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La coscienza di Zeno”, capolavoro della letteratura del novecento, di Italo Svevo, al Teatro Piccinni, per la stagione teatrale del Comune di Bari organizzata in collaborazione con Puglia Culture.

La rappresentazione, una produzione firmata dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, per la regia di Paolo Valerio, in occasione del centenario della scrittura sveviana è in scena, presso il nostro Teatro Comunale da Giovedì 24 fino a Domenica 27 Ottobre.

In questa produzione Zeno ha il volto di Alessandro Haber, attore di una potente forza scenica che emerge immediatamente sin dall’inizio della rappresentazione.

Spente le luci in sala, si accendono sul palco. In un clima soffuso, un faro illumina il superbo Alessandro Haber, il protagonista, in primo piano, mentre il resto della compagnia è di spalle sul fondo.

Una scenografia scarna di attrezzeria eppure ricchissima di suggestioni suggerite da proiezioni vive (in movimento) sui fondali grigi e ondulati di scena. C’è spesso una finestra tonda come un oblò di nave che guarda la città durante il trascorrere del tempo.

Alessandro Haber, seduto comodamente su una poltrona e domina lo spazio scenico per quasi tutta la durata dello spettacolo.

-Ho pubblicato queste memorie per vendetta- cosi esordisce l’attore, riferendosi al fatto che Zeno scrisse il romanzo su incitamento del medico che lo aveva in cura, cura interrotta per l’insofferenza dello scrittore nei confronti del dottore, il quale decide, un po’ per vendetta, di pubblicare queste memorie. 

Il romanzo sgorga dagli appunti del protagonista, Zeno Cosini, un ricco triestino che per liberarsi dal vizio del fumo  ( e ogni volta che decide, invano, di smettere appunta su un foglio U.S, ultima sigaretta) si sottopone alle cure psicoanalitiche del Dottor S, che consistono nel mettere per iscritto la propria vita, cercando, in quel modo, di risolvere il suo mal di vivere, la sua nevrosi e incapacità di sentirsi “in sintonia” con il mondo e con la realtà. Il suo percepirsi inetto e malato, ed i suoi ostinati – ma mai del tutto convinti – tentativi di cambiare e guarire, portano Zeno a vivere un’esistenza intrecciata fra la quotidianità borghese, episodi ricchi di humour, verità ed illuminazioni introspettive e psicoanalitiche.

Un personaggio estremamente attuale che ci appartiene, racconta di noi, ella nostra fragilità, della nostra ingannevole coscienza, della voce che ci parla e
che nessuno sente.

Zeno, nel suo romanzo,  narra in prima persona con un narratore interno: come un’ autobiografia aperta, in cui il protagonista Zeno narra la sua vita per episodi sparsi, saltando da un momento all’altro, come se in ogni capitolo aprisse una finestra su un diverso momento della sua vita, fino alla brusca interruzione finale. 

Allo stesso modo, sul palco  è  un continuo intrecciarsi dei piani temporali della narrazione (presente, passato prossimo e passato remoto). L’io narrante usa il monologo interiore  per confrontare presente e passato ed esprimere sentimenti e giudizi, riflessioni e ricordi e si intreccia con gli altri personaggi che rappresentano il padre , la moglie e le cognate, il medico e altri.

Il regista Paolo Valerio rende concreto, quel percorso che il protagonista fa della propria esistenza e del suo mondo interiore, sdoppiando il personaggio di Zeno e rendendo così quasi tangibile il dialogo che egli ha con sé stesso, il confronto con la sua “coscienza”, che pone sui ricordi e gli eventi della sua vita. Si dilania di domande. Cerca risposte uniche. I suoi dubbi “Sono buono o cattivo?”, “Perché tutte le donne mi rifiutano?”. Talvolta giunge a delle conclusioni:-La vita non è né bella né brutta, ma originale-

Fra una memoria e l’altra, un ricordo e una battuta ironica, in quell’oblò sul palco scorrono tante immagini, a seconda dell’emozione che si vuole esprimere: c’è pioggia che pare un pianto sconsolato quando il padre di Zeno muore, non prima di avergli lanciato una sberla. C’è una rosa grandissima che piano smette di vivere, preparandosi cosciente e lenta alla morte. Anche lì la colpa è dell’uomo verme che ne ha troncata la vitalità e non la bellezza che resiste finché può. Interruzione avvenuta nell’atto egoistico di reciderla. Nell’atto scriteriato del possedere.

E ancora nell’oblò si vede, tra le onde della tenda, una pila alta, anzi altissima di libri, che sono a loro volta (ciascuno) scrigno di altre coscienze; anch’esse scalfite da altrettanti dubbi. Pensieri e a tratti risposte in pagine contro la disattenzione del tempo, che passa e va.

La malattia di Zeno è la malattia del mondo, una civiltà malata la cui unica via d’uscita è l’annientamento totale: nelle ultime pagine del libro, Zeno profetizza un’apocalisse, un’enorme esplosione che distruggerà il mondo. 

Di forte impatto, la riflessione finale della rappresentazione: “l’ordigno che non ha più relazione con l’arto, e un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie“.

L’opera con un grande occhio che scruta dall’oblò.

Il regista Paolo Valerio ha saputo restituire al testo teatrale la tragicità dell’esistenza dell’uomo attuale attraverso l ’umore sveviano. In compagnia anche Alberto Onofrietti (che interpreta uno Zeno giovane molto credibile e spontaneo), Francesco MigliaccioValentina VioloEster GalazziRiccardo MaranzanaEmanuele FortunatiMeredith Airò FarullaCaterina BenevoliChiara PellegrinGiovanni Schiavo.

Bravi tutti.

Foto di Marcella Squeo (riproduzione riservata)

 

Marcella Squeo

La dottoressa Marcella Stella Squeo è laureata in Giurisprudenza è una giornalista pubblicista e si occupa di cultura, spettacolo, musica e di beneficienza e volontariato facendo parte di diverse associazioni di settore.