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"Cattura"«Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico, Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861».

Queste parole rappresentano il testo della legge n. 4671 del Regno di Sardegna. Pochi giorni dopo quel 17 marzo, lo stesso testo sarebbe diventato la legge n. 1 del Regno d’Italia. Era nato un Regno, era nato uno Stato unitario laddove, appena un paio d’anni prima, ve n’erano addirittura sette (Regno di Sardegna, Lombardo-Veneto, Gran Ducato di Toscana, Gran Ducato di Modena, Principato di Parma, e Principato di Lucca, Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie).

I soloni soliti, critici per professione, affermarono ed affermano che: “Il primo dato che emerge dall’analisi del testo è che il numerale che accompagna il nome del sovrano non viene modificato: è sempre Vittorio Emanuele II, non I come avrebbe voluto larga parte dell’opinione pubblica patriottica. Il dato è significativo e tutt’altro che simbolico. Vittorio Emanuele I avrebbe sottolineato la specificità e la novità dell’Italia unita. Vittorio Emanuele II, invece, significava implicitamente che il nuovo Stato era l’allargamento territoriale del Regno di Sardegna e delle sue istituzioni.”

Dimenticando che in tutte le precedenti unificazioni dovute alle Guerre d’Indipendenza era stato il Regno di Sardegna ad estendere e garantire il funzionamento dello Stato, con le Istituzioni, la Capitale, le Leggi anche alle nuove Regioni che ne entrarono a far parte. Pertanto era naturale che anche nel 1861 si seguisse la stessa linea di condotta, e trattandosi di una unificazione di cui già dai tempi di Dante Alighieri se ne anelava il raggiungimento, il Regno d’Italia non poteva che considerarsi da secoli uno ed indivisibile.

Tanto che uno dei primi atti fu la decisione di trasferire la Capitale del Regno a Firenze e l’allargamento, mediante l’indizione immediata di nuove elezioni, della rappresentanza parlamentare alla nuova geografia politica.

La reazione internazionale alla proclamazione del Regno fu repentina e, in alcuni casi, entusiastica. Il nuovo Stato venne riconosciuto, nel volgere di poche settimane, dai governi svizzero, britannico e statunitense. Questi guardavano infatti con favore alla creazione di uno Stato mediterraneo abbastanza popoloso (oltre 22 milioni di abitanti) che fosse in grado di dare stabilità all’intero continente, attraversato in quegli anni dalla lotta tra Francia e Austria per il controllo dell’Europa meridionale e dalla contrapposizione franco-britannica per il dominio delle rotte mediterranee.

Il Regno d’Italia era stato dunque “generato” da una decisione presa dal Parlamento riunito a Torino, nella sede di Palazzo Carignano. I suoi rappresentanti erano stati eletti pochi mesi prima, nel gennaio dello stesso anno, e la loro provenienza già aveva attestato la realizzazione, de facto, dell’Unità. Le elezioni si erano infatti tenute in tutte quelle regioni che, attraverso i plebisciti, nel corso dell’anno precedente avevano chiesto l’annessione al Regno sabaudo.

In quel Parlamento una grande maggioranza degli eletti si riconosceva apertamente nelle posizioni politiche di Camillo Benso Conte di Cavour. E, infatti, fu proprio il conte piemontese a ricoprire, per primo, la carica di presidente del consiglio dei ministri del Regno d’Italia. In quell’esecutivo il conte ricopriva anche i dicasteri della Marina e, soprattutto, degli Esteri. Gli altri ministri erano specchio dell’unità appena dichiarata. Alla Giustizia un piemontese (Cassinis), all’Agricoltura un siciliano (Natoli), alla Guerra un emiliano (Fanti), alle Finanze un livornese (Bastogi) e ai Lavori pubblici un fiorentino (Peruzzi), all’Istruzione un napoletano (De Sanctis).

Ma, improvvisamente, ad appena una decina di settimane dalla proclamazione dell’Unità, Cavour, il principale architetto dell’Unità, moriva a soli 50 anni nella sua residenza di famiglia, probabilmente stroncato dalla malaria (a dispetto delle tesi complottiste, di un sospetto avvelenamento determinato dagli aperti contrasti tra Cavour ed il Re, succedutesi nel tempo).

Decine di migliaia di persone parteciparono ai suoi funerali in piazza San Carlo, a Torino. L’intero paese aveva perso, forse nel momento di maggior bisogno, uno Statista le cui qualità sarebbero state rimpiante da molti.

Il prezzo pagato alla Francia per non essere intervenuta ad impedire l’unificazione, fu la cessione di Nizza e della Savoia, peraltro l’una città natale di Giuseppe Garibaldi e l’altra regione di origine della famiglia regnate, in cambio l’Imperatore di Francia era disposto a cedere la Corsica, ma Cavour rifiutò, ritenendo la popolazione ingovernabile. L’altro accordo tra Cavour e l’Imperatore di Francia riguardò l’intangibilità dello Stato Pontificio, se gli italiani ne avessero varcato i confini l’esercito francese sarebbe intervenuto per impedirlo. Da qui il famoso incontro a Teano (Caserta) per fermare l’esercito Garibaldino, con tanto di salvacondotto che consentì alle truppe piemontesi di attraversare lo Stato Pontificio senza che la cosa fosse considerata un atto di guerra.

Probabilmente sarebbe giusto che le date del 17 Marzo, del 20 Settembre e del 4 Novembre fossero considerate Feste Nazionali.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.