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"2"Nuovo incontro al Teatro Petruzzelli di Bari con un maestro della cinematografia internazionale: lo sceneggiatore, direttore della fotografia e regista tedesco Edgar Reitz. A precedere la master class, moderata dal critico cinematografico Klaus Eder, la proiezione di “Heimat Hermannchen (1955-1956)”. Heimat è un documento assai particolare e atipico rispetto alle normali produzioni. SI tratta, infatti, di un’opera monumentale incentrata sulle vicende della famiglia Simon nel villaggio immaginario di Schabbach. Un vero e proprio epos diviso in 3 fondamentali tomi, a loro volta suddivisi in episodi. In particolar modo, Heimat 1 si compone di 11 mediometraggi di cui Heimat Hermannchen è il quinto episodio. Ad essere toccati sono tutti i temi possibili, storie d’amore, problemi generazionali, contestazioni studentesche. Sullo sfondo la storia tedesca e le sue evoluzioni che, inevitabilmente, condizionano il vissuto dei personaggi sullo schermo.

Il film – una storia d’amore complicata, vissuta tra sotterfugi e fughe. Osteggiata dai parenti della famiglia del giovane Hermann che si innamora di Klara, più grande di lui di undici anni. L’epilogo non sarà roseo e prevederà un distacco fra la coppia di amanti.

La master class – Eder ripercorre la carriera registica di Reitz dai suoi esordi sino agli eventuali progetti futuri. Il cineasta è stato, a suo modo, un pioniere del cinema tedesco quando, nell’immediato dopoguerra, in Germania la settima arte visse un periodo di profonda crisi intellettuale. Fra le sue opere maggiori Eder ricorda “Ora Zero” del 1977, ambientato nel ’45 in quello che fu un periodo di transizione tra la guerra e la pace. “Iniziai a lavorare a questo film sulla base di un racconto che avevo letto –spiega Reitz – l’autore era un tassista che ricordava la sua gioventù. Quello che subito mi piacque del racconto fu il personaggio principale, un ragazzo in bici. Fui affascinato dalla prospettiva di realizzare un film dal punto di vista di un dodicenne sul sellino della sua bici”. Eder ricorda anche il clamoroso insuccesso di un altro film di Reitz, “Il sarto di Ulm” che non fu ben accolto dalla critica del tempo che arrivò anche a definirlo “il peggior film dell’anno”. I giudizi negativi di allora furono talmente pesanti da indurre Reitz a dubitare di continuare o meno la carriera cinematografica. Oggi, a distanza di gran tempo, il regista ne parla sorridente ricordando l’episodio e le sue reazioni: “è stato un film complesso. Per protagonista aveva questo sarto che nell’ ‘800 fu fra i primi a costruire congegni per volare. I critici non capirono il film, io invece lo ho profondamente amato, infatti, non mi seppi spiegare il perché di questa accoglienza. Il 5 Dicembre di quell’anno ci fu una tempesta di neve che mi costrinse a restare chiuso a casa per lungo tempo. Durante quel periodo mi interrogai su cosa stessi facendo. Poi iniziai a scrivere sulla mia famiglia, con l’idea di farne una bozza per un romanzo. Fu un redattore a cui feci leggere queste 100 pagine che mi indusse a trasformarle in una sceneggiatura per un film. Ne venne fuori Heimat 1”. Heimat fu un successo sensazionale e un importante punto di svolta nella carriera del cineasta tedesco. Nonostante per la costruzione dei suoi personaggi Reitz abbia attinto a molto materiale autobiografico, non ci sono ritratti diretti dei membri della sua famiglia, all’interno del film, piuttosto spunti caratteriali. Inevitabile parlare di “tempo” alla luce dell’epopea raccontata dai tre Heimat. “Il tempo non scorre per tutti allo stesso modo – afferma Reitz – ci sono momenti in cui non passa mai e altri in cui passa troppo in fretta. Io ho raccontato un tempo che dura, non un tempo che termina. La modalità del racconto epico è un nucleo narrativo che mi porto dietro da tempo. Non nutro paura per il tempo che va via perché tutto scorre e tutto passa, anche gli anni più importanti della tua vita. Il cinema, però, ci da la possibilità di salvare gli uomini e renderli immortali. Rivedendo i miei film ci sono al loro interno attori che sono venuti a mancare ma che proprio grazie alle pellicole in cui hanno recitato resteranno per sempre in vita. "4"Come accade con ogni forma d’arte, del resto, in grado di salvare e mantenere tutto ciò che immortala anche oltre la vita stessa”. Conclude rispondendo alla domanda di Eder se ci sarà o meno un quarto Heimat: “Heimat è per me come una casa. Ricordo che mia nonna non chiudeva mai la porta di casa. Al che io un giorno le chiesi perché lo facesse e lei mi rispose che, se l’avesse chiusa sarebbero entrati i ladri”. “Vale a dire?” domanda Eder. “Che la porta deve restare aperta”, afferma con ironia Reitz.

Filmografia Edgar Reitz – “Varia Vision” (1965), “Tavola dell’amore” (1967), “Ora di cinema” (1968) film per la TV, “Uxmal” (1968), “Cardillac” (1969), “Cinema due” (1971), “Geschichten vom Kübelkind” (1971) coregia, “La cosa d’oro” (1972) coregia, “Il viaggio a Vienna” (1973), “Wir gehen wohnen” (1975), “Ora zero” (1977) film per la TV, “Il sarto di Ulm” (1978), “Germania in autunno” (1978) coregia, “Storie dai villaggi dell’Hunsruck” (1981) documentario, “Heimat” (1984), “Heimat 2 – Cronaca di una giovinezza” (1992), “Die Nacht der Regisseure” (1995) documentario, “Heimat 3 – Cronaca di una svolta epocale” (2004), “Heimat-Fragmente: Die Frauen” (2006), “Die Andere Heimat – Chronik einer Sehnsucht” (2013).

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.