Tempo di lettura: 7 minuti

"2"Continua, con un nuovo incontro, la rubrica “Die Berliner” a cura di Gianluca Quaranta, volta a portarci alla scoperta di un’insolita immagine di Berlino attraverso le parole e i racconti di chi vive nella capitale tedesca. Buona lettura.

Alcune settimane fa, non saprei dire esattamente quando senza ricorrere a un calendario e ad approssimativi calcoli matematici (si, a Berlino, complice il cielo quasi sempre grigio e il clima freezzato in un eterno ottobre, la vita risulta particolarmente confusa, ma comunque tutto bene grazie.), mi trovavo per caso al PRATCHWERK, conosciuto ai più poiché baluardo eccezionale di promozione musicale indie a Berlino, per realizzare delle foto per un concerto di musicisti emergenti.

I nomi in tabellone erano addirittura tre, e come mi capita spesso, complice il fatto che, da fotografo, ho (quasi) sempre un pass all areas, avevo la possibilità di inoltrarmi nei backstage in assaggi di vita da rockstar, tra groupie e alcool a fiumi.

No in realtà no, mai incontrate groupies e mai nessuno mi ha regalato dell’alcool, a parte qualche birra, molte volte calda; certo se riuscissi ad intervistare i Rolling Stones sarebbe diverso, ma non è questo il punto.

Questo particolare backstage era, anche senza le groupies, molto interessante: i componenti di ognuna delle band erano separati in piccoli gruppetti, con ognuno dei loro strumenti abbandonato tra il pavimento e il divano, che non vi dico la paura mentre camminavo di inciampare e fare un danno incalcolabile e far partire una rissa di quelle da raccontare ai  propri amici, ai propri nipoti e ai nipoti dei propri amici.

Mi faccio strada con l’accuratezza di un ballerino del Bolshoi e mi intrufolo nei vari gruppetti, presentandomi come il fotografo della serata, e cominciando a fare conoscenza con le varie formazioni.

Quando, di improvviso, fa il suo ingresso un ragazzone di quasi 2 metri, un apparenza a metà tra Richard Ashcroft e James Jagger, una voce profonda dodicimila metri: è evidente, deve essere il frontman, raramente vedi casi di physique du rôle del genere, e il destino scherza sempre poco su queste cose.

"5"Si chiama Steve, è Irlandese, e stasera, lui e la sua band, portano sul palco il suo progetto indie cantautoriale A.S. FANNING.

Giusto il tempo di quattro chiacchiere e percepisco che, complice il tempo che scorre velocemente, si avvicina l’orario di inizio e la sala comincia a riempirsi; è il momento per me di abbandonare le band e lasciarle concentrare e appropriarmi del mio personalissimo posto di combattimento sotto il palco.

Il concerto inizia e il primo nome in tabellone è un giovane ragazzo, che rompe gli indugi con la sua chitarra, in solitaria, e comincia a scaldare il pubblico, anche se non con poca emozione.

La sua esibizione termina, e nonostante un po’ di incertezza, il pubblico sembra apprezzare e lo sommerge con affetto e applausi.

Io intanto ho cominciato a scaldarmi con un paio di scatti, e proprio mentre sono lì a regolare impostazioni e a bestemmiare sulla luce(chiunque abbia mai fatto questo lavoro anche per caso, sa che l’ira funesta è semplicemente parte del processo), qualcosa attorno a me comincia a muoversi: Stephen e i suoi A.S. FANNING fanno il loro ingresso sul palco.

La formazione è formato da Steve, con una chitarra acustica, Candice, che poi scoprirò essere la sua compagna, alla chitarra elettrica, un organista, e un batterista che suona contemporaneamente la batteria e un synth moog, una cosa che di certo non si vede tutti i giorni.

L’impianto sonoro è potente, come un muro di suono continuo scaraventato sull’ascoltatore; il loro suono è molto articolato, la voce potrebbe ricordare gli Editors o Joy Division, ma con un sound molto più emotivo e smooth allo stesso tempo, e nel pubblico si può davvero percepire un senso di incantamento e attenzione.

“Carmelita”, il loro primo singolo pubblicato ne è un esempio lampante, impossibile non innamorarsene al primo ascolto, senza contare che è davvero molto raro riscontrare così tanta qualità e complessità in una canzone scritta da un gruppo praticamente emergente.

Il concerto continua, e tutti ne sono estasiati, e mentre ci si avvia verso la fine, appare chiaro che siamo davanti a delle persone che sanno davvero il fatto loro.

Ovviamente, subito dopo il concerto, ho invitato Stephen a chiacchierare della sua musica.

"6"Ci incontriamo al Cafè Cinemà, “il primo caffè di Hackescher Markt”, e davanti a un caffè prima, e a una birra poi, chiacchieriamo di lui e i suoi progetti.

Io: Stephen, il vostro concerto al Pratchwerk è stato bellissimo, credo che chiunque fosse lì si scorderà difficilmente di voi;

Stephen: Wow si! Ne siamo stati molto felici, era la prima volta che uscivamo da uno studio con questa formazione, e devo dire che sono molto contento di come è andata. Suono con questa band da novembre, è il mio primo vero progetto solista; la sensazione di aver partorito qualcosa che funziona, che riflette esattamente le mie corde e la musica che davvero voglio fare, è quantomeno indescrivibile.

Io: Novembre?! Guardandovi sul palco avrei scommesso che foste molto più rodati, avevate una presenza e sicurezza scenica invidiabile, senza parlare del muro sonoro che avete tirato su:

Stephen: Bè, io prima di suonare con loro ho fatto parte per 8 anni di un altra band, e gli stessi ragazzi che suonano con me al momento sono impegnati anche in altri progetti, ma devo dire che l’alchimia e il “muro sonoro” che dicevi, è una piacevole caratteristica che abbiamo avvertito già dalle primissime volte che abbiamo cominciato a suonare insieme, loro sono tutti degli incredibili musicisti, capaci già da subito di capire che tipo di progetto fosse il mio, e come poterlo interpretare al meglio.

Io: E che tipo di progetto è il tuo? Ha un genere ben definito, ti ispiri a qualcuno in particolare?

Stephen: In realtà no, non credo di seguire un pattern definito, né di ispirarmi a qualcuno in particolare. Certo, band come i Joy Division o figure come Johnny Cash mi hanno sempre influenzato moltissimo, ma direi che non li ho mai visti come qualcosa da raggiungere a livello sonoro.

L’unica cosa a cui tengo particolarmente, e a cui dedico tutto me stesso, è inseguire le atmosfere che ho nella mia testa:  ho sempre immaginato che i miei brani dovessero essere come continui soffi di vento su cui ci potersi sedere e farsi trasportare (ecco spiegato l’uso combinato di organo Korg e synth Moog, che al principio non riuscivo a spiegarmi ndr.), da cui provenga un ritmo, che è soprattutto mentale, e che nasce completamente all’interno dell’ascoltatore.

Ritengo fondamentale che qualsiasi cosa io produca, non sia riconducibile a niente di già ascoltato. La perfezione per me è quello che cerco di fare da anni: seguire me stesso, qualsiasi cosa significhi!

"3"Io: Bè, in brani come Carmelita è evidente la tua impronta e lo stile che stai cercando di seguire; tra parentesi, è una canzone meravigliosa!

Stephen: (ride) Ti ringrazio, mi fa piacere che ti sia piaciuta;  Carmelita è stato il primo brano vero e proprio che ho scritto e prodotto, la mia prima vera canzone.

Ho scritto tutto, è partita da un foglio di carta, l’ho registrata, arrangiata, ma non suonava come voleva, quindi RESET, l’ho riscritta, riarrangiata, riregistrata decine di volte prima di arrivare alla perfezione: insomma, questo ti fa capire come questo mio percorso sia stato denso di dubbi e cambiamenti, venivo da un ambiente elettronico, musica stile Radiohead, è stato solo improvvisamente che ho capito che volevo inseguire un atmosfera più acustica, e Carmelita come la puoi ascoltare ora, è decisamente un punto di arrivo di cui sono molto felice, ma allo stesso tempo un punto di partenza: so da me che è una bella canzone, e so che viene molto apprezzata, ma sento la necessità di continuare a dimostrare qualcos’altro, di mostrare il quadro completo.

Io: Bè, seems legit, e se queste sono le premesse, direi che ci sono ottime speranze che tu ci riesca; quali sono i tuoi prossimi progetti?

Stephen:  Ho appena finito di produrre, l’album di debutto della mia compagna, Candice Gordon, che si intitola “Garden of Beasts”.

Quando produco è una sensazione totalmente diversa rispetto a quando lavoro sulla mia musica: ascolto le idee dei musicisti con cui lavoro, e mi appare chiara una direzione, e tutti i miei sforzi si concentrano per inseguire quella strada, perché so stare da entrambe le parti, so esattamente cosa significa trovarsi nella condizione artistica di avere milioni di idee ma non sapere esattamente come convogliarle in un flusso continuo di musica, e il mio lavoro diventa esattamente quello: mettermi alla guida, e portare l’artista e i suoi pensieri da qualche parte, che scopri  solo a disco ultimato.

Con Candice però, è stato un processo abbastanza complicato: lavorare con la tua compagna a un progetto completamente suo, significa essere su un piano personale e emozionale completamente diverso, perché sei anche emotivamente legato a quello che ascolti, alle sue idee e ai suoi stati d’animo. Per questo ci abbiamo messo due anni, con periodi interi divisi tra concerti e giorni interi dove entravamo in studio alle 10 del mattino per uscirne alle 4 di notte, ma ora, dopo tutto questo tempo, posso dirti che siamo molto soddisfatti del risultato.

Io: E per quanto riguarda A.S. Fanning, qual’è la prossima mossa?

Stephen:  Il mio album! Si intitolerà “Second Life” e l’uscita è prevista per l’inizio del 2017, e si, se te lo stai chiedendo, il titolo dell’album significa esattamente una rinascita: dopo anni passati a suonare in giro in tutta l’Europa, soprattutto con la mia previous band, ho davvero percepito una voglia di ricostruire le mie idee, il mio essere artista, e credo, in parte di esserci riuscito.

Farò alcune date a Novembre tra la Germania e l’Austria, e un nuovo tour in tutta l’Europa dopo l’uscita dell’album, I hope I’ll see you then, magari riuscirò anche a passare da Bari.

Tra l’altro, avete anche una buona squadra di calcio, giocate in Serie B vero?

Per citare un detto dialettale di esprimere un concetto che utilizziamo spesso nella nostra amata città, chi me lo doveva dire a me che sarei finito a sentire parlare del Bari da un cantautore Irlandese, seduto sorseggiando una birra a Berlino?

Se volete seguire Stephen e il suo progetto potete diventare fan su Facebook sulla sua pagina https://www.facebook.com/asfanning/?fref=ts , in allegato qui invece, trovate il video di Carmelita.

https://www.youtube.com/watch?v=T4ZkO9KaRv8

Viel spaß folks, bis bald!

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.