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Avete provato a leggere “Vent’anni di rabbia” del professore Carlo Invernizzi Accetti? Fatelo. Più rabbia poco perdono. È il nostro tempo, quello attuale fatto di continue azioni per fare del male a chi ci offende giornalmente utilizzando parole e azioni utili a innescare della violenza. Lo spirito del tempo è proprio questo: una rabbia incontrollata, spesso ingiusta, a cui tutti si abbandonano quando le cose sembrano non andare per il verso giusto. Forse è tempo di aprire nuovi orizzonti, nuove prospettive per il futuro. Questo pare essere l’obiettivo del professore Carlo Invernizzi Accetti, professore ordinario di Scienze politiche alla City University of New York, nel suo libro “Vent’anni di rabbia” in cui propone una rilettura storico-filosofica degli ultimi due decenni. Più viene repressa, più la rabbia cresce fino a creare un vortice difficile da controllare. Quali le motivazioni e quali le soluzioni. Prima di tutto è necessario una rivisitazione storica. Ecco puntuale che l’autore racconta di come in tutto l’Occidente, i primi vent’anni del XXI secolo sono stati segnati da una serie di movimenti di protesta e manifestazioni di frustrazione collettiva: dal movimento no-global d’inizio anni 2000 a quello no-vax durante la pandemia di COVID-19, passando per il «Vaffanculo-Day» di Beppe Grillo, gli Indignados spagnoli, Occupy Wall Street, il voto per la Brexit, l’elezione di Donald Trump, i Gilets jaunes francesi e le proteste legate a #MeToo e #BlackLivesMatter. Ciascuno di questi eventi ha ovviamente una storia particolare, ma c’è anche un filo rosso che li unisce: la rabbia nei confronti delle istituzioni. “Nonostante la frenesia attivistica scrive l’autore – queste mobilitazioni si sono rivelate, nella maggior parte dei casi, prive di finalità concrete, mentre è stata evidente la loro dimensione spettacolare e dimostrativa, volta a esprimere una condizione di risentimento diffuso nei confronti dell’ordine costituito, secondo una logica che tende a dividere la società in amici e nemici, buoni e cattivi”. Però in fin dei conti nessun ha avuto l’intenzione di rivoluzionare l’ordine sociale ha solo creato un forte senso di allontanamento dalle istituzioni mostrando la forza con il non voto. Ma tutto questo da cosa deriva? L’autore è chiaro : da una mancanza di riconoscimento pur in presenza di un benessere sociale. La società, l’individuo reclama attenzione perché abbandonato e declassato prima di avere benefici economici. La società odierna vive una crisi di partecipazione che nè il populismo e la tecnocrazia sono riusciti ad eliminare o quanto meno a lenire il problema. Dice l’autore : il populismo identifica la radice del problema, in quanto cerca di dare voce ad un senso diffuso di esclusione , ma la soluzione che propone è controproducente. La tecnocrazia pretende di praticare il buon governo ma prescinde dalla partecipazione”. Oltre centocinquanta pagine per chiedersi : siamo destinati a rimanere intrappolati in un epoca di manifestazioni ricorrenti. Sicuramente ridurre la rabbia odierna a un’espressione di emotività irrazionale o all’ignoranza delle masse, avverte Carlo Invernizzi-Accetti, è un errore.
Oreste Roberto Lanza







