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"MASTROFILIPPO1"Mauro senza svelarci troppo del tuo romanzo, ma giusto per incuriosire, ci anticipi qualcosa…

Una storia apparentemente rosa, velata di passionale erotismo e dipanata su melanconici ricordi, si tinge marcatamente di nero allorquando Marco, il protagonista maschile, si vede costretto a tener fede alla sacra ed insana promessa fatta alla sua amante: uccidere suo marito.

Come è nata la tua passione per la scrittura? Affonda le sue radici nel tempo?

Si, in effetti è una mia vecchia passione, tenuta nascosta per pudore, per inibizione. Una passione monca perché le storie vere o di pura fantasia che già da ragazzino affollavano la mia mente e che avrei voluto mettere per iscritto, le esprimevo solo verbalmente. “Verba volant scripta manent”, mi dicevo – ma l’idea di essere giudicato per qualcosa di stanziale e di dominio pubblico come la scrittura, ha sempre represso la voglia irrefrenabile di scrivere. Voglia tuttavia appagata, se pur con formula più privata, attraverso le decine di lettere scritte in navigazione o dai porti toccati dalle navi sulle quali in giovane età sono stato imbarcato. Le classiche buste orlate di tricolore, gravide di fogli scritti a mano e solitamente ripiegati in due giungevano nelle mani dei mie genitori, di parenti, di amici e fidanzate, per narrare di me e di esperienze vissute solcando oceani, risalendo fiumi navigabili e perdendomi nei colori, suoni e odori di terre sconosciute mai viste prima. Più in avanti, quando moda e immagine, impossessandosi della mia vita, mi portano dalle passerelle e dalle sale di posa, al di qua dell’obbiettivo di una macchina fotografica, di una video camera o di un ciak, mi sono ritrovato a corredare brochure, materiale pubblicitario e quant’altro producevo, con slogan, didascalie e testi scritti, questa volta torturando, non un foglio di carta con una biro ma una tastiera di computer con dita ingiallite dal fumo di sigaretta. Acquisita una certa sicurezza in me stesso, evidente riflesso di una sempre più crescente autostima, ho creduto fosse giunto il tempo di mettere da parte paure e titubanze e rendere le mie fantasie più pubbliche. Così partorisco la sceneggiatura di “Viaggio a Montecarlo”, video clip andato in onda su reti televisive regionali, “The sound of musical” messo in scena a metà anni 90, “Porto Franco” monologo liberamente ispirato ad un noto attore comico Molfettese, “Due palle così” complessa commedia in due atti che aspetta pazientemente di andare in scena, “Sovrartposizioni” una performance teatrale andata in scena al teatro Traetta di Bitonto, poesie ed altro. Quando poi si fa forte in me la voglia di raccontare storie vissute ed immaginate scrivo il mio primo romanzo “Il mistero delle tre icone”, pubblicato dalla Palomar. “Aglaia”, pubblicato dalla Vertigo di Roma, è il secondo.

I protagonisti dei tuoi romanzi sono figure femminili perché? Forse la donna ha una marcia in più.

Non è una questione di marcia in più o marcia in meno. Uomini e donne, alla fin fine nella scala dei valori dell’essere, sono appaiati. E’ inutile mettere, per pregi e difetti, i due sessi a confronto. Si finisce sempre per perdersi in luoghi comuni o in considerazioni del tutto soggettive, dettate dalla qualità dei rapporti avuti con l’altro sesso. Figure femminili come protagonisti dei miei romanzi? La costante piacevole presenza di donne nella mia vita ha influito su questa scelta. Una madre e due sorelle in una casa dove manca il padre perché naviga, segnano già al femminile la mia infanzia. Se a questo poi ci aggiungiamo una quantità industriale di materne zie, affettuose cugine e di generose amiche delle mie sorelle nel mio quotidiano di adolescente, è facile intuire quanto forte, da lì in poi, si sarebbe fatta la dipendenza dall’universo donna. Non c’è stato giorno che non abbia avuto al mio fianco una compagna. E se una lunga navigazione mi privava della sua piacevole compagnia, sapevo come fare per entrare nelle grazie di straniere sconosciute non appena toccavo terra. Bell’aspetto, italianità, gentilezza ma soprattutto conoscenza del linguaggio dell’altro sesso, mi facilitavano l’approccio. La bellezza esagerata di top model frequentate per lavoro per oltre un decennio e la grandezza di una moglie dalla quale non potrei mai prescindere, hanno fatto il resto. E gli uomini? C’è da chiedersi perplessi, a questo punto. Che dire? Con loro ho giocato a salta cavallo, a pallone, ho marinato la scuola, ho     imparato a fumare, ho stretto patti di sangue, ho tifato per una squadra, ho lottato per un ideale, ho fatto il militare, ho viaggiato per lavoro e per vacanza, ho condiviso gioie e dolori. A loro ho dato tanta amicizia e affetto per quanto forse ne ho ricevuto. A loro devo molto. Fondamentale, per far mio il senso del dovere, del rispetto e dell’onestà, il tono aspro e grave dei rimproveri di mio padre, i saggi consigli dei nonni, gli insegnamenti dei compagni di lavoro, l’influenza degli amici più carismatici. Da loro ho appreso l’arte del fare, del perseverare, del “filare dritto” ma anche quello del trasgredire, del contestare, del disubbidire. Si, gli uomini hanno avuto decisamente la loro importanza per la mia crescita. Ma se non fosse stato per l’onnipresenza delle donne nel corso della mia vita, non sarei quello che ora sono. A loro mi sono sempre mostrato per come realmente ero e loro si aprivano a me come fossi la più intima e fedele delle amiche. Discreto confessore dei loro peccati, credibile consigliere dei loro progetti, esorcista coraggioso delle loro paure, complice perfetto dei loro piani, estimatore disincantato delle loro passioni. Ebbene sì, sono stato sempre rapito dalla capacità delle donne di essere al contempo fragili e forti, geniali e sregolate, dolci e amare, perfide ed amabili. I loro racconti, le confidenze, le verità, le sane bugie, la variegata visione della vita mi hanno migliorato dentro. Credo mi abbiano dato molto più di quanto io abbia potuto dare a loro. Ho fatto mia la sensibilità, la facilità di fantasticare, di sognare ad occhi aperti, di piangere liberamente quando gli occhi si gonfiano di lacrime e di ridere a crepapelle per cose senza senso apparente. Ho colto in loro il piacere dell’esultanza per un successo o per una vittoria e la serena rassegnazione per una sconfitta o una delusione e ne ho fatto tesoro. Mi hanno insegnato a godere per le piccole cose, mi hanno insegnato ad amare, mi hanno insegnato l’arte dell’inventare…. Come potevo non narrare di loro? Come potevo non renderle protagoniste dei miei romanzi quando lo sono già della mia stessa vita?

"MASTROFILIPPO"Per chi non ti conoscesse, raccontaci qualcosa di te. Tu hai intrapreso più carriere completamente differenti tra loro

Magari un giorno scriverò un’autobiografia. Lo farò soprattutto per rendere “leggibili” a me stesso spaccati di vita che stento a credere siano per davvero miei. Saltando l’infanzia e l’adolescenza, periodi nei quali vivo come il più spensierato e irrequieto dei maschietti con la fretta di diventare grande, mi ritrovo già a 17 anni, nel pieno degli anni scolastici, a fare i conti con il mondo degli adulti: mi imbarco come mozzo di macchina su una nave che portandomi dall’altra parte del mondo mi fa conoscere realtà che non avrei mai immaginato stando seduto dietro un banco di scuola. Mi arricchisco così di esperienze utili ad accelerare il mio processo di crescita.

Quando dopo un anno di mare torno a casa con barba lunga e spalle più larghe, per riprendere gli studi e l’attività di calciatore, ho già molto da raccontare ad amici di scuola e di campo e alle amiche di comitiva. Completo gli studi nautici e questa volta mi imbarco da ufficiale di macchine su una nave bananiera pronta a salpare dall’Italia per la selvaggia Africa. Le storie allucinanti che ho vissuto in quei mesi non sto qui a raccontarle ma garantisco che se dovessi un giorno metterle per iscritto, stupirei anche il più indifferente dei lettori. Io stesso talvolta mi domando incredulo: “ma è davvero capitato a me?” Gli anni passano, diversi tipi di navi si susseguono. Containers, petroliere, gasiere, passeggere. Nel 78, L’Oceanic, dopo il Queen Elizabeth e il Netherlands, è il transatlantico più grande del mondo. Ed io col grado di terzo ufficiale di macchine, con tanto di divisa bianca dotata di spalline con un giro di bitta dorata su fondo di velluto bordò, faccio per sei mesi su e giù, tra New York e le isole dei Caraibi… . E altre storie vanno ad aggiungersi alle precedenti. Il passaggio dalla vita di marinaio avventuriero a grigio rappresentante di commercio prima e impiegato statale dopo è traumatico. Dovevo fare qualcosa che ravvivasse la adrenalina assopita. Riprendere a giocare a calcio non mi bastava, così decido di dare un senso a due occhi verdi che i miei genitori con grande generosità avevano pensato bene, concependomi, di ficcare nelle mia faccia, appena sotto una fronte regolare e poco sopra due zigomi alti, divisi questi da un naso dritto sopra labbra disegnate e mento volitivo spaccato in due… Insomma, provo a fare il fotomodello, e per fatal combinazione capito al casting giusto nel momento giusto. La redazione di Vogue, dico Vogue, cercava un fotomodello che avesse confidenza con motori, caldaie, manovellismi e quadri elettrici, per realizzare un servizio fotografico di moda riconducibile a quel gran capolavoro di film di Fritz Lang che è “Metropolis”. Quello che cercavano disperatamente lo trovarono non appena raccontai di me all’addetto al casting. Tutto tornava. Essere stato un macchinista navale per un bel po’ di anni, in quel preciso luogo e momento pagava, pagava tanto e bene. Decolla così la mia carriera di fotomodello e indossatore. Entro dalla porta principale a fare parte da protagonista di un mondo esclusivo, patinato come le pagine prestigiose di testate di moda. Modelle e modelli bellissimi su pagine di giornale, passerelle da defilè e negli spot pubblicitari, per incantare un pubblico deciso a spendere fior di quattrini per qualcosa di effimero ma rappresentativo di un prestigioso status symbol. Cose da pazzi, vero? Ma Eravamo alla fine degli anni 80 e Milano, capitale europea della moda, a quel tempo era la “città da bere” ed io l’ho bevuta, a piccoli sorsi, tenendo ben piantati i piedi per terra e gli occhi ben aperti. Dovevo guardare con attenzione a chi a grandi livelli, organizzava, creava, dirigeva. Non ho rubato loro il mestiere. Per i tanti anni al servizio dei grandi della fotografia e dell’immagine, mi è venuto naturale, una volta svestito i panni dell’uomo copertina, fare il direttore artistico, il regista, l’attore di teatro, l’organizzatore di eventi, il creativo, il copywriter, l’insegnante di portamento, attività queste che hanno fatto da apripista a quella che ho ritenuto la migliore trovata per reinventarmi ancora una volta: scrivere storie.

“Aglaia” giaceva nel cassetto, perché hai deciso di pubblicarlo?

Lo ritenevo un tantino intimistico per renderlo pubblico. Così, è rimasto lì a morire fintanto che, come per un incantesimo, la curiosità di una mia cara amica, divoratrice di libri, lo ha riportato in vita disseppellendolo dal fondo di un cassetto. Mi fa: “mi lasci leggere qualche pagina?”. “Fai pure” le rispondo. Me lo ha riconsegnato tre giorni dopo sottolineando il suo stupore con il più spontaneo degli “wau”. Lo aveva letto tutto d’un fiato e piacevolmente colpita da una storia così singolare mi spronava ora a pubblicarlo. La Vertigo, casa editrice di Roma, ci ha messo poco a visionarlo, approvarlo e a propormi di pubblicarlo. Ed ora eccolo qui il mio noir, materializzato in 214 pagine da leggere rigorosamente in solitudine.

Oggi si vive in una società dove conta tantissimo l’immagine, tu che di questo mondo ne hai fatto parte cosa ne pensi?

Machiavelli diceva: “Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei”. Un aforisma che la dice lunga su quanto, già a quel tempo, l’apparenza fosse fortemente influente. Valeva allora, figuriamoci oggi in un mondo dove i social imperando sulle masse, incoraggiano l’esibizione. L’immagine purtroppo conta, dico purtroppo perché, quantunque a me personalmente abbia fatto comodo, coscienza e ragionevolezza mi inducono ad affermare che dovrebbe contare invece più l’essere che l’apparire. Vero, verissimo, una bella faccia facilita quantomeno l’approccio. Io ne so qualcosa. Entri con più immediatezza nelle grazie degli altri. E’ scientificamente provato che in una selezione di candidati, a parità di quoziente intellettivo, la spunta sempre chi ha l’immagine migliore. Se per assurdo ci bendassimo gli occhi ogni qual volta ci trovassimo a relazionarci con uno sconosciuto io credo che lo valuteremmo con più obiettività. Ecco perché mi ha piacevolmente colpito quel reality show televisivo, dove i giudici danno le spalle ai concorrenti. E’ significativa l’espressione di sconcerto disegnata sui loro volti quando, voltandosi, scoprono che quella meravigliosa voce, che li sta mandato in delirio, poi provenga da aspiranti cantanti non proprio di bell’aspetto. Sì, l’immagine ha la sua importanza, ne ho avuto la certezza concorrendo in un casting, nel piazzare un prodotto, nel far valere un’idea, nell’aspirare ad una leadership, nel sedurre una donna. Un look inappropriato, una faccia stanca, una barba incolta, un’improbabile pettinatura, diminuiscono inevitabilmente le chance di successo. Tuttavia, io credo, e lo dico in base

ai riscontri avuti nel corso della mia vita, che per quanto possa valere l’immagine in una società

votata alla competizione, essere sempre se stessi, alla lunga finisce per risultare la carta più

vincente.

Il fatto di aver intrapreso tante professioni così disparate che ti hanno portato a conoscere tanta gente e a visitare tanti luoghi, hanno alimentato la tua vena creativa?

Io credo che la creatività, ovvero la capacità di inventare attingendo al proprio estro, sia degli individui una dote innata. E’ evidente comunque che questa attitudine al creare, frutto peraltro di ricettività e sensibilità non comuni, puoi coltivarla ed esercitarla al meglio sfruttando il background culturale e tutta la conoscenza che da una vita vissuta intensamente ne deriva. Nel mio caso specifico, questa conoscenza la devo in effetti alle variegate esperienze di vita fatte in diversi campi e luoghi disparati con gente nota e non che ho avuto la fortuna di conoscere. Viaggiare è stato fondamentale, ha influito molto sull’acquisizione della sensibilità necessaria a cogliere la bellezza e l’originalità di quelle piccole cose che agli insensibili sfuggono. Dettagli e sfumature impercettibili per accendere idee e disegnare all’occorrenza scenari accattivanti. I tramonti e le albe contemplate in mare aperto osservando il sole su una linea d’orizzonte perfettamente circolare, la stupefacente bellezza della terra colta dall’alto di un aeroplano in volo, i colori accesi, le tradizioni e i linguaggi delle varie etnie nelle quali mi sono imbattuto, società ultratecnologiche con le quali ho dovuto fare i conti contrapposte ad altre meno evolute e con le quali ho voluto confrontarmi, le storie assurde, drammatiche e comiche ascoltate da personaggi distanti anni luce dal mio mondo, sono ora in quel personalissimo ed intimo serbatoio mai colmo, dal quale prendo spunti per dar corpo alle mie fantasie.

E per concludere, perché la gente dovrebbe venire ad ascoltare le presentazioni del tuo romanzo?

Perché spero di solleticare, in un pubblico intrattenuto dal mio passionale e sincero dire, l’idea di portare a casa un romanzo che lo intrighi a tal punto da leggerlo tutto d’un fiato, così come è accaduto per coloro che ne hanno incoraggiato e promosso la pubblicazione. Non tocca a me giudicare la mia opera, sarei di parte. Quindi mi limiterò a riportare quanto scritto in quarta di copertina dalla editor che ha stilato la recensione: “Aglaia diario segreto di un scrittore impunito è un romanzo avvincente e ricco di colpi di scena, che animato da personaggi degni di una storia noir, ha il pregio di mescolare uno stile lieve e a tratti scanzonato con una narrazione densa di significato, capace di coinvolgere il lettore fino al suo inaspettato e drammatico epilogo”. Grazie.

A noi non resta che invitarvi a leggerlo…..dopo aver conosciuto meglio l’autore e la sua storia.

Vi invitiamo quindi al primo appuntamento di presentazione del romanzo che si terrà lunedì 12 novembre con inizio alle 19.30 presso il bookstore Mondadori nelle Vecchie Segherie Mastrototaro di Bisceglie a cui seguiranno tanti altri piacevoli incontri.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.