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"ds"Cosa può fare l’inclemente scorrere del tempo contro un’icona della musica? Poco, davvero pochissimo, quasi nulla. Certo, sarebbe ipocrita da parte nostra attestare, ad esempio, che la voce possa mantenere sempre la medesima intensità; così, anche la più ampia estensione vocale dovrà in qualche modo piegarsi all’inesorabile ticchettio, ma la vera differenza sta nel comprendere come lo si affronti. Senza dubbio uno dei modi migliori è quello di fronteggiare il passaggio sfrontatamente, a viso aperto, senza paura, insomma alla “passa ‘o tiempo e che fa se la mia voce cambierà”, come cantava l’immenso Pino Daniele, ma è una possibilità che non a tutti è data: occorre non solo appartenere all’Olimpo della Musica, bensì anche avere una straordinaria forza dentro, una incommensurabile carica vitale, una irrefrenabile voglia di esserci, tutte qualità presenti nella divina Diane Schuur, la cui grandezza non conosce compromessi, nemmeno oggi che si appresta a festeggiare le sue sessantadue primavere, molte delle quali passate sulle assi dei palcoscenici dei teatri a deliziare le platee di tutto il mondo. E che Diane sia donna avvezza alla lotta contro le avversità lo si è potuto comprendere da sempre, da come ha affrontato la retinopatia del prematuro, la malattia (la stessa di Stevie Wonder) che l’ha resa cieca dalla nascita, ma che non le ha impedito di farsi amare da gente del calibro di Stan Getz, Dizzy Gillespie, Count Basie, B.B. King, Ray Charles, Maynard Ferguson, Barry Manilow, Mark Knopfler e Larry Carlton, di vincere due Grammy e nonostante tutto – ed è qui la straordinarietà – di non essere mai appagata, di cercare sempre nuove vie, come quando ha scelto nel recente passato di tornare al suo antico amore per il country, di avere ancora la voglia di portare in giro la sua musica, che poi la si voglia etichettare come jazz o pop poco ci importa. Quando il sipario del Teatro Forma di Bari si è aperto sull’ennesimo strabiliante appuntamento della sua annuale rassegna musicale, abbiamo ritrovato la stessa Diane di sempre, con la sua straordinaria forza interpretativa, la sua inalterata maestria pianistica e quella voce che talvolta è ancora capace di arrampicarsi sulle più alte vette, per puro diletto, quasi fosse un gioco. Ecco, forse è proprio quello il segreto, quel divertirsi sempre e comunque, quello spirito burlone che sembra non abbandonarla mai, che la spinge a prendersi bonariamente gioco anche del trio che l’accompagna e che, come è giusto che sia, non si allontana quasi mai da un rispettabile tappeto ritmico; Diane, invece, può fare quello che le pare con le dita e con l’ugola, e non importa più se il brano affrontato sia “I’ve got you under my skin” o “Insensatez”, “The man I love” o “I remember you”, “Moon river” o “Unforgettable”, tutto ciò che le viene affidato diviene classico, evergreen, pietra miliare della musica, mentre lei, nelle nostre orecchie, nei nostri occhi e, soprattutto, nel nostro cuore, torna ad essere la piccola “Deddles”, nomignolo, di cui si ricorderà quando intitolerà il suo primo album nel 1984, che le avevano affibbiato da bambina il papà pianista e la mamma che possedeva una magnifica collezione di dischi di Duke Ellington e Dinah Washington, la medesima artista di sempre, che non vorrebbe mai lasciare il palcoscenico, desiderosa ancora di abbracciare idealmente il pubblico che le dedica la meritata ovazione. Alla faccia del tempo che passa.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.