Tempo di lettura: 3 minuti
Dopo “La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870”, pubblicato nel 2019, il professore Carmine Pinto torna in libreria con il suo “Il Brigante e il Generale”, edito da Laterza, per raccontare la guerra del Mezzogiorno che vide come protagonista un brigante, Carmine Donatello Crocco e un valente e professionista della guerra Emilio Pallavicini di Priola. Uno spavaldo erede del mondo feudale contro un baldanzoso aristocratico di spada. La storia tra l’ultimo esercito dell’antico regime legittimista contro il primo esercito nazionale costruito tutto in caserma. Protagonista le rive dell’Ofanto dove alla fine si svolse una grande sfida. Cinque capitoli scritti con una lettura limpida, chiara, semplice che permette al lettore di addentrarsi nel susseguirsi delle vicende che portano all’Unità d’Italia realtà oggetto tutt’ora di un discorrere tra storici e studiosi e non totalmente condivisa. Nella nostra contemporaneità in tutta verità resta vivo il fermento e le differenze tra legittimisti e unitari. Oggi chiamati in modo diverso. Primi capitoli che offrono un preciso racconto storico dei due personaggi che si contenderanno la vittoria finale. Donatello Crocco nato a Rionero in Vulture, tra boschi e pastorizia, ricco di acqua, mandriano presso la famiglia Fortunato che entra a far parte dell’esercito Borbonico nel marzo del 1849, a soli 19 anni per diventarne caporale. Quando poi capi che le gerarchie militari non era un fatto proprio lo abbandonerà nell’agosto del 1852. Ben 19 le pagine, per Emilio Pallavicini di Priola che entra nella Reale Accademia militare di Torino a soli 10 anni nel maggio del 1833 dove nel tempo realizza un degno curriculum composto da diverse partecipazioni militari nazionali, importante la guerra di Crimea con il regno Sabaudo al fianco dell’Inghilterra contro la Russia che in quell’epoca rivendicava un ruolo preciso nei Balcani. Un momento di svolta per la sua carriera che gli permetterà di compiere un cammino importante diventando esperto in operazione speciali comandando reparti schierati fino portarlo in prima fila nella lotta al brigantaggio. Per Carmine Pinto, Pallavicini è un personaggio prevalente in quanto riuscì ad interpretare la conclusione di un processo secolare, in cui i ruoli militari passavano definitivamente ai professionisti della guerra. Al di là di patriottismi, napoletani o piemontesi, riuscì ad organizzare una idea di nazionalismo. Un generale che invento e partecipo alla costruzione di un esercito rimasto contemporaneo fino ai giorni nostri. Donatello Crocco, per l’autore, un bandito di professione che aveva nel suo immaginario i miti e le leggende del brigantaggio di antico regime. Ma sicuramente un uomo d’onore fino alla morte. Tra “Bersaglieri e insorgenti” e la “Sfida infernale” gli attimi in cui l’autore racchiude i momenti vivi dell’intero racconto: Pallavicini pensò che la guerra era finita dopo aver represso il brigantaggio nella valle del Tronto e della Castellana , in quell’Abruzzo presidio antico tra il Regno delle due Sicilie e il regno Pontificio. Ma nulla era veramente finito, il 14 aprile del 1861 Carmine Donatello Crocco entrò a Melfi come generale dell’armata dei briganti borbonici. Nasce un blocco: da una parte i legittimismi dall’altra quello degli Unitari rappresentato da Emilio Pallavicini di Priola. Lo scontro Infernale sul fiume Ofanto si basò su una novità rilevante e di nuova generazione: ricerca e scambio di informazioni, raccolta e analisi dei dati riferiti agli spostamenti dei briganti. Venne messo in campo l’uso del telegrafo, di spie, delatori, guide volontari e un servizio cartografico. Legittimisti e Unitari con due protagonisti di valore Pallavicini e Crocco l’ultimo vero brigante della Basilicata. Non un delinquente comune, come ebbe a dire lo psichiatra Pasquale Penta che lo conobbe: “Capace di coraggio e di generosità”. Questo nuovo lavoro del professore Pinto permette a studiosi, storici, e curiosi di non uscire da questo mondo, approfondendolo ed entrando attraverso un altro ingresso. Resta il fascino del tema che continua ad essere oggetto di ricerca perché, come ben comprese l’archeologo e numismatico Francois Lenormant, lo studioso da dove prende vita l’intero racconto, non erano i soliti banditi della letteratura romantica, ma uomini che si erano trovati su un palcoscenico straordinario. C’è ancora molto da scrivere, c’è molto da chiarire, molto da intendere su un periodo storico che ha convinto tanti, altri pensano a verità da chiarire. Un fatto è certo: il racconto di Carmine Pinto è come una conchiglia: appoggiata all’orecchio dona le giuste coordinate per conoscere tutti i segreti della guerra brigantesca, per arrivare finalmente ad una verità più partecipata.
Oreste Roberto Lanza