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"dr"Dianne è una delle più potenti, stimolanti e migliori voci di oggi e di sempre

(Winton Marsalis)

Mettiamoci d’accordo e smettiamola una buona volta di praticare quell’insulso ed avvilente giochetto che ci spinge a cercare sempre paragoni col passato, richiamare figure che ci consentano di etichettare questo o quell’artista. Non è più il caso, ad esempio, che si richiamino le opprimenti ombre delle divine Ella Fitzgerald o Sarah Vaughan o Billie Holiday o Dinah Washington ogniqualvolta una intrepida donna si avventuri nell’inquietante quanto meraviglioso mondo del jazz; oppure, meglio, accettiamo la possibilità che in questo olimpo possa essere iscritto (di tanto in tanto, ché le stelle non nascono sugli alberi!) il nome di una nuova figura mitologica, una nuova dea sorta dalle acque come Venere.

Dopo aver goduto di una delle sue leggendarie perfomance, inserita, per nostra somma fortuna, nell’annuale fantastico cartellone dell’associazione Nel gioco del jazz, giunta all’invidiabile traguardo della settima stagione, non possiamo più avere alcun dubbio sul fatto che Dianne Reeves sia stata assunta al ruolo che le compete unendo il suo nome alle grandi del passato, perché non può più essere paragonata a nessuna delle sue ideali precettrici, perché ha voce ed interpretazione uniche, perché merita di essere ascoltata e seguita nella sua perenne ricerca di rinnovarsi, con raro gusto ed innata classe che non le"dr3" fanno mai dimenticare, qualsivoglia genere musicale abbracci, di rifarsi alle proprie radici jazz, soul, se non addirittura blues, le stesse che le furono infuse in famiglia, prima tramite suo padre cantante, che morì quando aveva solo due anni, poi dalla madre trombettista Vada Swanson, quindi dal cugino tastierista, nientemeno che George Duke, ed infine dallo zio bassista Charles Burell, cui soprattutto si deve il grande amore della Reeves per Sarah Vaughan.

Possiamo a ragione affermare che se Dianne è la grande interprete che conosciamo lo dobbiamo a loro e – come ricordava il Maestro Roberto Ottaviano nella sempre ottima presentazione – al mai abbastanza compianto trombettista Clark Terry, che la scoprì a soli sedici anni e ne divenne il mentore; ma da allora tanta acqua è passata sotto i ponti ed ora la vocalist di Detroit può vantare un luminosissimo palmarès, culminato nella vittoria di "dr2"ben cinque Grammy Awards, tra cui quello per la splendida colonna sonora del film di George Clooney  “Good night and good luck”, che si chiude con una sublime versione di “One for my baby”, eseguita anche nel concerto barese, e per il più recente lavoro discografico, quel “Beautiful Life” del 2013 in cui ha continuato a perpetuare quel suo incessante lavoro di ricerca che l’ha portata ad esplorare universi apparentemente lontani come la musica brasiliana, la etnica africana e finanche il pop. Eppure, come detto, qualunque genere affronti la Reeves ha ormai uno stile tutto suo, figlio non solo della sua straordinaria versatilità ma anche dell’indescrivibile espressività che la nostra mette in ogni esecuzione, come hanno potuto verificare i tantissimi spettatori accorsi nella sala dell’Hotel Nicolaus di Bari per godere di una serata che ha avuto tutti i crismi dell’evento, grazie anche ad un magnifico quartetto che poteva vantare la presenza dei fedelissimi Peter Martin al pianoforte e Romero Lubambo alla chitarra, cui si aggiungevano Reginald Veal al contrabbasso e Terreon Gully alla batteria, spesso chiamati a duettare con la divina, che usava la propria voce come fosse il quinto strumento della band; anzi pareva che dall’ugola d’oro della Reeves scaturisse un’orchestra completa, da cui non nasceva mai una sola nota che fosse al di sotto della perfezione, nonostante le infinite quanto ardite discese e risalite cui si sottoponeva.

Davanti ad un pubblico giustamente osannante, andato in visibile visibilio sin dal primo"dr4" brano, Dianne ha offerto una magistrale prova della sua illimitata estensione vocale, assolutamente a suo agio in ogni attimo del concerto, scoccando tutte le innumerevoli frecce al suo arco ed esibendosi spesso in vocali tripli salti mortali. Lo confessiamo: raramente ci è capitato di sentirci così coinvolti, così travolti da un magma di sensazioni e di emozioni, talvolta fluido ed avvolgente, talvolta impetuoso e devastante, ma sempre di sublime bellezza; abbiamo pensato davvero, in questi attimi purtroppo fuggenti, di essere al cospetto di un angelo nero (nessuno richiami alla mente reminiscenze del buon Fausto Leali!) e di essere così ipnotizzati dalla sua voce da non poter chiedere altro alla meravigliosa Dianne, se non di voler discendere quanto prima nuovamente dall’Olimpo del jazz, dove è innegabilmente collocata, e tornare – come la stessa ha promesso in finale di serata, probabilmente sorpresa da tanto affetto – presto a deliziare non solo i nostri padiglioni auricolari ma, ancor più, i nostri cuori e le nostre anime.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.