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Crediti immagini: Kraftwerk | Ph. Peter Boettcher || Kraftwerk live at OGR Torino | Ph. Daniele Baldi

La prima canzone che mio figlio ha imparato in inglese è The Robots. Aveva quattro anni e immagino l’avesse ascoltata un paio di volte dallo zio, più spregiudicato di me nei consigli musicali ai bambini. Così una domenica mattina, mentre ingaggiava sul tappeto un furibondo corpo a corpo col suo alieno peloso, ha cominciato a canticchiare: “We are The Robots, tin-tin-tintin. We are The Robots, tin-tin-tintin”. E io mi sono commosso. Anche lui era rimasto irretito dall’irresistibile sinfonia dell’autostrada, dalla radioattività, dai sequencer, dai mutanti Bauhaus. Insomma, dal futuro anteriore suonato dai Kraftwerk.
Ho molto amato Ralf Hütter, Florian Schneider-Esleben – ora fuori dalla band –, i loro soci venuti da Düsseldorf, e non ho mai smesso di ascoltarli. Molti li considerano la più grande band pop di tutti i tempi. Forse è un‘iperbole, ma in qualcosa che non so definire bene, sono decisamente i più grandi. Quando, nel corso degli anni, qualcuno magnificava i portenti e le rivoluzioni della nuova musica elettronica, della techno o dell’hip hop, la mia risposta era: “Beh certo, però ascolta i Kraftwerk”. E se ero ancora più indispettito, cercavo di confondere il mio interlocutore suggerendo “una band davvero seminale, quella da cui tutto è cominciato”, gli Autobahn, i nichilisti del “Grande Lebowski”.
Ho visto i Kraftwerk in concerto per la prima volta a Torino, durante Club To Club, il 4 novembre 2017, un sabato parecchio piovoso. 3-D The Catalogue, una ricreazione multimediale dei loro album precedenti, andava in scena nel complesso industriale, magnificamente ristrutturato, delle nuove OGR. Il luogo ideale per una notte di “doo-wop androide”.
E infatti, inforcati gli occhiali stereoscopici, mentre nel buio partiva Numbers, è decollata la Gesamtkunstwerk, la loro opera d’arte totale. Quattro uomini attempati in tutina spaziale hanno governato, con pochi gesti simmetrici e nessuna interazione con il pubblico, oltre due ore di proiezioni caleidoscopiche, grafica marziale, informatica preistorica, teatro costruttivista, optical design e pittura digitale. Una gioia per gli occhi e per le orecchie. Perché le versioni live di Trans-Europe ExpressComputer LoveThe ModelRadioactivityThe Man-MachineElectric Café erano ancora più ipnotiche, fluviali e travolgenti di quelle che avevo sentito mille volte nei dischi. Le luci si sono spente su Techno Pop, al momento giusto, mentre le proiezioni delle note musicali si dissolvevano tridimensionalmente nello spazio. Eravamo ancora sulla Terra, ma addio forza di gravità.

PS: La mattina dopo mio figlio mi ha chiesto: “Babbo, ma è vero che hai visto quelli di We are the Robots?”, “Sì” “Erano umani? “Sì, molto”, “Che delusione”.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.