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Nuovo appuntamento per la Stagione d’opera 2025 al Teatro Petruzzelli con il Don Carlo di Giuseppe Verdi per la regia di Joseph Franconi Lee, ripresa da Daniela Zedda.

Sabato 4 ottobre alle 19.00 nel Foyer del Teatro Petruzzelli avrà luogo la Conversazione sull’Opera a cura del musicologo Giorgio Pestelli, dedicata a Don Carlo che sarà in programma al Teatro Petruzzelli venerdì 10 ottobre alle 20.30, sabato 11 e domenica 12 ottobre alle 18:00, martedì 14 e mercoledì 15 ottobre alle 20:30 e giovedì 16 ottobre alle 18:00.

L’ingresso alla Conversazione è libero fino a esaurimento posti.

Diego Matheuz dirigerà l’Orchestra e il Coro del Teatro (preparato da Marco Medved).

Le scene e i costumi sono di Alessandro Ciammarughi, il disegno luci di Claudio Schmid.

Daranno vita allo spettacolo, allestimento scenico della Fondazione Teatro Comunale di Modena, Simon Lim (Filippo II di Spagna 10, 12 , 14 e 16 ottobre), Shi Zong (Filippo II di Spagna 11, 15 ottobre), Pavel Cernoch (Don Carlo 10, 12, 14 e 16 ottobre), Giuseppe Gipali (Don Carlo 11, 15 ottobre), Chiara Isotton (Elisabetta di Valois 10, 12, 14, 16 ottobre), Renata Campanella (Elisabetta di Valois 11, 15 ottobre), Vladimir Stoyanov (Rodrigo 10, 12, 14, 16 ottobre), Ankhbayar Enkhbold (Rodrigo 11, 15 ottobre), Nika Giuliashvili (Il grande Inquisitore), Boapeng Wang (Un frate), Sara Rossini (Tebaldo, Una voce dal cielo), Alexandra Ionis (La Principessa di Eboli 10, 12, 14,16 ottobre), Nozomi Kato (La Principessa di Eboli 11, 15 ottobre. Massimiliano Chiarolla (Il Conte di Lerma), Mario Falvella, Giuseppe Matteo Serreli, Zheng Wang, David Paccara, Edoardo Ialacci, Gianpiero Delle Grazie (I Deputati fiamminghi), Nicola Domenico Cuocci (L’Araldo reale).

L’opera fu rappresentata per la prima volta l’11 marzo 1867 alla Salle Le Peletier del Théâtre de l’Académie Impériale de Musique di Parigi.

DON CARLO – A colloquio con il regista Joseph Franconi-Lee

Chi è Don Carlo?

Spesso chiedo agli stessi cantanti qual è secondo loro il personaggio più importante dell’opera, l’anima dello spettacolo. È proprio Don Carlo? Personalmente credo che la figura centrale non sia un vero e proprio personaggio, quanto piuttosto un sentimento: l’amore fraterno fra Don Carlo e Rodrigo. Il Don Carlo che leggiamo nella tragedia di Schiller e nell’opera di Verdi è chiaramente un personaggio costruito ad arte, non ha molto a che fare con il personaggio storico, morto giovane, vissuto molto male, sfortunato nonostante fosse il figlio del re di Spagna e tutt’altro che eroico. Già attraverso Schiller Don Carlo diventa invece un simbolo, che Verdi amava moltissimo e che costituì anche la ragione per cui accettò di fare un’opera basata su quel dramma.

E il “suo” Don Carlo?

La mia visione di Don Carlo deve molto alla regia che dell’opera fece Luchino Visconti in un allestimento che ho avuto la fortuna di riprendere per la prima volta dopo la morte del regista, per il Teatro dell’Opera di Roma, iniziando un’avventura e un rapporto con questo titolo e con quello spettacolo che dura ormai da ventisette anni, e che mi ha portato nei teatri di tutto il mondo. Era un bellissimo spettacolo degli anni Sessanta ed era la prima volta che si riportava in scena uno dei grandi allestimenti verdiani di Visconti, una sfida per me e anche una fortuna che devo ad Alberto Fassini, mio maestro e assistente storico di Visconti. Fu un debutto che attirò l’attenzione di tutto il mondo operistico, con cantanti del calibro di Bruson e di Katia Ricciarelli. A fianco a me, come nelle molte successive riprese dello spettacolo, c’era già Alessandro Ciammarughi, il quale aveva restaurato e adattato scene e costumi originali. Lo spettacolo che mettiamo in scena oggi riprende invece un allestimento completamente nuovo creato a Modena nel 2012.

Tornando al carattere dell’opera e del suo personaggio centrale, voglio citare un particolare significativo della regia di Visconti che rimandava a un episodio del dramma di Schiller. Un particolare che non ritroviamo nel testo di Verdi, al quale lo spettacolo era peraltro molto fedele, ma che è indicativo di quello che il personaggio Don Carlo rappresenta nell’opera e di come lo interpretava Visconti. All’apertura della scena del chiostro, quella della famosa «Canzone del velo», ci troviamo in uno dei momenti più gioiosi dell’opera, una parentesi di felicità che spesso in Verdi prelude alla grande tragedia. Le damigelle aspettano che Elisabetta torni dalla cattedrale dove sta pregando con Filippo II. In questo momento di serenità, Visconti fa giocare damigelle e paggetti al volàno e per tutta la scena, fino al duetto drammatico di Don Carlo ed Elisabetta, il gioco prosegue sullo sfondo. La prima volta che vidi questa scena naturalmente mi venne subito in mente l’episodio del gioco del volàno che troviamo nel dramma di Schiller, al quale Visconti evidentemente si rifece e capii che è proprio in quella scena che la drammaturgia di Schiller imposta l’amicizia profonda e il sentimento fraterno che lega Don Carlo e Rodrigo e che costituisce l’anima del dramma, così come accadrà per l’opera di Verdi. In Schiller, i due personaggi sono molto giovani e stanno giocando insieme a tutti gli altri bambini della corte. A un certo punto, la palla del volàno colpisce in faccia la cugina di Filippo II, regina di Boemia, che si trova in visita in Spagna e furibonda si rivolge al re chiedendo giustizia. Filippo II chiama tutti i bambini, sia quelli nobili, incluso suo figlio, che i paggi e le damigelle.

Don Carlo vede che Rodrigo inizia a tremare, in maniera quasi violenta e capisce chi è il colpevole, così decide di prostrarsi davanti al re accusandosi ingiustamente e scagionando l’amico. Don Carlo viene punito di fronte a tutti, «come uno schiavo» riporta il testo, ma dopo che si è sciolta la corte Rodrigo va da lui piangendo e gli promette il suo amore fraterno fino alla morte, il che puntualmente si realizzerà, come una profezia.

Quali sono i sentimenti chiave dell’opera?

Direi che l’opera, in modo piuttosto straordinario, è una sorta di corollario delle passioni e dei sentimenti umani più profondi, tutti palpabili attraverso la musica di Verdi. La cosa peculiare è che i sentimenti sono talmente in primo piano da sopraffare gli stessi personaggi, che finiscono per caderne vittime, abbandonati a loro stessi, frustrati nei propri desideri. Questo è un destino che unisce tutti i personaggi, incluso Don Carlo. C’è l’amore mai realizzato di una giovane principessa francese con la promessa di una gioia e felicità eterna nel matrimonio con Don Carlo stroncata ancora prima di nascere; c’è un re che non riesce né a dare né a ricevere l’amore del figlio o della moglie; c’è un Rodrigo che si identifica nell’amore fraterno verso Don Carlo e che porta su di sé le istanze di libertà e di emancipazione dei popoli oppressi, non solo delle Fiandre ma di tutta quella parte d’Europa che era sotto il dominio spagnolo e di conseguenza anche vittima dell’Inquisizione. Tutti questi personaggi sono prigionieri di una situazione molto più grande di loro, sia dal punto di vista umano che politico, così come potrebbe accadere oggi. In questo senso sono estremamente attuali. La libertà, l’oppressione, l’amore, l’amicizia, l’incapacità di comunicare, sono tutti elementi al centro dell’opera che, come in tutte le opere di Verdi, passano in modo efficace attraverso la musica e costituiscono la bellezza del Don Carlo.

STORIA E PASSIONI NEL DON CARLO DI VERDI
Intervista ad Alessandro Ciammarughi

Com’è concepita la scenografia dello spettacolo?

Credo che nel Don Carlo si possano individuare due linee drammaturgiche. Sullo sfondo di un grande affresco storico, il contesto generale, i grandi eventi politici. All’interno di ciò, Verdi descrive le vicende intime della sofferta relazione tra Don Carlo ed Elisabetta mescolate al tema dell’impegno politico-libertario di Posa e il contrasto tra potere regale e Chiesa. La scenografia è quindi concepita come un impianto-contenitore descritto come una grande aula monastica, dove in proscenio sono sempre presenti gli spalti lignei pronti per un Auto-da-Fé. Questi tribunali erano costruiti in maniera provvisoria all’interno di edifici sacri dove venivano esaminati e processati eretici, liberi pensatori e personaggi scomodi al potere non solo ecclesiastico ma anche temporale. Dagli spalti del tribunale, nella mia lettura, tutte le azioni pubbliche e private dovrebbero essere costantemente osservate dall’occhiuto potere del Grande Inquisitore a mezzo dei suoi frati. Soprattutto i rapporti tra Carlo e Posa, il loro impegno per le Fiandre, sono sospetti per l’Inquisitore che infatti su questo aspetto ricatta e minaccia Filippo. L’Inquisizione spagnola era particolarmente forte e indipendente, perfino da Roma e il suo potere finiva per sovrastare quello temporale. Un equilibrio che in Don Carlo si rispecchia chiaramente nel contrasto fra il Grande Inquisitore e Filippo II. La scenografia segue d’altra parte la tradizione del Grand-Opéra, al quale appartiene Don Carlo, che prevedeva per ogni scena un grande quadro che rappresentasse i luoghi in cui si svolge l’azione scenica.

Più in dettaglio, com’è concepita la scena?

Oltre a rappresentare in primo piano il tribunale dell’Inquisizione, ho concepito nella parte posteriore del palcoscenico dei grandi fondali ed elementi scenoplastici che seguissero le indicazioni verdiane. Per quanto riguarda l’ambientazione storica, che ho mantenuto coerente al testo di Verdi, ci troviamo nella seconda metà del Cinquecento.

Che scelte ha fatto dal punto di vista del linguaggio?

Il linguaggio è quello della grande tradizione scenografica italiana perché credo fermamente in questo mezzo espressivo, dove il termine ‘tradizione’ è da alcuni oggi frainteso e identificato con superficialità come ‘vecchio’. Ho scelto la pittura scenografica anche perché a Modena ho avuto a disposizione un team di pittori-scenografi di primo piano, detentori di una tradizione artistica che va esaltata. Utilizzare il linguaggio della pittura scenografica oggi non vuol dire assolutamente non sperimentare. Questo allestimento, almeno nella mia visione, è la lettura contemporanea di uno scenografo che pensa si possa interpretare un testo anche attraverso un fondale dipinto e con un’ambientazione fedele al testo. Credo profondamente che questo linguaggio, oggi negletto, non sia affatto obsoleto ma invece incarni quella che è una vivissima ed efficace tradizione rappresentativa squisitamente italiana. Dal punto di vista scenotecnico oggi si tende poi a privilegiare la costruzione scenografica, pesante, costosa che però è difficile da adattare da un teatro all’altro. In un momento in cui i finanziamenti ci penalizzano bisogna invece pensare ad allestimenti che possano essere rappresentati in teatri di dimensioni diverse fra loro: la scenografia pittorica permette anche questo. Per quanto riguarda l’ambientazione, naturalmente molto dipende anche dal soggetto, ci sono titoli che si adattano a essere attualizzati, altri, per diverse ragioni, molto meno. Nel Don Carlo si parla di personaggi realmente esistiti e io trovavo giusto mantenere il riferimento storico originale.

Cosa deve questo spettacolo all’allestimento storico di Luchino Visconti?

Poco per quanto mi riguarda. Chi pensi di seguire Visconti realizzando bei tableau vivant o mettendo i fiori freschi in scena non ha capito nulla di quel regista. Sono un grande ammiratore di Visconti e in particolare del suo Don Carlo romano, di cui nel 2000 mi fu affidato il restauro. Sicuramente quel lavoro mi ha permesso di approfondire la comprensione del testo, trovo però che citare Luchino Visconti andrebbe fatto con grande cautela, lo si fa spessissimo a sproposito. Nella mia concezione di questo allestimento sono solo in parte debitore di quel Don Carlo, essendo l’attuale spettacolo radicalmente differente per concezione. Una sola vera citazione: la tomba di Carlo V, ma questo è un fatto drammaturgico, non estetico. La sua centralità e incombenza è un’intuizione viscontiana geniale, perché la figura del vecchio imperatore viene proposta come il fulcro di tutta l’azione. Ma in realtà basta seguire Verdi, l’ombra di Carlo V è un’entità che incombe, tutti devono fare i conti con questo grandissimo sovrano il cui potere, anche dopo il suo ritiro, restava fortissimo. La lezione di Visconti più importante e che tento di seguire nel mio lavoro, non è quella della storicità o dello sfarzo, è il perseguire un teatro popolare nel senso più alto del termine: il lavoro di Visconti può essere letto a molti livelli, da quello della pura godibilità delle sue splendide messe in scena, fino alla più sottile lettura psicologica e storico-politica. Il suo linguaggio lo permette. Credo che oggi molto teatro musicale, utilizzando un lessico che vorrebbe essere innovativo ma spesso è solo astruso e incomprensibile, si stia involvendo e allontanandosi dal grande pubblico. Il teatro deve tornare ad avere un ruolo sociale e politico condiviso ed accessibile a tutti attraverso un linguaggio che coinvolga e comunichi.

INFORMAZIONI BOTTEGHINO.

Il Botteghino del Teatro Petruzzelli è aperto il lunedì dalle ore 10.00 alle ore 14.00, dal martedì al sabato dalle ore 11.00 alle ore 19.00, la domenica dalle ore 10.00 alle ore 13.00.

E-mail: botteghino@fondazionepetruzzelli.it

Telefono: 080.9752810.

Alessandro Ciammarughi

Redazione

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