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“… sento nei confronti della mia gente e nei confronti del mondo un obbligo enorme: se per qualche volere del destino, del tutto improbabile, ma se, comunque, dovessi uscir vivo da qui (cosa su cui non posso contare, a pensarci senza illusioni), allora potrei rendere testimonianza di tutto quello che m’è passato sotto gli occhi … tragedie e atrocità tali, che mente umana non riesce a concepire e a cui nessun uomo, vivente al di là di quest’inferno, sarà mai disposto a darvi credito”.L’anatomopatologo ebreo-ungherese, Miklos Nyiszli, insieme con la moglie e l’unica figlia, nella seconda metà di maggio del 1944, era giunto, con uno dei convogli che il governo ungherese, filotedesco, aveva programmato per la deportazione di circa 800.000 Ebrei, ad Auschwitz-Birkenau (Polonia meridionale). Qui, per un fatale equivoco, egli finí per essere coinvolto, suo malgrado, nelle ricerche sulla razza e nei maniacali esperimenti su cavie umane del famigerato dottor Josef Mengele. Nel gennaio del 1945, dopo un inferno durato otto mesi, viene evacuato dal campo di sterminio di Auschwitz e solo il 5 maggio 1945, al termine di un’estenuante “marcia della morte”, torna in libertà, quando gli Americani liberano il campo di di concentramento di Ebensee (Austria), dove si trovava. Rientrato in Romania, riprende l’attività di medico e, ad un tempo, si dedica febbrilmente alla ricostruzione della terribile esperienza vissuta nel campo, giungendo in meno di un anno, a pubblicare le sue memorie, a proprie spese, nel marzo del 1946. Inoltre, l’impellente esigenza di un riscatto morale, avvertita per essere finito complice del “Kriminal doktor”, lo spinge, l’anno successivo, a recarsi a Norimberga per testimoniare al processo a carico dei responsabili della società IG Farbenindustrie, la quale aveva fornito il gas letale Zyklon B. Il memoriale del dottor Miklos Nyiszli è stato tradotto in diverse lingue. L’attuale versione italiana vede ora la luce per la sesta volta e in felice coincidenza con l’OTTANTESIMO ANNIVERSARIO della fine della seconda guerra mondiale e della liberazione dell’Italia e dell’Europa dal nazifascismo. Pubblicazione sempre a cura del sottoscritto e presso un editore salentino, in ottemperanza ad uno degli obiettivi della collana di traduzioni da lingue slave “Memento” della quale fa parte: “la collana mira a divulgare in Italia pagine della civiltà slava e, d’altro canto, radicata com’è in terra salentina, aspira a valorizzare risorse umane, intellettuali e imprenditoriali di questo lembo d’Italia”. Per dovere di riconoscenza, menziono i precedenti editori: ZANE editrice, Melendugno (Lecce), 2005 e 2008; DELTAedit, Arnesano (Lecce) 2013 e 2018; edizioni ESPERIDI, Monteroni (Lecce), 2021 e 2024. A piú di mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale, Il
20 luglio 2000, il Parlamento italiano, con la legge n. 211, istituisce il 27 gennaio Giornata della Memoria “in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”. E cinque anni piȕ tardi, il 1° novembre 2005, con la risoluzione 60/7 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite designava il 27 gennaio quale ricorrenza internazionale per commemorare le vittime dell’Olocausto. Sembrerebbe che queste autorevolissime iniziative, che rievocavano l’abisso in cui era sprofondata l’umanità con la seconda guerra mondiale, fossero in grado di contrastare e ridurre la violenza in tutte le sue manifestazioni in ogni parte del mondo. Purtroppo, invece, in questo quarto di secolo che ne è seguito, abbiamo assistito, e assistiamo, a rigurgiti sempre piú frequenti di violenza, ispirati a ideologie piú o meno intrise di odio, oscurantismo e intolleranza, ma anche a moderne, subdole e pericolose operazioni di disinformazione, che rendono sempre piú angosciante e insicura la quotidianità. L’urgenza, quindi, di ricercare e costruire prospettive di una possibile pace, si affronta anche attraverso la conoscenza del passato e la perpetuazione della memoria; perché, come mai si stancava di ammonire Primo Levi: “È accaduto, quindi, potrebbe accadere di nuovo…”.
Augusto Fonseca