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"DSL"Mark Knopfler ha la straordinaria capacità di far emettere alla sua Schecter Custom Stratocaster dei suoni che paiono prodotti dagli angeli il sabato sera, quando sono esausti per il fatto di essere stati buoni tutta la settimana e sentono il bisogno di una birra forte.” (Douglas Adams)

Chi, anche di tanto in tanto, ci gratifica con la sua attenta lettura, saprà bene che chi scrive si è sempre dichiarato assolutamente contrario a qualsivoglia operazione dettata dalla voglia di copiare e replicare i grandi musicisti, forse perché irrimediabilmente terrorizzato dallo spettro di serate – sinora saggiamente evitate – trascorse in casa davanti a catodici quanto improbabili sosia di sublimi quanto inimitabili divi. Accade, però, che, nonostante queste premesse, talvolta ci sia capitato di essere stupiti dalla professionalità di talune cover band, intente a ricreare un sound cui siamo affezionati e cui credevamo di dover – quantomeno nella sua espressione live – rinunciare in eterno, non fosse altro che per questioni di sopraggiunta età pensionabile o solo di cambio di rotta nei gusti musicali dell’autore o degli esecutori. Ad esempio, da quando il geniale Mark Knopfler ha deciso di intraprendere una luminosissima carriera solistica, noi siamo rimasti orfani dei mitici Dire Straits, e pur avendo partecipato più d’una volta, dopo il doloroso – almeno per noi – distacco, ad esibizioni live del nostro eroe, non vi abbiamo più ritrovato – se non in taluni rarissimi sprazzi – le energiche emozioni che ci increspavano la pelle quando, nella privacy casalinga, ascoltavamo a tutto volume i vinili della mitica band in nostro possesso, “Alchemy” sopra tutti. Oggi quello strappo si è definitivamente ricucito grazie non ad una band di replicanti, bensì ad una cosiddetta concept band, vale a dire ad alcuni musicisti che, avendo transitato, più o meno stabilmente, tra le fila della creatura knopfleriana nei suoi due decenni di vita, hanno deciso di riunirsi e girare il mondo sotto il nome di “Dire Straits Legacy”, ristretto in “Legacy” di recente, ossia a seguito della pubblicazione del loro primo album di inediti “3 chord trick”. E se non vi è dubbio che la palma di figura di riferimento della nuova formazione debba essere assegnata ad Alan Clark, talmente inamovibile nei Dire Straits dal suo ingresso nell’80 – l’anno di “Making movies” e, quindi, dell’affermazione mondiale – sino alla fine, da aver avuto, con le sue tastiere ed il suo hammond, senza dubbio una parte sostanziale nel costruirne i tratti distintivi, non bisogna dimenticare la presenza degli altri grandi musicisti, tutte stelle di prima grandezza, suoi ex sodali, vale a dire Jack Sonni (alle chitarre e ai cori dall’84 all’86), Phil Palmer e Danny Cummings (rispettivamente alle chitarre ed alle percussioni dal ’90 al ‘92), oltre a Mel Collins (al sax per la sola stagione dell’83), purtroppo assente a Bari per motivi non chiariti, ma ben sostituito, seppur all’ultimo momento, cui si aggiungono gli innesti di Marco Caviglia (voce solista e chitarre) e Primiano Di Biase (tastiere), nonché del grande Steve Ferrone (batteria, tra gli altri, di “Tom Petty & The Heartbreakers”) e, soprattutto, del mitico Trevor Horn (basso), voce degli “Yes” per il solo album “Drama”, ma anche creatore dei Buggles e, principalmente, magnifico produttore di grandi successi degli stessi Yes e poi, tra gli altri, di Art of Noise, Genesis, Pet Shop Boys, Frankie Goes to Hollywood, Paul McCartney, Mike Oldfield, Tina Turner, Grace Jones, Seal, Propaganda, Lisa Stansfield, Robbie Williams, Tom Jones, Simple Minds, Marc Almond, fino al mitico progetto della Band Aid per “Do they know it’s Christmas?”.

Con una line up di tale spessore, non ci si può aspettare che una straordinaria performance live, circostanza che, puntualmente, si è verificata al TeatroTeam di Bari, straripante di un pubblico entusiasta ed osannante, per la data del Tour mondiale, prodotto dalla WeShow, organizzato nel nostro capoluogo dalle belle menti della Vurro Concerti. Apertosi sulle note della splendida “Private investigations”, il set ha proposto praticamente tutte le hit della originaria band inglese, un flusso continuo ed inarrestabile, interrotto, per i suddetti motivi e senza sussulti, da “Owner of a lonely heart” degli Yes, “Learning to fly” del compianto Tom Petty e “3 chord trick”, l’unico inedito della serata. “Money for nothing”, “Sultans of swing”, “So far away”, “Walk of life”, “Tunnel of love”, “Romeo & Juliet”, “Your latest trick”, “Brothers in arms” e tante altre, sino al finale sulle note di “Portobello Belle”, sono volate via, complice la indovinata scelta di eseguirle – forse facendo di necessità virtù, data l’assenza del loro compositore – nella loro versione originale, come furono incise, senza quelle interminabili code che Mark si concedeva, con un assolo praticamente per ogni brano eseguito, nelle ultime tournée della band, che nessun fan si è mai permesso di mettere in discussione, ma che – confessiamolo – alla lunga toglievano smalto agli eventi. “Le mie canzoni sono fatte per essere eseguite live. Amo tutto il processo di scriverle da solo per poi registrarle insieme alla band, ma alla fine la parte migliore sta nel suonarle dal vivo davanti a un pubblico”, ama ancora oggi ripetere il mitico chitarrista, e non vi è dubbio che i Dire Straits Legacy, anche con il concerto barese, abbiano dimostrato di aver compreso appieno il pensiero del loro vate, facendosi essi stessi magnifico strumento per portare al popolo di abbandonati discepoli il verbo knopfleriano.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.