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(Adnkronos) –
"Brusca è libero, a noi familiari resta l'ergastolo del dolore". Luciano Traina, ispettore della Polizia in pensione e fratello di Claudio, l'agente della scorta di Paolo Borsellino ucciso nella strage di via D'Amelio insieme al giudice, è amareggiato. Un lungo sospiro, poi lo sfogo. "Giuridicamente non possiamo dire nulla, ma umanamente questa cosa fa schifo, per noi è una pugnalata al cuore", dice all'Adnkronos lui che nel maggio del 1996, insieme ad altri colleghi, partecipò al blitz per l'arresto del boss sanguinario di San Giuseppe Jato. Adesso lo 'scannacristiani', come fu ribattezzato per la sua ferocia, è libero. A fine maggio sono trascorsi anche i quattro anni di libertà vigilata che gli erano stati imposti. "Certo, la legge sui collaboratori di giustizia fu voluta da Giovanni Falcone – ragiona Traina – ma le leggi si possono anche cambiare. Soprattutto dopo 33 anni, oltre tre decenni trascorsi senza conoscere la verità".  Perché per le stragi degli anni '90, per quella di via D'Amelio che ha strappato a Luciano Traina il fratello, come per quella di Capaci "in carcere è finita solo la manovalanza. Non conosciamo i mandanti, la mente che c'era dietro quegli eccidi. E penso che non li conosceremo mai, che mai avremo la verità. Per anni hanno tentato di farci credere che tutto fosse solo frutto di Cosa nostra, un atto mafioso, ma non è così". Il blitz in contrada Cannatello ad Agrigento, dove un fiancheggiatore aveva messo a disposizione di Brusca un villino, Luciano lo ricorda come fosse ieri. Così come "quegli occhi". "Gli occhi di un vile, di una persona senza un briciolo di umanità", racconta. Fu il primo a vederlo. "Scavalcai una finestra al pianoterra e me lo trovai davanti in cucina". Qualche secondo appena. "A piedi nudi, in pantaloncini e senza maglietta. Era appoggiato al frigorifero e in mano teneva ancora telefono". Il boia di Cosa nostra lui l'aveva visto solo in foto. "Mi aspettavo un uomo imponente, alto, invece… Mi ha fatto schifo, una persona insignificante, un piccolo uomo".  Crede al suo pentimento? "Al pentimento di uno che ha ucciso più di 150 persone… come si può farlo? Penso che abbia avuto un suo tornaconto. Alla fine noi cosa abbiamo tirato fuori? I nomi che ha fatto non erano nuovi per gli investigatori della Mobile. La mia rabbia è questa: da 33 anni continuiamo a non conoscere i mandanti. Una verità che continua a morire negli anni e a cui non arriveremo mai. Da 33 anni continuo a sentire promesse e parole, di circostanza, a ogni commemorazione sempre le stesse. Ma io voglio la verità, voglio sapere perché è morto mio fratello, perché sono stati ammazzati i suoi colleghi, i giudici Falcone e Borsellino… Questo mi interessa, non le parole e le strette di mano". (di Rossana Lo Castro)  —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Redazione

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