Tempo di lettura: 3 minuti

Il 19 luglio 1943 gli alleati bombardarono Roma per la prima di molte altre volte e precisamente colpirono il popolare quartiere di san Lorenzo con tre mila morti; cioè più delle vittime del terremoto dell’Irpinia del 1980. Allora gli aerei erano ad elica e quindi avevano una bassa autonomia quindi erano partiti dalla vicina nord Africa. Napoli era in mani Italo tedesche ma nessuno era riuscito a fermare tale dispiegamento di forze aeree. Il Re capì che non avevamo mezzi sufficienti neanche per rallentare né, tanto meno, per fermare l’avanzata degli alleati e che la sopravvivenza di Roma era in dubbio. Per non passare alla Storia come la causa della distruzione di Roma cominciò ad organizzare la destituzione di Mussolini (avvenuta poi solo dopo meno di una settimana) e l’armistizio con gli anglo americani. Poteva deciderlo un mese prima oppure un mese dopo ma lo fece proprio all’indomani del bombardamento di Roma e quindi crediamo che il nesso sia quello.
 Certo è che per salvare gli immensi tesori custoditi in Roma si fece poi quel pasticcio che fu l’armistizio di Cassibile. Le forze anglo americane non erano attrezzate della odierna tecnologia ma erano ugualmente in grado di fare danni irreparabili… avrebbero impiegato più tempo di quello occorrente oggi per distruggere una città ma l’esperienza successiva occorsa a Berlino e alle altre città tedesche insegna che anche se la resa fu considerata da alcuni codardia, certamente è stata -maggiormente- saggezza. L’errore è stato entrare in una guerra così grande sapendo che l’Italia è un giacimento culturale irripetibile e non certo una tribù, ancorché grande, di barbari bellicosi… oggi siamo nuovamente a pronunziare la parola guerra e dobbiamo far tesoro di quella esperienza terribile. Il nostro esercito -pur affidabile- non ha e non può avere le armi moderne di cui altri sono dotati, né ha mezzi finanziari sufficienti ad affrontare una prova del genere dalla incerta durata. Non è un esercito da operetta (come qualcuno può definire quello del 1943) ma certamente come quello non è in condizioni anche sotto l’aspetto tecnologico di combattere efficacemente. Deve concentrarsi nel ruolo difensivo per sventare eventuali assalti di nemici armati di nuove tecnologie. Naturalmente la cosa dopo molti decenni non è cambiata: la guerra è sempre la stessa e il diritto internazionale viene ignorato bellamente. Tutta l’Italia conserva la sua condizione di giacimento culturale irripetibile e quindi deve essere protetta da una venerazione generalissima almeno da parte degli italiani stessi. Roma, Napoli, Palermo, ma anche Firenze, Venezia, e intere regioni hanno un valore inquantificabile non solo per noi ma per l’intera umanità. Se possibile oggi il pericolo è ancora maggiore di allora perché c’è qualcuno che non vede di buon occhio le diversità delle varie identità italiane e potrebbe essere tentato di fare tabula rasa di tanta versatilità a favore della unicità di una identità tecnologica uguale in ogni parte del mondo. Abbiamo ascoltato personaggi un po’ strani che propendono per un mondo fatto di uguali e di cibernetici e non certo di mille identità differenti ed ingovernabili ed incontrollabili dal potente di turno. I governanti devono sapere che stanno lì certamente per migliorare le condizioni dei cittadini ma prima di tutto per conservare almeno quello che ci hanno consegnato i nostri genitori. Partecipare a guerre strane senza che vi sia un dibattito o almeno un perché evidente e senza che NESSUNO in Italia abbia mai sposato la linea della guerra di potenza è illegittimo. La conservazione della cultura e delle radici della civiltà contemporanea è il primissimo compito di ogni governo italiano. E colpire inermi sculture o palazzi o musei o città antiche dovrebbe essere dichiarato crimine di guerra alla stessa guisa della uccisione di civili indifesi.
 È ben strano che questo compito pacifista sia capitato alla destra che alle volte preferisce la virilità dello scontro alla saggezza della conservazione dei nostri valori materiali ed immateriali e del rispetto per i nostri avi … ma non v’è chance: l’Italia ripudia la guerra -se non quella difensiva- ed è ben più coraggioso il mite che non l’armato come la cristianità ci insegna; quindi la pace non per viltà ma per convinta scelta di campo: la nostra immane ed invincibile forza è la nostra cultura e Storia e le difenderemo.
                                    canio trione
Canio Trione

Direttore editoriale di Bari Sera e delle altre testate della editrice La Città, meridionalista da tempo immemore; scrive da sempre di economia reale, credito, finanza, scienza della moneta; ha pubblicato decine di saggi; grande critico della gestione dell'euro; profondo conoscitore della storia anche remota dell' economia.