti di Mario Schifano, grande pittore della seconda metà del Novecento, uno dei più originali. I costumi di Giovanna Buzzi sono uno straordinario contrappunto di colori brillanti e panneggi finenmente lavorati esaltati dalle luci di Gianni Pollini.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.