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"orecchie"Presentato ieri in anteprima mondiale al Festival del cinema internazionale di Venezia, nell’ambito di Biennale College, “Orecchie”, lungometraggio scritto e diretto da Alessandro Aronadio. Un ricco cast, che comprende il protagonista esordiente Daniele Parisi, al suo esordio al cinema, Silvia D’Amico, Pamela Villoresi, Rocco Papaleo, Piera Degli Esposti, Milena Vukotic, Massimo Wertmüller, Francesca Antonelli. Un piccolo film. Un film coraggioso, in bianco e nero, tutto giocato sugli attori e sui dialoghi, destinato a diventare un cult.

Una giornata cominicata male…un fischio all’orecchioche accompagnerà il protagonista per tutto il film.Il fischio è un allarme, è segnale che qualcosa non va: è il mondo o forse è lui?

Un post it della fidanzata sul frigo, un amico morto di cui però non riesce a ricordare e il cui nome, Luigi, non appare neppure sulla rubrica del suo cellulare. Mistero.

Il protagonista, laureato in filosofia, supplente, agnostico, grande osservatore, frustrato dai mancati guadagni. La fidanzata, Alice, dentista,che sorride con un sorriso male abbozzato, anch’esso spia di infelicità, di insoddisfazione. Il manifesto di una generazione insomma, trentenni e quarantenni, professionisti ma sfigati, inseriti a forza in mondo che non li vuole, che non li accetta, li ricusa quasi, rendendoli inetti alla vita, troppo problematici, troppo.

Personaggi strani e paradossali affollano il film come il rapper, suo alunno. Rispetto a Daniele Parisi, il rapper, ignorante ma pieno di soldi, è capace però di inquadrare il problema da subito! “La vita è troppo semplice, prof, è per questo che la gente come lei si trova male in questo mondo, siete troppo abituati a pensare, a sviscerare, è difficile da abbracciare la semplicità”.

Camei di grandi attori italiani nel film, perfettamente scolpiti. Il protagonista per esempio viene umilato e sbeffeggiato dal medico burlone, un grande Massimo Wertmuller, un personaggio alla “Amici miei”, che gli dice che la laurea in filosofia non serve a niente, mentre gli fa credere che è “in cinto”. Situazioni paradossali, grottesche, che però sono assolutamente calzanti con la realtà ormai trasfigurata, un mondo al contrario che viviamo nel quotidiano e che, ad uno sguardo attento, ci pare impazzito.

Tutti coloro che il protagonista incontra nel dipanarsi della trama gli lanciano un segnale forte, parole che sembrano buttate lì ma risuonano nel suo cervello. Il collega per esempio gli dice: “Il corpo è come una macchina e il tuo dolore all’orecchio è la spia sul croscotto”. Banalità, ma che hanno presa. Oppure la mamma, un cliché fatto persona, interpretata da una straordinaria Pamela Villoresi, che sta con uno più giovane di lei, segue le filosofie orientali, e vive una seconda giovinezza, più leggera. Molto più giovane nell’approccio al mondo del figlio stesso.

Personaggi assurdi, tutti immersi nel loro tram tram, tutti presi da se stessi, apparentemente schiacciati dal quotidiano, disadattati anche loro, ma che hanno trovato degli stratagemmi per essere più contestuali, sicuramente più parte di un mondo a cui il protagonista sembra proprio non volere e non potere appartenere.

Un film fatto di dialoghi, dicevamo, come le parole di una meraviglosa Piera Degli Esposti, direttrice di giornale.Le sue domande risuonano come campane, altro che fischio! “Lei non sarà di quelli che vivono fuori dal proprio tempo?” Un pugno nello stomaco. Lui un uomo schietto, a tratti una specie di Candid di Voltaire, che dice tutto in maniera spontanea, ma il mondo non lo recepisce, non lo segue, tanto da far dire per bocca di Piera degli Esposti il classico“Le faremo sapere”.

A Milena Vukotic, la moglie del professore punto di riferimento per il protagonista,ormai completamente andato fuori di testa, Parisi si racconta in un botta e risposta  che è rivelatore. Lui:“le mie occasionice le ho avute, solo che non sono voluto scendere a compromessi”. Lei: “il compromesso si tende a confordere con l’accettazione”. Lui:“l’accettazione è una resa”. Lei: “Anche tu pensi che il mondo stia impazzendo?” Lui: “È evidente, no?”. Lei: “In fondo siamo tutti pazzi agli occhi di qualcun altro.”

La moglie del professore ammette di conoscere benissimo quel fischio, “mio marito lo chiamava il rumore dei pensieri” dice.

Sostanzialmente uno spaccato tranchant del vivere quotidiano.

E poi ancora, fra i personaggi grotteschi, un Rocco Papaleo sacerdote surreale.

Non è la prima volta dell’artista lucano in abiti talari, già nel suo film “Una piccola impresa meridionale” l’avevamo scoperto prete “spretato”, qui, appare disincantanto anche rispetto alla Bibbia, ma inserito comunque in un contesto, il suo personaggio è tramite per l’agnizione, cioè il riconoscimento dell’errore da parte del protagonista. Papaleo ricopre un ruolo, forse anche inconsapevole, che porterà alla conversione del professore supplente, se così si può dire. È Papaleo che svela l’arcano che accompagna il film: Luigi, il presunto amico defunto, il protagonista non l’ha mai consciuto. Ma nonostante Luigi gli sia sconosciuto, ha la capacità di insegnare anche da morto: “Il peccato più grande di Luigi, morto solo, è non essere riuscito a farci l’abitudine, al mondo”. Queste le ultime parole dette al prete nel momento dell’estrema unzione. Papaleo è funzionale, dice ancora: “Credere in qualcosa serve per avere meno paura, la vita è troppo breve per avere paura”. Una rivelazione!

Il film è una sorta di viaggio attraverso il mondoe se stesso per il protagonista che finalmente comprende ciò che gli sta accadendo e cerca di porvi rimedio. Corre dalla fidanzata per toglierle dalla faccia quel sorriso male abbozzato con gli angoli della bocca bassi. “Tu mifai venire la voglia di regalarti una vita migliore” Esclama. “Poi questo sorriso non sai quanto mi mancava.”

Il monologo finale dell’esordiente Parisi, il discorso funebre dinanzi al feretro di Luigi,poi, è il racconto accorato di ciò che è lui, una sorta di transfert con il defunto, che non conosce. Racconta se stesso. “La follia è la nuova normalità” – dice in realtà al suo io– “Questo bisogna accettarlo, per sopravvivere, per non rimanere soli e dimenticati.”

Una profonda malinconia sottende questo film, come è melanconico il protagonista, che sembra non avere sentimenti, spinte emozionali forti, passioni, come se il mondo lo avesse oscurato, anzi zittito con quel sibilo fisso, quello che egli stesso sente nelle orecchie.

Il fischio alle orecchie ce l’ho ancora – dice alla fine del film – però, infondo, non mi da così tanto fastidio.”Forse è il rumore del mondo, una distonia apparente, forse un modo per sentire ancora, per sentirci vivi. Un segnale. E forse lui, professore, più istruito degli altri, ha imparato la lezione.

Una canzone di Enzo Jannacci suonava così: “Bisogna avere orecchio”. Ecco, il film sembra dirci che per sopire quella incredibile melanconia di questa generazione, bisogna avere orecchio per sintonizzarsi col mondo e quanto meno provare ad essere felici a mezzo dei sentimenti, un amore veroo un figlio per esempio.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.