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Parliamoci chiaro. La domanda è: Chi crede ancora a questa Repubblica alzi la mano. In cuor proprio nessuno, ma pochi lo possono dire perché nell’era della decadente massificazioni siamo tenuti ad avere un unico pensiero e stile di vita come fosse una linea editoriale unica. Tutto va bene e che la Repubblica è un buon salotto dove tutti possono fare quello che vogliono. Una specie di comunità naturale dove il più forte prevale su quello debole. La grande comunità Levatiana tanto raccontata dal filosofo inglese Thomas Hobbes, amico di Cartesio, ha perso di efficacia da tempo. Siamo una Repubblica senza contratto, o meglio non lo riconosciamo più tanto; il desiderio maggiore è quello di tornare alle sovranità regionale dell’ottocento. Il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis qualche tempo fa ha dichiarato che bisogna avere il coraggio di uscire dal guscio è riconoscere che siamo uno stato regionale. Il Presidente della Regione Puglia Emiliano ha fatto di più con il suo provvedimento contro Israele. Sfogliando qualche pagina di storia il pensiero va a quel tempo del Risorgimento in cui si diceva che l’Italia non era uno Stato unitario che tutto quello che ci univa e sentirsi una semplice comunità con la stessa lingua. Nulla di più vero ancora oggi dopo probabilmente l’Unità d’Italia costituitasi tra il 17 marzo del 1861 e il 20 settembre del 1870. Un’Unità che per essere veramente tale forse aveva bisogno di altre azioni e non solo un decreto di annessione. C’era bisogno di aprire alla consapevole conoscenza della verità, alla cultura delle identità, alla storia degli antenati e al passaggio di tante e diverse civiltà passate per l’intero territorio. La questione meridionale non è stata risolta e come tutte le mancate verità ritorna sempre a galla in cerca di una concreta azione che vada oltre gli stantii dibattiti ormai inascoltati da tutti. Alcune volte riproponiamo quella interessante frase di Massimo D’Azeglio Presidente del Consiglio dal 7 maggio 1849 al 4 novembre 1852 che disse: “Abbiamo fatto l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”. Probabilmente voleva dire che l’Italia è solo sulla carta, mancano i pilastri fondamentali che sono gli italiani che devono sentirsi tutti uniti in unica idea. Ma guardando l’Italia di oggi l’idea sembra assente, manca la visione, manca da sempre una vera coscienza nazionale. In più l’atto collettivo di cui parlava il filosofo americano John Rawls dove vengono stabiliti principi comuni diritti e doveri, l’attuale nostra Costituzione per intenderci, avrebbe forse bisogno di una seria nuova interpretazione per via delle tante “minacce” che quotidiane riceve, Forse come diceva Rawls sta venendo meno la condizione iniziale della giustizia come equità. Una Repubblica poco capita nella sua assenza, che in tanti anni ha dovuto cambiare indumento, passando dalla prima alla seconda, nel 1993-1994, con tanti precari governi che non sono riusciti a far decollare riforme istituzionali ormai diventate necessarie al tempo che scorre. Una politica poco chiara, interessata solo a sé stessa, che in tanti anni si è fatta a tavola con simpatici Patti, dalle sardine, spigole, pajate, arancini e tagliatelle fino alla famosa crostata a casa di Gianni Letta dove si ritrovarono Massimo D’Alema, presidente dell’allora commissione Bilaterale nel governo Prodi, Franco Marini, Gianfranco Fini, e Silvio Berlusconi. Un accordo di non belligeranza tra centrosinistra e centrodestra per avviare le riforme costituzionali. D’Alema si impegna a non spingere sulla legge sul conflitto di interessi e Berlusconi che intendeva proseguire i lavori della Bicamerale fino all’accordo finale: Semipresidenzialismo, legge elettorale maggioritaria a doppio turno, separazione delle carriere tra giudici e Pm. Ma Berlusconi fece un passo indietro chiedendo una legge elettorale proporzionale e il cancellierato. Storie per dirla alla Lenin di un passo in avanti e uno indietro. Una piccola Repubblica che ha sempre difficoltà di crescere e poi maturare partendo dai cittadini che bisogna riportare a scuola per far in modo di alzare il senso critico necessario per aumentare la crescita della consapevolezza nella scelta. Insomma per fare la Repubblica ci vogliono cittadini attivi quelli che escono dalle scuole serie dopo aver studiato seriamente è con rigore. Abbiamo bisogno di avere una Repubblica dove la democrazia conceda veramente il potere al popolo e non alla massa che va dove lo porta il pensiero unico invece di saper capire la situazione iniziale e fare la scelta utile e necessaria.

Oreste Roberto Lanza

Oreste Roberto Lanza

Oreste Roberto Lanza è di Francavilla Sul Sinni (Potenza), classe 1964. Giornalista pubblicista è laureato in Giurisprudenza all’Università di Salerno e laureando per la Facoltà di Scienze Politiche in Relazioni Internazionali, attivo nel mondo del giornalismo sin dal 1983 collaborando inizialmente con alcune delle testate del suo territorio per poi allargarsi all'intero territorio italiano. Tanti e diversi gli scritti, in vari settori giornalistici, dalla politica, alla cultura allo spettacolo e al sociale in particolare, con un’attenzione peculiare sulla comunità lucana. Ha viaggiato per tutti i 131 borghi lucani conservando tanti e diversi contatti con varie istituzioni: regionali, provinciali e locali. Ha promozionato i prodotti della gastronomia lucana di cui conosce particolarità e non solo.