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"fabio5"Un intrattenitore, un creativo e un cultore della musica. È in queste tre definizioni che probabilmente si potrebbe inquadrare la figura del deejay. A lui la responsabilità di creare l’atmosfera, a lui il compito di catturare il pubblico e trascinarlo sulle note delle sue selezioni musicali. Un vero e proprio artigiano del suono, in grado con le sue competenze di plasmare una melodia portandola a nuova veste e nuova vita. Una vera e propria figura professionale, troppo spesso sottovalutata. Sembrerebbe, infatti, che la tendenza odierna sia quella per cui sia sufficiente assemblare tracce l’una dietro l’altra applicando loop e distorsioni perché il gioco sia fatto. Ma non è così. Non ci si improvvisa disc jockey, così come non ci si può improvvisare pianisti. Con il ricorso alle moderne tecnologie, tutto sembra più facile, alla portata di tutti. Eppure occorre studio, dedizione e soprattutto avere una grande passione, motore indispensabile per dedicarsi a qualsiasi attività in cui si voglia eccellere evitando il rischio della mediocrità. E quando ci si imbatte in chi quella passione l’ha resa una vocazione, è inevitabile riconoscere in lui una luce diversa. Se poi al talento naturale si associa l’umiltà di chi ha sete e fame di apprendere e crescere nel suo settore, con impegno, dedizione e l’umiltà di chi è pronto sempre a mettersi in gioco, è lì che si percepisce chiara la differenza che separa un dilettante da un professionista. È questa l’impressione che suscita sin dal primo impatto Fabio Sarcinella, promettente disc jokey e producer della scena barese. Alle spalle tanta gavetta e un ricco bagaglio di esperienze, ora con il nome d’arte di Dj Riot, lo pseudonimo scelto come deejay di musica hip hop, ora come Dj Ânhém, il nickname con cui si è invece affacciato sulla scena elettronica. Un comunicatore a tutto tondo che ha conseguito la laurea in Scienze della Comunicazione con una tesi sulla storia dell’hip hop, genere musicale che è stato per lui una sorta di primo amore. Una passione che lo accompagna sin dai tempi del liceo e che lo ha condotto in giro per l’Europa, tra Valencia, Berlino e Barcellona alla ricerca dell’unica strada “giusta”: la sua. Diplomato alla SAE (School of Audio Engineering) di Barcellona come electronic music producer, Sarcinella ci ha accolto nel suo studio di registrazione, il Troisi’s Studio, il microcosmo in cui ha creato un rifugio in cui la sua passione possa esser libera di esprimersi e il cantiere in cui dar vita alle sue intuizioni.

Fabio, com’è iniziato il tuo percorso come disc jokey?

Mi sono avvicinato al mondo dei deejay durante il liceo con un amico, Alex Pala. Ho "fabio7"iniziato facendo per lui il vocalist alle feste. Pian piano è maturata anche in me una gran voglia di suonare, facendo però qualcosa di diverso. Allora avevo iniziato ad amare l’hip hop per via degli scratch. Così ho cominciato. All’inizio, naturalmente, ho dovuto imparare a mixare, a capire come funzionasse la strumentazione e farmi un bagaglio musicale. Ma quando ho iniziato a suonare alle prime feste, ho subito avvertito quella cosa che solo chi ama quello a cui si dedica sente: la passione.

Hai suonato anche fuori, sei stato in Spagna per qualche tempo e a Berlino.

Sono stato un anno in Erasmus a Valencia durante il periodo universitario. Mi sono proposto come deejay in diversi locali sino a quando una signora che ne gestiva due non mi ha assunto. Questa esperienza mi ha cambiato soprattutto verso il finale. Avevo 23 anni ed ero alle prime armi, nella fase in cui tutto mi era nuovo. Qualsiasi cosa ascoltassi andavo a cercarla per capire di chi fosse e a studiare come un pezzo si potesse abbinare ad un altro. Sbagliando, capivo dove poter migliorare. È stata dura, non lo nego, perché non avevo amici che mi correggessero e con cui confrontarmi sul mio stesso genere musicale. Sentivo l’esigenza di avere un mentore, un maestro che mi suggerisse qualche consiglio. In quel periodo coincise l’uscita di una mixtape di Tuppi che si chiama “Raggazzacci”. Su Facebook mi inserii in una conversazione far lui e alcuni suoi amici sulla possibilità di portare Raggazzacci in giro per l’Europa, e io proposi Valencia. Organizzai due serate nei locali in cui lavoravo durante le quali gli feci da apertura. Io ero agli inizi e tanto emozionato perché ho sempre nutrito grande stima nei confronti di Tuppi. Nell’arco di una settimana trascorsa insieme è come se fossimo diventati fratelli, tant’è vero che a distanza di cinque anni è uscito il video di un suo brano in cui ci sono anch’io a fargli da assistente.

Ti andrebbe di parlarci proprio di quest’ultimo progetto discografico di Tuppi a cui hai collaborato?

"fabio4"Il video si chiama “Jokey” ed è un pezzo dedicato ai deejay che suonano con il sync rispetto a quelli che suonano con i vinili e hanno una certa cultura. Il video gioca con questa diatriba. Io sono sicuramente in linea con le idee di Tuppi in merito: puoi usare qualsiasi tipo di supporto per fare musica, puoi anche usare il sync o l’mp3 ma è necessario che prima tu abbia alle spalle un lavoro, una ricerca, un bagaglio musicale e sia in grado di mettere due dischi a tempo. Adesso ci sono in giro troppi “fake-deejay” che, con traktor e computerino, spingono il sync e magari suonano anche due-tre pezzi belli. Ma purtroppo questa è una cosa che sta danneggiando il nostro settore, anche perché questi ragazzi vanno a suonare a bassi compensi. Io, invece, quando lavoro mi porto dietro il giradischi, il che delle volte crea problemi con i gestori dei locali perché non ti lasciano più uno spazio adeguato per suonare dando per scontato che tu vada con il sync e ti serva pochissimo spazio. A meno che non sappiano chi sei e ti contattano proprio perché vogliono da te altro.

In Puglia quando hai suonato per la prima volta dopo il tuo rientro?

Tornato da Valencia avevo mantenuto i contatti con Tuppi. Era estate e lui stava suonando a Bosco Verde. In quell’occasione ho conosciuto altri deejay della scena locale come Jamano, Reverendo, Torto e i Puglia Tribe di cui Tuppi fa parte. Ho iniziato a mettermi dietro alla console per osservare come suonasse, come scratchasse. Mi mettevo lì e guardavo per imparare. Tuppi mi ha sempre supportato. È a pieno titolo il mio maestro. Andavo a casa sua a vederlo lavorare e lui mi insegnava il movimento da fare, poi tornavo a casa e mi esercitavo per ore, ore, ore… ho passato anche sette ore di fila solo per esercitarmi su un effetto. Ma con il tempo i risultati li ho ottenuti. Ho fatto tanta gavetta e all’epoca studiavo anche. La prima serata a cui ho suonato da solo è stata l’estate successiva sempre a Bosco Verde, il giorno di Ferragosto. Mi sono ritrovato davanti un sacco di gente ed è stato bellissimo. Mi tremava la mano e dovevo comunque mantenere un certo controllo, soprattutto perché suono con il giradischi. La mano con l’emozione diventa pesante ed è un rischio perché magari ti salta la puntina o metti troppa forza. Però, fortunatamente, andai bene e dopo due giorni mi chiamarono nuovamente per suonare in coppia con Tuppi. È stata una fortuna per me poter essere “sotto la sua ala protettiva”. Ho avuto la fortuna di avere accanto qualcuno che mi ha saputo instradare nella giusta filosofia musicale, facendomi comprendere quanto sia necessario esercitarsi e studiare assiduamente. Ancora adesso faccio qualche errore ma è quella la cosa bella di suonare col giradischi perché c’è l’errore umano e l’errore umano, quando suoni, può essere bello, proprio per via di quell’imperfezione che ti fa sentire che c’è un’anima dietro, non una macchina.

Come ti sei avvicinato alla produzione?

Ad un certo punto ho cominciato a sentire il bisogno di produrre musica mia, di fare "fabio3"qualcosa che fosse veramente prodotta da me, non solo un deejay set che alla fine è musica selezionata da me ma non fatta da me. Finita l’università, ho deciso di iscrivermi ad un corso di musica elettronica per imparare a produrre. Facendo una ricerca ho trovato fra gli istituti la SAE, e ho provato a farla a Berlino ma ho avuto non poche difficoltà con la lingua. Per questo motivo ho continuato il corso a Barcellona. Produrre ti restituisce un’emozione molto bella, soprattutto alla luce di tutto il processo che ti porta sino al prodotto finale, questo stare a sperimentare sino a quando non trovi magari l’incastro giusto dei suoni o una melodia, è un po’ la stessa emozione di quando suoni e vedi la gente che si diverte, perché mentre sei lì che lavori sul tuo pezzo sei già con la prospettiva del futuro, pensando all’effetto che potrebbe produrre il tuo brano sulla gente. L’esame finale alla SAE prevedeva che presentassi un pezzo tutto mio, ed è stato in quell’occasione che ho confezionato la mia prima track. È stato un pezzo elettronico. Ho buttato giù delle idee che avevo e l’ho realizzato, alla fine, nell’arco di una notte. Adesso, alla luce dei progressi che ho fatto, riascoltandomi, mi accorgo di come manchino delle cose e vada perfezionato. Continuo ad esercitarmi e a studiare, quando sarò convinto di aver realizzato qualcosa del giusto valore, cercherò delle etichette a cui propormi. In realtà ho tempi molto ristretti, perché da quando sono tornato a Bari, mi sono comunque messo a fare anche altro. Alla SAE mi sono diplomato come tecnico del suono, ragion per cui mi occupo anche di mix e mastering, che sono dei procedimenti finali della fase di produzione di cui si occupa il tecnico del suono andando a creare la copia del pezzo che poi andrà in vendita e, quindi, in stampa.

Tornato a Bari dopo Barcellona, quindi, come sono andate le cose?

Sono rientrato nella dimensione hip hop. Nessuno sapeva che suonassi anche elettronica, con lo pseudonimo di Ânhém, così sono tornato Riot. Qui però ho stretto nuovi contatti, ho collaborato con i Bari Jungle Brothers. Avevano bisogno di due deejay e hanno pensato a Tuppi e a me, anche perché sanno che abbiamo suonato insieme e che riusciamo ad interfacciarci bene durante le serate. L’ultima cosa che abbiamo fatto insieme è stata l’apertura del concerto di Caparezza al Palaflorio. Ho suonato per un’ora davanti a seimila persone, è stato molto emozionante.

Cos’è cambiato rispetto alla prima volta in cui hai suonato a Bosco Verde?

"fabio6"Che alle spalle avevo già un’esperienza di cinque anni questa volta. La mano non tremava più e mi sentivo molto più rilassato. L’ansia c’è stata, ma sino ad un secondo prima di mettermi dietro alla console: messo il primo disco non ho pensato più a niente.

Quanto è importante la risposta del pubblico in un mestiere come il tuo?

È fondamentale. Il momento più importante è proprio l’inizio, quando parti, perché la gente, in genere, si ricorda o dell’inizio o della fine di quando suoni. Io provo a catturarli dal primo pezzo, non sempre ci riesco, lo ammetto. Poi, però, è questione di esperienza. Ti accorgi del pubblico che hai difronte e devi riuscire a farlo divertire con i dischi che hai con te, perché inevitabilmente suonando i vinili, ti porti dietro un numero più limitato di brani. Il primo quarto d’ora è decisivo, però poi devi comunque mantenere un certo grado di coinvolgimento. Ogni tanto puoi rischiare mettendo “un pezzo per te” e altri tre con cui invece sai che andrai sul sicuro. Avendo suonato parecchio in giro e avendo fatto parecchia esperienza, ho capito quali sono i pezzi che possono colpire in un determinato momento. Prima di iniziare a suonare vado a vedere in mezzo alla pista il tipo di pubblico presente, cerco di capire la situazione. Questo perché sono tendenzialmente perfezionista, sento sempre l’esigenza di arrivare pronto e mai impreparato davanti a qualsiasi situazione. Ci vuole tanto tanto lavoro. Sono convinto dell’idea che se uno semina bene, prima o poi raccoglie.

Cosa ritieni occorra a chi voglia avvicinarsi alla professione del deejay?

Innanzitutto la voglia di trasmettere alla gente la sua emozione, cosa che fai attraverso i pezzi che metti. Se dovessi farlo meccanicamente, senza metterci anche l’anima, sta sicuro che la gente se ne accorge, lo percepisce. Devi sempre avere un occhio rivolto alla pista, per catturare le reazioni del pubblico. Non puoi suonare con la testa bassa senza guardare se la "fabio2"pista si è svuotata o meno, se la gente si sta divertendo o no. Io in genere prendo sempre tre-quattro persone di riferimento in un gruppo, vedo la situazione e da loro cerco di capire come va la serata. Sono sempre concentrato mentre lavoro.  E ci vuole passione, anche perché è con la passione che poi tutto il resto viene da sé. Ricordo una canzone di Dj Gruff, “Sucker per sempre”, in cui identifica un determinato tipo di deejay, quello che non sa fare ma è comunque convinto di fare bene, e che lui chiama appunto “sucker”. Io ho sempre covato questo timore di diventare “sucker” ed è appunto per questo timore che mi sono messo a studiare. È necessario anche confrontarsi con gli altri, con umiltà e senza assumere posizioni di superiorità. A volte sento tante critiche sul lavoro altrui. Io, invece, ritengo che l’importante sia sempre e comunque mettersi e fare. Ci sarà sempre qualcuno che ti criticherà, gli haters ci sono sempre purtroppo e molte volte chi non ha il carattere per affrontarli decide di smettere ed è un peccato perché rovinano una passione. Sono dinamiche come queste che mi hanno portato a decidere di andare fuori. Lì ti danno la possibilità di essere creativo, senza avere il timore di sbagliare perché il sistema è meritocratico. E ciò ti consente anche di essere te stesso, sentendoti libero di suonare la tua musica senza il timore di dover piacere agli altri.

Che progetti hai al momento?

In Puglia e a Bari, in particolare, ci sono delle belle scene musicali.  Io oltre a fare il deejay per i Bari Jungle Brothers, faccio il deejay anche con altri due collettivi: Bari Young Gunz e l’altro è un gruppo funk in cui non ci sono rapper ma solo strumenti, i Bloody Married. Io mi occupo degli scratch e poi c’è basso, chitarra, fiati e batteria. Abbiamo anche fatto concerti durante i quali rapper della scena locale sono venuti a rappare in freestyle durante il live. Ho creato poi questo studio, il Troisi’s Studio, che ho deciso di chiamare così come tributo a Massimo Troisi che io adoro. Qui trascorro anche 15-16 ore al giorno. Non è facile vivere di questo lavoro, è necessario prima affermarsi. Fare solo il deejay è dura, ecco perché io cerco di fare un po’ di tutto. Ora mi sto concentrando sulla produzione, sto lavorando a delle tracce, alcune hip hop e alcune di musica elettronica con l’intenzione di fare uscire a breve un Ep, o prima o dopo l’estate. Però ci vuole tempo, perché come ti ho detto mi occupo anche di mix, mastering e registrazioni e nel week end si suona.

Qual è stato il primo disco che hai acquistato e quale quello a cui ti senti più legato?

"fabio8"Il primo disco che ho comprato sono stati due dischi, anche perché altrimenti non avrei potuto mettere niente a tempo. Sono stati un disco dei Public Enemy e un disco dei De La Soul. Il disco, invece, che mi ha rivoluzionato l’esistenza è uno di Dj Drez, un deejay e producer che fa un hip hop fusion con contaminazioni jazz. Un disco favoloso, un album in featuring con un pianista. C’è di tutto al suo interno: hip hop, bit hip hop, scratch e piano. Un album che mi rispecchia sempre negli anni. La musica varia con il tuo modo di sentire in ogni momento. Ad esempio, l’hip hop lo vedo come un genere molto collegato alla mia adolescenza. Non che adesso non mi ritrovi a suonarlo e ad ascoltarlo perché tuttora lo faccio. Ma c’è sempre un’evoluzione in noi, anche a livello musicale, come quando mi sono appassionato all’elettronica dopo l’università assumendo il nickname di Ânhém.

Al momento ti senti più Riot o Ânhém?

A Bari mi sento più Riot, a Barcellona più Ânhém. Forse solo dopo aver prodotto qualche traccia potrò definirmi meglio come artista. Ci vuole ancora tanto lavoro, adesso sto mettendo in pratica tutto ciò che ho appreso. È necessario del tempo, sto migliorando e capendo tante cose. Devi comunque avere una tua identità musicale e quella si definirà solo col tempo. Sto scalpitando per vedere realizzato il mio primo Ep, non vedo l’ora.

Se dovessi immaginarti tra cinque anni, dove saresti?

Beh, spero di diventare uno dei deejay più forti del mondo (sorride) e di trovarmi a suonare in qualche festival, magari ad un Sonar come ospite. Spero davvero di arrivare il più in alto possibile. Tutto il tempo che investo lo faccio con piacere perché è una passione, ma chiaramente arrivi ad un certo punto in cui vorresti anche raccogliere. Poi, chi può dirlo, solo il tempo potrà dimostrarlo. Magari ne riparliamo in un’altra intervista tra cinque anni!

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.