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"ricciforte"Abitualmente nei lavori della coppia di drammaturghi ricci/forte la scena si presenta, all’inizio, sempre assai spoglia, essenziale, ma, non appena compaiono gli attori e parte la musicatutto diventa possibile, laspazioinizia a colorarsi di suoni, ad infittirsi di immagini, di presenze. Questa volta no, o non solo: da subito, il fulcro, imponente e ingombrante, di Darling è un container.

Versi di gabbiani si fanno sempre più forti in un assordante crescendo eben si può immaginare lo smarrimento che può cogliere chi non è abituato alle rappresentazioni di Stefano Ricci e Gianni Forte. Soprattutto chi, leggendo recensioni o foglio di sala, cerca da subito un riferimento all’impresa oltremare di Argo contro Troia.

Darling, l’ultima creazione di ricci/forte, presentata al Romaeuropa Festival e sabato e domenica in scena al teatro Kismet di Bari, trae spunto dall’Orestea di Eschilo; Agamennone sacrificò la propria figlia, avviando in tal modo quella catena di sangue familiareche tradizionalmente caratterizza la tragedia greca.

La trilogia racconta quello che è seguito alla guerra di Troia: il ritorno di Agamennone ad Argo, la sua morte per mano della moglie Clitennestra, la conseguente vendetta del figlio Oreste e la persecuzione delle Erinni.

La tragedia eschilea, qui inscenata da marionette/calzini che parlano tra loro in francese, è sintetizzata in tre minuti, come per celebrare un rito di passaggio all’inverso, analizzare il senso di giustizia insistendo sulla dimensione animale così dariportare lo spettatore più vicino alla natura.

“Nella nostra società si è scelto di abbandonare gli dei, si è perso il senso di noi stessi e noi abbiamo abdicato alla nostra animalità per qualcosa chedi fatto non ci soddisfa” affermano i due autori.

Eppure tutto questo si fa fatica a ritrovarlo in scena.

Se negli altri lavori,infatti, si rimaneva sempre pericolosamente sospesi tra critica del sistema e adesione alle sue stesse regole, travoltidall’emergere di un teatro che stabilisce esso stesso tempi e modi precisiin cui il pubblico può commuoversi e indignarsi, stavolta un sovraccarico di immagini, parole e suoni non concede tregua allo spettatore,senza tuttavia arrivare a nulla: davvero di fronte ai nostri occhi non si manifesta niente.

La scenografia di Francesco Ghisu, le pareti del container che vengono smontate dagli stessi attori fino a lasciarne solo lo scheletro, non decolla. Il container-casa, che pure poteva assumere un ruolo cruciale, simbolo occidentale tra i più rappresentativi della ricostruzione post bellica e del conseguente boom economico, e che, con un picco di poetica emotività, assume i contorni di ritorno uterino – al quale PierstenLeirom, continuamente fermato dai compagni sul palco, non riesce a resistere – raggiunge una densità a volte anche eccessiva e forzata.

In una società abituata a consolarsi inviando aiuti a distanza, dove è più facile twittare che parlare a chi si ha di fronte e in cui il dolore di un delitto sembra essere direttamente proporzionale alla sua eventuale audience televisiva, l’essenziale sembra riuscire a sopravvivere.

Eppure bisogna ripartire,ma da dove?

La rappresentazione si chiude con i bambolotti interrati in una barricata di vasetti bianchi e innaffiati da un manicotto automatico che eroga un liquido/sangue.

Ma in mezzo che cosa accade? Le due ore di spettacolo sono un alternarsi di intere tracce musicali, sopra azioni fisiche che predominano monologhi senza capo né coda che alternano all’ispirazione classica slanci di poesia contemporanea che appaiono come semplici luoghi comuni: “Il futuro mi manda un WhatsApp; le suonerie Vodafone dei nostri flussi arteriosi”, la comunicazione moderna è sempre più scarna, ma qual è il messaggio? Addirittura un’intera scena vieneurlata con numeri al posto delle battute e tutto è giocato sull’alternanza riso/pianto arrivando a svuotare di significato sia l’uno che l’altro. Dov’è il tema? E se è stato di proposito abbandonato, cosa viene offerto in cambio? Perché il pubblico deve avere una chiave, seguire un filo rosso, che sia tutto suo, ma che comunque conduca da qualche parteed invece, pare, che Darling abbia perso la bussola della propria urgenza.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.