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Un nuovo avvincente lavoro poetico letterario dello scrittore Giuseppe Selvaggi. Il tempo scorre inesorabilmente in questo libro, un alternarsi tra poesia e racconto, con parecchi salti temporali, che coinvolgono ed appassionano. Nelle pagine, riga dopo riga riecheggiano voci, visioni, ricordi che restituiscono spezzoni di un tempo attraverso un caleidoscopio di aneddoti che portano a compenetrare il lettore nell’intensità della scrittura dell’autore, il quale sembra voler prende il lettore per mano. Emerge chiaramente la propensione dell’autore a usare la parola come pennello quasi a voler dipingere sensazioni e personaggi accompagnando in una ben riuscita staffetta di stili le riflessioni a versi poetici che si integrano perfettamente con il tono a tratti dell’osservatore del tutt’intorno e del filosofo narratore.

Un libro è come un figlio, va alimentato giorno dopo giorno sino a quando non cresce e allora le tue parole non sono più tue ma di chi vorrà accarezzarle e farle proprie”, questa considerazione dell’autore Giuseppe Selvaggi da Bisceglie, ma oramai milanese da molti anni, si accompagna a molti ragionamenti che sono stampigliati nelle sue composizioni. Un misto di poesie e di prose, uno stile che riprende la satyra latina,  non con intenti moralistici di fustigazione dei costumi ma come riflessione, a volte dolce a volte melanconica. “A chi scrive capita di vivere più stati d’animo, che vanno dall’euforia a tracce di depressione”, aggiunge l’autore ammettendo che la scrittura libera il demone e dispiega la nostra visione del mondo.

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Giuseppe Selvaggi

Scorrendo le composizioni liriche miste alle riflessioni in prosa si colgono una serie di temi che costituiscono il nerbo della sua esistenza, s/radicata da un Sud dove la natura e gli affetti gli hanno intrappolato il cuore. Il mare di Puglia e di Bisceglie con i suoi “vicoli del borgo antico, in cui non ancora disperse voci si odono… mentre il vento gioca a rincorrersi tra disabitate stradine e produce suoni quasi a provare accordi musicali…”, compare sempre nell’immaginario dell’autore, che ne sente la brezza aprendo la finestra di casa, anche se non vede le luci delle lampare. Solo le finestre illuminate come fari nel buio della notte occhieggiano. Il borgo natìo richiama la figura materna che  sibila tra le onde come novella sirena e attira il nuotatore colto a rinfrescarsi nelle acque marine. Il padre Francesco lo accompagna giovinetto sulla spiaggia.

Le loro orme leggere scompaiono tra il fluttuare delle onde. Le osservazioni del genitore richiamano il nostro passaggio sulla terra e l’andirivieni delle stagioni. Ecco allora il suggerimento paterno, che diventa il titolo del libro, a privilegiare l’autunno come stagione di passaggio “in cui il sole diventa solo un poco più avaro” e a “non stancarsi di cercare nuove primavere”, come stimolo a vivere intensamente la vita. Solo quando il padre è ormai stanco e sta per lasciare questa terra che Giuseppe Selvaggi comprende il suo messaggio di speranza e di vitalità. Anche se per lui la stagione piena di vita è l’estate, quella del rigoglio, quando finalmente può assaporare “i frutti maturi e saporosi appena raccolti”. Il tempo del viaggio richiama il ritorno, il nóstos, verso casa, ormai vuota… Qui finalmente si abbandona ai ricordi e alla pienezza vitale e può riflettere sulla nostra esistenza di attori e attrici, comparse, avvolte da maschere che indossiamo per ogni evenienza. Il nostro ruolo non è scontato, siamo chiamati a dare il meglio di noi stessi per migliorare la nostra esistenza, anche se poi per lo più i buoni propositi restano tali. 

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.